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mercoledì 4 ottobre 2023

Il genocidio armeno e il silenzio (complice) dell’Occidente


Fonte:
CulturaCattolica.it

Supplica ai nostri uomini politici [non solo di San Marino] e a tutti gli «uomini di buona volontà»

Siamo invasi dal nulla. Immersi in una cultura del potere che non sa più vedere la realtà e i suoi drammi, le sue tragedie. Una cultura che si diffonde per imposizione, sostenuta da élites che non sanno parlare al cuore dell’uomo, e che impongono i loro slogans e i loro schemi calpestando le menti e i cuori degli uomini, e stuprando, letteralmente, la bellezza dei più piccoli: ecco l’esempio di questa pelosa informazione  [ Da Linee di indirizzo per la comunicazione del personale sanitario con i/le pazienti LGBT+ ] : «L’orientamento sessuale lesbico/gay/bisessuale/asessuale come quello eterosessuale è una variante naturale della sessualità umana. Vista la tua giovane età hai avuto esperienze sociali negative circa il tuo orientamento sessuale? Se hai dubbi che vuoi risolvere e desideri avere più chiarezza potrebbe essere utile che tu ti rivolga ad associazioni LGBT+ sul territorio.».

Oppure si solleva un polverone sul bellissimo spot della Esselunga, che mostra attraverso gli occhi di una bambina, la sofferenza per lo sfascio della propria famiglia.

E si chiudono gli occhi sulle tragedie che investono migliaia di uomini, donne, anziani e bambini cacciati dalla loro patria, spesso seviziati e uccisi in maniera peggio che bestiale, affermando con vile linguaggio (lo scrive la Commissione Europea) «che gli armeni hanno “scelto di andarsene”».

Raccolgo sinteticamente dall’articolo di Giulio Meotti questa descrizione di quanto sta accadendo: «La fine dell’Artsakh: 120.000 sfollati, privati della loro patria, che era da oltre tre decenni una repubblica democratica, anche se autoproclamata, resasi indipendente dall’Unione Sovietica (non dall’Azerbaijan) nel 1991. Questo significherà inoltre la perdita di una democrazia – la piccola repubblica che nei giornali occidentali appariva come ‘separatista’, un tentativo di stroncarla sul nascere, naturalmente per gli interessi energetici, perché all’Occidente interessano più il gas e il petrolio... Insomma, significa la sconfitta vergognosa del mondo democratico e il trionfo assoluto delle ‘gasocrazie’ asservite e soprattutto di due dittature feroci – Turchia e il suo satrapo chiamato Azerbaigian – assistiti dalla Russia di Putin che – ricordiamoci – un mese prima dell’aggressione all’Ucraina aveva firmato un accordo di collaborazione con l’Azerbaigian appunto per avere un transito del suo gas e aggirare le imminenti sanzioni occidentali.
La fine dell’Artsakh significa, inoltre, l’espatrio o la pulizia etnica del popolo dell’Artsakh – un popolo cristiano, autoctono del territorio, che parla un proprio dialetto armeno. Sradicarlo dalla propria terra e costringerlo ad abbandonarla completamente, per mezzo della fame, l’isolamento totale e poi anche manu militari, con un’aggressione terroristica, è senza dubbio un crimine contro l’umanità – un attentato a un popolo intero che nello stesso Azerbaijan ha ormai visto decine di massacri, compresi i pogrom di Sumgayit e Baku degli anni 1988-1990.»

Certo dobbiamo intervenire, con tutti i mezzi.
La nostra «Antica terra della libertà»  (San Marino ndt) può e penso saprà portare il suo contributo, memore della epopea di accoglienza dell’ultima guerra, perché si ponga termine a questa ingiustizia. La voce della verità ha certamente più forza della potenza delle armi, purché sia gridata senza paura e senza connivenze. Il popolo sammarinese può chiedere al mondo (e se ne facciano carico i nostri uomini politici, di ogni schieramento) di non voltarsi dall’altra parte. Già gli ebrei sono stati accolti durante la tragedia nazifascista, e questo ci dà i titoli per continuare ad agire. Sappiamo camminare a testa alta.

