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martedì 24 gennaio 2017

Da Aleppo, lettera aperta di Pierre le Corf a Hollande (e a chiunque voglia conoscere la verità)


Incontrai per caso, credo attraverso il dottor Nabil Antaki, una delle sue prime storie raccolte ad Aleppo. Ne fui profondamente colpita e la tradussi.  Pierre le Corf vide la mia traduzione, mi ringraziò, chiese la mia ‘’amicizia’’, i suoi racconti cominciarono ad arrivarmi direttamente ed io continuai a tradurli, sempre più convinta che questo giovane Francese sarebbe diventato un inestimabile testimone della tragedia di Aleppo.

I Siriani sono accoglienti, straordinariamente ospitali e disponibili con l’ospite a prescindere, ma raccontare è un’altra cosa. Una specie di cerimonia che richiede tempo, rispetto e pazienza. Devono capire che sei disposto a partecipare, a rivivere insieme a loro la rievocazione e a credergli.  Ho fatto per tanti anni la ‘’raccogli storie’’ in Siria (di tutt’altro genere: mi sono occupata a lungo della sua narrativa orale) e ho capito subito che Pierre aveva l’attitudine giusta per conquistare la fiducia e il rispetto indispensabili perché i suoi interlocutori gli affidassero le loro esperienze.

 Ultimamente la stampa mainstream ha cominciato a occuparsi spesso di Pierre. Ho letto un volgare articolo denigratorio nei suoi confronti e un suo articolo di risposta. Deve essergli costato molte ore di fatica e di tensione per aver dovuto ribattere ad un mucchio di sciocchezze e cattiverie.
  Voglio dirgli che non ha bisogno di ribattere a questi pamphlet. La sua risposta devono essere altre storie. Tante storie. Tutte quelle che riesce a raccogliere. Sono così veritiere, autentiche, efficaci! Quelli che lo attaccano hanno capito dove sta la sua forza e cercano di distrarlo.
  Bravo Pierre. Continua a far sentire la voce e le storie dei Siriani vittime di questa sporca guerra. Grazie.
           Maria Antonietta Carta   
                                                                                       
Da Aleppo, lettera aperta a François Hollande, Presidente della Repubblica Francese e, per conoscenza, ai candidati alla Presidenza della Repubblica.  

Signor Presidente,  
 sto mettendo in discussione i valori con cui sono cresciuto: i valori di un Paese che amo, il mio Paese, la Francia.
   Mi rivolgo a Lei come cittadino francese arrivato senza preconcetti in territorio siriano e vissuto in Aleppo ovest per quasi un anno, prima della riunificazione di questa città; operando come soccorritore umanitario politicamente neutrale. L'esercizio è difficile, sia perché essendo l’unico Francese residente sono nel mirino per la mia testimonianza contro corrente, sia per la difficoltà nel testimoniare le atrocità vissute insieme alla popolazione locale.
Sono infatti testimone di un massacro e di una situazione umanitaria catastrofica di cui il mio Paese è attore e sponsor, in quanto sostiene il terrorismo. Dedico, quindi, questo messaggio a Lei, Signor Presidente, e a chiunque possa considerare una priorità i provvedimenti in favore della pace e della popolazione civile.  
Come tutti gli abitanti di questa città, ho dovuto affrontare ogni giorno la morte e, per la missione che mi sono dato, ho visitato le famiglie che abitavano vicino a coloro che sono descritti come "oppositori" sin dall'inizio del conflitto. Personalmente, ho visto solo bandiere nere su tutta la linea del fronte, come dimostrano le fotografie: segno identificativo di gruppi contro cui noi in Francia combattiamo da molti anni.

  Oggi, la popolazione è unita non per combattere il governo, ma per combattere i gruppi terroristici, a prescindere dagli appellativi che gli si attribuiscono nel tentativo di fare apparire  "moderate" le loro azioni e la loro logica. Questi gruppi armati che si chiamano Al-Jaysh al-Hurr (Esercito libero siriano o ESL), Jabhat al-Nusra (detto anche Fatah al-Sham, un ramo di Al Qaeda) Jayish al-Islam, Harakat al-Nour Din al-Zenki, Brigata del sultano Mourad, etc. Certo, che esiste un'opposizione anti-governativa, come per qualsiasi governo, un'opposizione più o meno pacifica, che è in realtà una minoranza. Dall'inizio e fino ad oggi, quasi tutte le forze che continuano a bombardare Aleppo, sono formate da combattenti di gruppi armati pronti a tutto.  


