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giovedì 23 febbraio 2017

Padre Ibrahim: nel cuore della popolazione siriana la speranza della pace non si affievolisce

Padre Ibrahim Alsabagh, parroco latino di Aleppo, commenta l’odierna fase di colloqui in Svizzera:

Radio Vaticana, 23/02/2017
R. – Sicuramente, ogni tentativo di dialogo e ogni appuntamento tra le diverse parti per noi è un grande segno di speranza. Siamo realisti, sappiamo quante sfide ci sono… abbiamo saputo che le rappresentanze di alcune parti sono composte solo di poche persone ma, dall’altra parte, rimane un segno di speranza per un futuro migliore.
D. – Padre Ibrahim, tra due settimane sarà il sesto anniversario dello scoppio prima delle proteste e poi di tutta una serie di eventi che hanno poi portato alla catastrofe della guerra. Lei che risultati vede, oggi?  R. – Sicuramente, vediamo la gente più sofferente, più appesantita, più povera. Ad esempio, ad Aleppo abbiamo grande difficoltà con l’acqua, perché l’Is ha tagliato le condutture verso la città; l’elettricità non esiste e per tutti, significa mancanza di lavoro. E tutto questo sempre con i prezzi alle stelle. E’ una situazione diciamo “post-guerra”, anche se non è finita per Aleppo, ma questo post-guerra significa sempre sofferenza e tante attese.
D. – Uno dei posti dove ancora si lotta, ad esempio, è Idlib: c’è stato un allarme dell’Unicef per i bambini, che torna a farci pensare quanto siano stati protagonisti in questi sei anni. Ecco, l’infanzia ad Aleppo: come stanno i bambini? Hanno ripreso la scuola? Sono rimasti, i bambini?  R. – Sì, ci sono i bambini sempre con i segni della sofferenza, di tanti shock psicologici, ma non solo i bambini. Vediamo anche tantissime donne con disturbi, tantissimi uomini anche mutilati; vediamo questo ogni giorno e sappiamo che se ad Aleppo è così, allora anche in ogni luogo della Siria.
D. – Prima, la Siria era il luogo del dialogo; ora a Ginevra si combatte per ricostruirlo, questo dialogo. Secondo lei, c’è spazio, oggi, con quello che è accaduto, per tornare a stare insieme?  R. – Sicuramente, per noi c’è sempre la possibilità di un dialogo, di ricucire questa bellissima società-mosaico che è stata lesa nella sua unità. Quello che cerchiamo di fare noi è di andare incontro all’altro: non importa cosa l’altro abbia fatto ieri, noi gli andiamo incontro con tutto quello che possiamo fare, nonostante le nostre ferite, i nostri limiti come Chiesa locale. Per me è molto facile ricucire o aprire un dialogo: basta uscire in strada, basta dire buongiorno a una persona, soffermarsi ad ascoltare la sofferenza, basta bussare alla porta di un capo religioso e fare una visita.
D. – Si può tradurre in politica, questo?   R. – Le cose grandi iniziano dalle cose piccole, dalle cose più semplici: da una stretta di mano, da un sorriso, da un saluto dal cuore… Abbiamo tanta speranza che questi semi facciano veramente grandi miracoli. E noi riusciamo a vederli, specialmente quando si tratta delle Chiese: noi possiamo oggi fare molto, molto di più di quello che i canali istituzionali possono fare.
D. – Lei dice quindi anche a livello di dialogo interreligioso?   R. – Certo. Come concittadini, come persone, come responsabili di un cammino possiamo fare tanto. La Chiesa qua, per esempio, ha una grande influenza, un grande potere morale che può, spesso, cambiare anche il camino di un popolo. Noi sentiamo questa forza, oggi, e cerchiamo di approfittare proprio di questa nostra autorità morale per riprendere in mano il timone e cercare di guidare il Paese verso il dialogo, verso la pace.