Ancora Meotti: «Ciò che sta accadendo in Armenia è spregevole e avviene con la complicità dell’Unione Europea. L’Azerbaijan sta attuando una pulizia etnico-religiosa. Tutte queste dichiarazioni dei leader europei - come Charles Michel o Ursula Von Der Leyen - non dicono nulla e sono orgogliosi di raddoppiare le importazioni di gas dall’Azerbaijan. Azerbaijan che sta spendendo ingenti somme per corrompere i leader europei. Hanno approfittato di questa diplomazia del caviale che consiste nel fare regali. L’Europa è completamente assente. Perché abbandoniamo gli armeni?».

Vogliamo entrare in una Europa in cui non ci dovremo nascondere par la vergogna e per la complicità del male.

Fratelli tutti, tutti, tutti. A partire dai più fragili e indifesi.

don Gabriele Mangiarotti

venerdì 14 agosto 2015

Sia pace in Siria Nostra Signora di Saidnaya!

Cari lettori,  auguriamo oggi a voi tutti la benedizione della Tutta Santa Madre di Dio, che nella nostra storia continua ad agire, segno di consolazione e di sicura speranza.
Ora pro Siria




di Suor Gloria Riva
CulturaCattolica.it


Affidiamo la pace in Siria a Nostra Signora della Caccia, un'Icona mariana venerata da cristiani, ebrei e mussulmani nel Santuario di Saidnaya in Siria. Un luogo di grazia che nessuna persecuzione riesce a cancellare. Affidiamo a lei e a Madre Serafina della Croce la nostra preghiera per la pace in Siria e nel mondo.

Nessuno la conosce, questa Madonna silenziosa, la cui origine viene attribuita addirittura a San Luca, eppure durante il Medioevo attirava enormi masse di fedeli, fino a 50mila. Questa Vergine silenziosa porta però un nome che evoca la guerra, anzi la caccia: si tratta della Madonna di Saidnaya, che in lingua siriaca significa appunto: Signora della Caccia.

Le origini di questo santuario si perdono nella notte dei tempi, quando in Siria fioriva una della più grandi e prospere comunità cristiane di tutti i tempi oggi, spazzata via, ahimè, da secoli di persecuzioni e distruzioni fino a scomparire. Ce l’ha fatta però la Signora della Caccia, protetta dalla misteriosa mano che l’ha dipinta, una mano che aveva scritto le sante Parole del Vangelo, la mano - secondo la tradizione - dell’evangelista Luca, appunto.

Per alcuni fu l’Imperatrice Eudossia che, nel 640, trovata a Gerusalemme la sacra Icona, da donna di grande cultura e di grande fede qual era, la volle portare con sé a Damasco. Per altri invece, anche a causa dell’appellativo curioso di Signora della caccia, il Santuario sembra derivare dall’imperatore Giustiniano che impegnato in una battuta di caccia in Siria – dove si trovava per combattere contro la Persia – vicino a Damasco smarrì la strada, rischiando di morire di sete. Una gazzella apparsa d’improvviso lo guidò a una sorgente e poi scomparve. Egli riconobbe nell’animale la presenza materna di Maria e volle costruire proprio in quel luogo un Santuario. Le monache, alle quali fu affidato il luogo, fecero arrivare da Gerusalemme la preziosa Icona di San Luca, che prese appunto il titolo di Madonna di Saidnaya.




La Sacra Icona ha prodotto numerosi miracoli, specie la sudorazione di olio, mediante il quale poi avvennero numerose guarigioni. È difficile ricostruire l’effige della Madonna perché, la sacra Immagine, è totalmente coperta da oro e argento. Sembra tuttavia essere una Galaktotrofousa, ovvero una Madonna del latte. A Roma, nel sacello della "Madonna delle Grazie", si venera una icona del tipo della Galaktotrofousa, di supposta provenienza da Saidnaya.