  Uso il termine "terrorista" perché ad Aleppo non ci sono ribelli, o almeno non esiste alcun fondamento per considerarli tali, e si gioca irresponsabilmente con le parole continuando a definire ‘’ ribelli moderati’’ in Siria quelli che in Francia sono inseriti nelle lista delle organizzazioni terroristiche. Di comune accordo con il governo, i combattenti sono stati evacuati con le armi personali nella regione di Idleb, quasi interamente occupata da diversi gruppi armati e dalle loro famiglie. Purtroppo, molti sono tornati in prossimità di Aleppo ed hanno ripreso i bombardamenti di civili e gli attacchi suicidi, qui come ovunque in Siria.
Tutto ciò che affermo sono in grado di documentarlo. Lavoro ogni giorno da mesi, guerra permettendo, per raccogliere testimonianze filmate e scritte di civili, indipendentemente dalla confessione religiosa e dall’opinione politica e in assenza di personale militare o governativo. Testimonianze che pubblico e trasmetto puntualmente ad una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sugli attacchi e i crimini della "opposizione", cercando di mettere questa Commissione in contatto con i testimoni.

   L’attenzione dell’opinione pubblica è stata focalizzata sui bombardamenti di una piccola area con forte concentrazione jihadista, dove ‘’ogni giorno a morire erano civili’’, senza mai specificare che la maggior parte dei civili residenti nella parte orientale di Aleppo era in realtà prigioniera dei gruppi armati che ne impedivano l’allontanamento. È stato attraversando i recenti corridoi umanitari allestiti dai Russi e dai Siriani (fatti conoscere uno o due giorni prima, precisando gli orari di apertura, attraverso l’invio di messaggi telefonici sulle reti siriane MTN / SYRIATEL a tutti i possessori di telefoni mobili,  compreso il mio) che numerosi civili sono stati uccisi mentre tentavano di sfuggire ai gruppi armati che glielo impedivano. Per fortuna, molte migliaia di persone sono riuscite a fuggire al di fuori di tali corridoi, talvolta attraversando zone minate.
    Soltanto pochissimi media informavano che questi civili erano scudi umani, come poi confermato da testimoni. Spesso preferivano descriverli come intrappolati nel fuoco incrociato di una battaglia tra i combattenti rivoluzionari e il governo.  
   Mentre il governo difendeva il suo popolo da terroristi per lo più mercenari stranieri entrati in Siria e armati fino ai denti, fanatici per cui la vita umana ha ben poca importanza, che occuparono le periferie e il centro città bombardando quotidianamente la popolazione di Aleppo ovest e attribuendosi il diritto di assassinare per un sì o per un no i civili di Aleppo est.  
     I gruppi armati presenti sul terreno non hanno mai dato prove della loro «pretesa moderazione» verso la popolazione.  Ho potuto constatare direttamente che essi disponevano di armi e munizioni provenienti da diversi Paesi. Molte munizioni erano francesi, americane, inglesi, saudite etc. Armi impiegate quotidianamente contro la popolazione civile dell’est e dell’ovest sia da gruppi terroristici riconosciuti sia da gruppi schierati sotto la bandiera del cosiddetto Esercito Siriano Libero, in maggioranza costituito da jihadisti che i Francesi cercavano di far passare per combattenti della libertà.
    Sparavano verso ovest dalle zone più densamente popolate dell’est e talvolta dagli ospedali, per limitare gli spari di risposta. Naturalmente, avvenivano combattimenti tra l’Esercito siriano lealista ed i jihadisti. I miei testimoni sono civili dell’est sopravvissuti a questi combattimenti e di cui mi occupo come altre organizzazioni internazionali presenti qui in Aleppo-est. Centoventimila persone prese tra gli scontri (tra cui quindici-ventimila combattenti) corrispondenti anche in gran parte a numerose famiglie che si erano rifiutate di abbandonare le loro case per timore di una occupazione o del saccheggio.  In Siria ci sono pochi affittuari. Ci vuole tempo per diventare proprietario di una casa, ma è un fatto culturale: la casa è il simbolo della famiglia. Il punto essenziale è che abbiamo occultato una realtà: quella di un milione e trecentomila Siriani di ogni confessione abitanti di Aleppo-ovest che cercavano, malgrado la morte onnipresente, di far funzionare le istituzioni e di mandare i figli a scuola o all’Università, Noi li abbiamo cancellati per uno scopo politico, dato che vivevano nella zona controllata dal governo siriano, ma in questo modo abbiamo occultato dieci volte la popolazione di Aleppo-est e, in entrambi i casi, l’abbiamo fatto in nome di una minoranza che rappresenta solo se stessa.
  
 Siamo stati continuamente vittime di attacchi. Tiri di cecchini e attacchi di mortai, proiettili esplosivi, granate, bombole di gas e caldaie ad acqua montate su razzi etc. Non ne siamo stati risparmiati neppure per un giorno. Hanno continuato a cadere incessantemente su strade, edifici residenziali, ospedali, scuole. E neppure un giorno è trascorso senza l’uccisione e il ferimento grave di decine di civili inermi da trasportare in ospedali sovraffollati a causa degli attacchi incessanti, nonostante l’assenza dell’esercito all’interno della città, a parte qualche checkpoint. Esercito e miliziani proteggevano esclusivamente la linea del fronte. Ogni giorno, adulti, bambini, famiglie intere sono stati stritolati da ogni sorta di proiettili.  Mi sto esprimendo come un Siriano, perché anch’io ho vissuto come loro quotidianamente dentro questa guerra.  Sono fortunato ad essere ancora in vita, visto che in Aleppo, come nei veri e propri campi di battaglia, i razzi non prevenivano. Come soccorritore, ho cercato di salvare vite, ma non sempre ci sono riuscito. Persone con braccia, gambe, e altre parti dei corpi lacerate, disintegrate, bruciate. … Non riesco più a trovare le parole giuste per descrivere ciò che la popolazione ha vissuto qui. È stato molto duro da condividere. Ho visto troppa gente morire, e ci si chiedeva semplicemente ogni giorno se avremmo potuto sopravvivere.

    Ho costantemente incontrato profughi interni, e le loro testimonianze sono inoppugnabili. In Aleppo-est, le leggi della Chari ‘a erano applicate da sommari «tribunali islamici» costituiti da combattenti e da sheikh che si arrogavano il diritto, attraverso decreti religiosi ad hoc (fatwa), di imprigionare, torturare, sposare bambini e uccidere a volontà. Dopo la liberazione di Aleppo-est, si è scoperto che i jihadisti disponevano anche di enormi riserve di cibo.