L’antico nome ellenistico della regione in cui si trova il Santuario, era Abilene; la tradizione locale collega il nome al biblico Abele, ucciso dal fratello Caino, la cui tomba si troverebbe proprio in quella regione. Gli studiosi ritengono che con probabilità capitale di Abilene era Saidnaya.
È significativo che proprio qui si stia svolgendo un conflitto fratricida che rischia di coinvolgere l'intera popolazione mondiale.

Già nel 2012 un ribelle dell’Esercito Libero siriano (FSA) entrò travestito da cristiano nel Santuario portando una candela. Uscì subito dopo frettolosamente, quasi correndo. Appena giunto ai gradini del Santuario cadde a terra stroncato da un infarto. Si scoprì allora che l'uomo aveva portato alla Vergine un candelotto esplosivo il quale, miracolosamente, non era esploso.




Queste sono le ragioni per cui, in quest’ora grave per la Siria e per tutti noi, desideriamo rivolgere una insistente preghiera a Nostra Signora di Saidnaya perché con il suo potente patrocino, lei Signora della Caccia, scacci dalla Siria e da tutto il mondo il pericolo della guerra.

Proponiamo ancora una volta (lo avevamo già fatto nel 2011, una coroncina che Madre Maria Serafina della Croce, fondatrice delle Adoratrici Perpetue del Monastero di Monza, recitò con successo per scongiurare la Pace al Signore.

[ Ricordiamo ai nostri lettori che OraproSiria ha affidato anche all'intercessione di padre Romano Bottegal il miracolo della pace in Siria:  http://oraprosiria.blogspot.it/p/i.html  : Che i Martiri siriani e il Cielo tutto si muova per ottenerci la pace! ]

giovedì 8 gennaio 2015

Non la satira, ma la verità saranno argine alla violenza

Fra Ibrahim è un frate siriano. Ha lasciato la sua terra anni fa, per seguire la sua vocazione e formarsi in Italia.
Oggi, proprio per la sua vocazione, torna nella sua terra, per lottare per la pace. Per portare speranza.




Il nostro augurio è che ognuno di noi possa raggiungere e mantenere il medesimo stupendo rapporto che fra Ibrahim ha con Dio e vivere in pienezza la propria Vocazione, qualunque essa sia ....

BUON 2015 da Piccoli Passi Possibili 


Per sostenere Fra Ibrahim nella sua missione, è possibile contattarlo qui: francescovai@hotmail.com.
Se voleste contribuire economicamente, le coordinate bancarie sono le seguenti:
- istituto bancario: Banca Carige, Agenzia 11 (Roma);
- nome beneficiario: "Delegazione di Terra Santa (Custodia di Terra Santa);
- iban: IT48A0343105018000000155180;
- causale: pro parrocchia Aleppo.

http://www.piccolipassipossibili.it/


Pietà non è condivisione. 

Che cosa ci impedirà di bestemmiare?


Cultura Cattolica, mercoledì 7 gennaio 2015

Scrivo sconvolto dall’orrore della notizia di oggi: alcuni redattori del giornale satirico «Charlie Hébdo» sono stati assassinati da un commando terrorista islamico. Avevano «offeso» l’Islam, e Maometto. Come altre volte avevano offeso la fede cattolica, pubblicando vignette blasfeme sulla Santa Trinità. Ora lo sdegno è corale, e moltissimi si rendono conto della gravità della situazione.

Affido, personalmente, alla misericordia di Dio questi uomini. Ma mi chiedo con dolore se ci rendiamo conto dove stiamo andando.
Fino a quando terremo gli occhi chiusi, accetteremo imbelli che ciò che di più prezioso ha l’uomo, la sua fede, venga irriso impunemente? O dovremo aspettare che chi non ha la nostra cura per la libertà faccia, a modo suo, giustizia? Così che non un codice di autoregolamentazione e rispetto abbiano a suggerirci il rispetto delle convinzioni altrui, ma la minaccia, la violenza e l’assassinio. Non è eroismo dissacrare le convinzioni degli uomini! Non è eroismo pubblicare vignette blasfeme! Non è eroismo deridere e pubblicare immagini che violano la coscienza profonda degli uomini!
Così qui in occidente assistiamo alla gaia derisione dei valori più sacri, vediamo distruggere la coscienza dei piccoli, ospitiamo convinti di fare esercizio di cultura chi mina la sacralità della vita e della famiglia, esibendo l’immoralità come conquista di libertà.
E poi vediamo l’orrore della brutalità scatenarsi nelle nostre città. Forse è giunto il momento di aprire gli occhi e cercare di costruire spazi di ascolto, di riguardo, di confronto con tutti.
Ho guardato sul web: quanti esprimono la loro solidarietà e il loro disappunto. «Io sono Charlie» campeggia ovunque.