  Ho visto cumuli di pacchi umanitari sufficienti per un anno di assedio, mentre le famiglie testimoniano sull’impossibilità di accedervi e sulla inedia sofferta a causa dell’assedio dell’esercito, ma soprattutto per il monopolio dei prezzi esosi imposti dai gruppi armati, anche cinquanta volte un costo normale. Mentre chi accettava di combattere con loro beneficiava di un trattamento speciale. Alcuni loro simpatizzanti rimasti nella zona est mi hanno raccontato recentemente: «Non amiamo questo governo, ma se qualcuno critica i combattenti dell’ASL o di altri gruppi, lo uccidono. Dov’è dunque la libertà?».
    Infrastrutture, ospedali, scuole erano in parte utilizzati da questi gruppi come quartier generale, prigioni e depositi di armi. Ho potuto constatare che in una di queste scuole si fabbricavano armi chimiche con prodotti importati da diversi Paesi e, durante gli ultimi mesi, dopo gli scontri più duri ho assistito all’arrivo di persone con la pelle completamente bruciata dal cloro. Ad est, si curavano negli ospedali i combattenti ed i loro familiari o coloro che potevano pagare.  Anche in questo caso, dopo la liberazione di Aleppo, ho potuto verificare personalmente sulle tonnellate di medicinali e sui due ospedali funzionanti nonostante i danneggiamenti alle facciate e ad altre parti: gli stessi ospedali che erano stati dichiarati più volte ‘interamente distrutti’.
   I «Caschi bianchi», che il governo francese, con altri governi, ha finanziato e che sono stati ricevuti all’Eliseo, fanno in gran parte i soccorritori di giorno e i terroristi la notte o viceversa. Essi hanno giurato fedeltà a Jabhat al-Nusra (Al-Qaïda), come provano i documenti ritrovati dopo il loro allontanamento e le testimonianze degli abitanti.
   La maggioranza dei loro gruppi prestavano soccorso prima ai combattenti, poi, eventualmente, ai civili e, poiché ogni gruppo aveva un cameraman, aiutavano i civili soltanto a telecamere accese. Molti civili mi hanno detto che sono stati in tanti a restare sotto le macerie mentre i Caschi Bianchi rifiutavano di andare a soccorrerli. Altri mi hanno assicurato che sceneggiavano attacchi di falsi bombardamenti con feriti finti e finti interventi. Il nostro governo finanzia anche associazioni quali «Syria Charity», portante la bandiera a tre stelle e inizialmente detta «lega per una Siria libera», appellativo che figura ancora nei resoconti. Una associazione che offre aiuto umanitario, ma ha oltrepassato la linea rossa partecipando ad una vera e propria guerra di opinione per giustificare il rovesciamento del governo, nascondendo la realtà sul terreno, la loro vicinanza ai gruppi armati (ed anche la loro presenza, accuratamente cancellata da tutti i video) e offrendo un aiuto medico costante alle forze jihadiste.  

  Numerose associazioni e organizzazioni umanitarie francesi ed internazionali in zone controllate dai « ribelli » hanno causato più danni che benefici, strumentalizzando la sofferenza delle popolazioni, manipolando l’opinione pubblica nel nome di una causa e di donazioni dirette ed  hanno preso in ostaggio la popolazione civile, permettendo che questa guerra proseguisse, « legittimandola » in maniera disonesta, consentendo il protrarsi dei combattimenti e alla morte di divenire una ineluttabilità quotidiana.  
  D’altronde, abbiamo anche esposto all’Eliseo per qualche ora la bandiera a tre stelle, il tempo necessario per ricevere con tutti gli onori il (falso) sindaco di Aleppo, mai eletto dal popolo siriano, che non è di Aleppo ma è stato scelto dai leaders di gruppi jihadisti, da alcuni sostenitori e da stranieri. In Siria, questa bandiera non rappresenta la libertà. È un simbolo di morte quotidiana perché lo si associa ormai all’ ESL: un accozzaglia di gruppi jihadisti vicini ad Al-Qaïda, che proclamano la democrazia soltanto nei media e che noi sosteniamo. Non possiamo assolutamente confondere il movimento di base del 2011 con coloro che se ne sono serviti, qui ed ovunque nel mondo, per promuovere questa guerra.

   Si, molti sono morti. Nessuna guerra è giusta. Non nego né difendo la violenza estrema dei bombardamenti su Aleppo-est per permettere la sua liberazione non la caduta.  É un dato di fatto.
    Un altro dato di fatto è che, a parte alcuni bambini feriti, bombe o grida, abbiamo cancellato la presenza dei civili, la vita. Li abbiamo privati della voce permettendo che l’opinione pubblica si facesse un’idea del contesto seguendo le proprie emozioni in base ad una narrazione rappresentata incessantemente in modo catastrofico con l’utilizzo reiterato e strumentale dell’infanzia. Come mettere in dubbio ciò che accade qui, nonostante le prove e gli argomenti proposti, se vi rappresentano l’immagine di una Siria completamente messa a ferro e fuoco unilateralmente dal suo stesso governo? Che tutto quel che accade qui e che non corrisponde a quella immagine è propaganda mendace? Che la priorità era imporre delle «no-fly zone», grazie al cielo mai arrivate, che avrebbero radicalizzato il conflitto, aumentato il numero dei morti e consentito ai terroristi di prendere Aleppo e non di liberarla dalla guerra e dalla morte.  La maggior parte delle persone che sono fuggite dalla zona est, dove hanno conosciuto l’inferno, hanno vissuto il loro arrivo qui come una liberazione e non come una deportazione. Ora molti sono tornati nei loro quartieri.  Nessuno ha sottolineato che quasi l’85% dei civili si sono rifugiati liberamente ad ovest, nella zona governativa, mentre bus a noleggio conducevano a Idleb combattenti e volontari civili.
    La «legittimità» accordata dai media ai jihadisti ed alla loro causa e i sostegni esterni hanno permesso avanzate decisive intorno alla città, costringendo centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le loro abitazioni. Ricordo che durante intere settimane dormivamo con gli abiti indosso, le borse pronte accanto al letto. I combattimenti erano tanto vicini che talvolta i proiettili attraversavano le strade. E più si avvicinavano più forte li sentivo urlare «Allah Akbar» prima e dopo il lancio di ogni colpo di mortaio sulla città.

  Quali che siano i Paesi in cui sono stati utilizzati, i video creati da jihadisti e loro sostenitori, talvolta  completamente falsi, sono stati diffusi dai nostri media nelle ore di maggior ascolto, strumentalizzando la morte e la sofferenza di chi viveva in mezzo ai combattimenti, ma anche l’amore e la compassione di chi guardava quelle immagini. Come i terroristi, anche noi abbiamo venduto così tanta paura che nessuno ha potuto rendersi conto di come i contenuti di quei video fossero stati realizzati per uno scopo ben preciso, senza mai dare voce a civili interessati che non fossero combattenti o loro fiancheggiatori. Preciso che i civili potevano difficilmente offrirsi del pane, figuriamoci una telecamera e soprattutto una rete internet 3G!  
   Non avendo combattenti per distruggere il governo, abbiamo integrato la nostra incidenza sul conflitto utilizzando le emozioni per influenzare l’opinione pubblica e ottenere il suo tacito consenso.
    Nella zona ovest, documentare in tempo reale la situazione non è mai stata una reazione istintiva per nessuno. Troppo pericoloso. Inoltre, le informazioni non uscivano dalla Siria.  Fare un «libro Facebook» o pubblicare un reportage con i luoghi degli attacchi gli permetteva di precisare, correggere il tiro e mirare alle aree densamente popolate. In un discorso duplice e sul loro canale televisivo, qui in Siria, la «Free Syrian Army ***», da una parte dicevano di liberare la popolazione e dall’altra presentavano questi attacchi come castigo per noi «infedeli abitanti nel lato di Bashar Al Assad». Questa emittente televisiva è accessibile a tutti in Siria.  Alla liberazione, i reportages dei Russi e le testimonianze dei Siriani sotto l’occupazione dei gruppi armati sono stati immediatamente qualificati come propaganda, per screditare tutto ciò che sarebbe potuto emergere dalla Siria, dai suoi abitanti o da chi si trovava sul terreno.

 L’anno scorso è stato quello della disinformazione.
   Una lotta per la «libertà» del popolo siriano. Utilizziamo questa parola che ingloba tutto senza mai averla argomentata o giustificata. Quale libertà? Quale popolo siriano? Distruggere il governo, soffocare il Paese sotto le sanzioni per ottenere cosa? Il nostro savoir-faire democratico? I Francesi hanno forse chiesto quale sarebbe stato il programma del «dopo»? No! Libertà e basta. Facile. I programmi politici e sociali di questi gruppi terroristici sono in contrasto con la libertà, la democrazia, i nostri valori o quelli della maggior parte dei Paesi del mondo. È in nome dei nostri interessi e non in nome della libertà che strumentalizziamo questi gruppi che invocano la creazione di uno Stato-islamico in Siria. Non chiedete dunque che cosa pensano di offrire al popolo siriano. Chiedetevi piuttosto di cosa vogliono privarlo e cosa vogliono imporgli. Tutti i civili che ho incontrato nella vita quotidiana rifiutano di immaginare anche per un solo istante questa opzione e chi l’ha vissuta cerca di dimenticarla.

  Noi, Signor Presidente, come tanti altri Paesi, abbiamo una gravissima responsabilità in questa guerra che si è cercato di portare a termine rovesciando il governo siriano a qualunque costo, naturalmente. In questi ultimi anni, a fianco di numerosi Paesi abbiamo partecipato alla distruzione della Siria, un Paese in gran parte francofono e che ama la Francia. Per quanto il suo governo sia imperfetto e quali che siano i suoi errori, e i nostri nel corso del tempo, noi sosteniamo attualmente l’instaurazione di una vera dittatura in un Paese dove esiste una vera opposizione, mentre i gruppi armati sono spinti soltanto dal settarismo, dalla frustrazione, dal rancore e dall’odio. Servirci di questi gruppi per realizzare obiettivi geopolitici o economici non ha niente di democratico, serve solo a sacrificare i Siriani. Ho attraversato il Paese ed ho potuto constatare che, malgrado certe critiche e qualunque cosa se ne dica, la stragrande maggioranza dei Siriani sostiene onestamente e sinceramente il proprio governo e colui che essi chiamano il loro presidente e non dittatore, Bashar Al-Assad.

  Per me, questo messaggio è un dovere. Sono un operatore umanitario ed ho creato la mia associazione senza fini politici o confessionali e autogestita. Vivo in zona di guerra, ne pago il prezzo e assumo i rischi necessari per aiutare con i miei mezzi modesti i civili. Raccontare quel che accade realmente mi attira gli attacchi dei media mainstream e dei loro sostenitori, che cercano di farmi tacere anche fino a indicarmi come bersaglio. Rischio ancora di più assumendomi la responsabilità di scrivere questa lettera per denunciare una situazione osservata quotidianamente e con sempre maggiori approfondimenti. Non sono spinto da alcun interesse personale né ho niente da guadagnare. Rischio da molti mesi per combattere il terrorismo trasmettendo la verità, ciò che affrontano i Siriani, le loro testimonianze, denunciando gruppi terroristici e la manipolazione mediatica che strappano tutti i giorni alla gente la vita.

  Chiediamo al popolo siriano cosa desidera per il proprio Paese invece di parlare in suo nome, di rubargli la voce, la libertà, il presente e il futuro. Spetta al popolo siriano decidere il proprio futuro e non a noi di arrogarcene il diritto come abbiamo fatto finora con la nostra ingerenza illegittima, che si è tradotta in una forma di dittatura peggiore. Che la democrazia inizi da noi stessi. A prescindere dalla nostra responsabilità nei confronti dei Siria, sarebbe quindi tempo di consultare il popolo francese sulla sua volontà di essere coinvolto in questo conflitto, considerato il pericolo che esso rappresenta per la nostra sicurezza presente e futura.
   Io chiedo alla mia Francia, Paese che amo e in cui sono cresciuto, di cessare nel frattempo la condanna di una popolazione e cessare di incoraggiare gruppi terroristici che già colpiscono le nostre famiglie, i nostri figli e le nostre popolazioni, quali che siano gli interessi economici o geopolitici in campo. Non possiamo prendere le parti né sostenere gruppi armati che fanno una rivoluzione per riportarci all’età delle tenebre.  

  Signor Presidente,  faccio appello a Lei e scongiuro la Francia, per i valori con cui sono cresciuto e che mi spingono a perseverare nella mia azione quotidiana qui, di levare le sanzioni contro la Siria. Esse penalizzano soprattutto la popolazione non il governo, di trovare soluzioni diplomatiche alternative a questa guerra in favore della pace, sia per il popolo siriano sia per il popolo francese che rischia di subire le ripercussioni per il nostro impegno a favore di gruppi che seminano il terrore e le cui ambizioni sono chiaramente internazionali. 
   Augurando molto coraggio a Lei, Signor Presidente, ed a colui che Le succederà, colgo l’occasione per porgerLe i miei più distinti saluti.

Pierre le Corf,
Immigrato ad Aleppo, Siria / lecorfpierre@gmail.com
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Traduzione Maria Antonietta Carta