No, io non riesco ad esprimermi così. Ho orrore e disgusto e disprezzo per coloro che hanno ucciso a sangue freddo questi uomini. E questo rivela la loro cultura, disumana. Ma chiedo che la libertà invocata giustamente sia nutrita da un lavoro di creazione di modalità di accoglienza di tutti.
È vero, l’islam – e lo vediamo per quanto accade sotto i nostri occhi contro i cristiani – non è religione di pace. La spada non è solo metafora di un impegno a combattere il male con le armi spirituali. La libertà religiosa e di pensiero non sono valori apprezzati, anzi.
Ma è pur vero che noi siamo in un contesto in cui l’uomo sta morendo. Il pensiero degli altri non viene più rispettato. Si cerca di manipolare – attraverso tutti i mezzi a nostra disposizione – la verità. Chissà se invece che esprimere reazioni alla violenza cieca sappiamo trovare l’antidoto reale, quell’antidoto che nel mondo l’ha portato nostro Signore! In questo mondo dell’odio e della menzogna, non saranno le nostre urla di indignazione a cambiare la realtà, ma solo una presenza libera di bene, offerta a tutti gli uomini.
Sarà la cieca violenza che ci tratterrà dalla bestemmia? La nostra cultura dalle radici cristiane ha risorse più vere per creare la «civiltà dell’amore»!

http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=36679

lunedì 11 agosto 2014

Dinanzi alla violenza in nome di Allah: la grande domanda che l’Islam ha dinanzi a sé alla quale solo gli islamici possono rispondere



Centro culturale Gli scritti (10/8/2014)
 di Giovanni Amico

Il ripetersi di fatti inauditi di violenza in nome di Allah mostra a chiunque sia in buonafede che il problema è costitutivo per l’Islam odierno. Non è sufficiente affermare che sono solo minoranze islamiche che compiono atti efferati: si ammetta pure che solo il 35% dei musulmani sia d’accordo con azioni violente[1], ne consegue che per il restante 65% non sarà sufficiente affermare che ciò non è conforme alla fede islamica, ma si tratterà piuttosto di generare un movimento di opinione che contrasti efficacemente la minoranza violenta [2].

Non spetta a chi non è musulmano risolvere questo problema: dall’esterno si può dare una mano, ma non risolvere i dilemmi interni dell’Islam. Farsi carico della risposta sarebbe dare corpo a quel senso di vittimismo che impedisce ad ognuno, ed in questo caso agli islamici, di prendere su di sé la responsabilità del proprio destino [3].

Il problema, a nostro avviso, è semplice e si può porre in questi termini, per aiutare i musulmani ad affrontarlo. Maometto ha combattuto ben 27 campagne militari ed ha ucciso, Maometto ha decretato lo sterminio di intere tribù nella penisola arabica, la guerra santa è stata fin dall’inizio una guerra di conquista militare per l’espansione dell’Islam che ha portato in pochissimi decenni gli arabi alla conquista del medio oriente, del Nord africa, di parte dell’Europa (Andalusia, Sicilia, Puglia, Garigliano, Saint-Tropez, ecc. ecc.), della penisola anatolica fino alle porte di Costantinopoli (per non parlare dell’avanzata delle armate turche che si sostituirono a quelle arabe a partire dal 1077): l’enunciazione di questi fatti non è un offesa all’Islam, anzi qualsiasi musulmano sarà d’accordo con queste evidenze storiche.

Il problema è piuttosto che i musulmani violenti si richiamano a queste origini dell’Islam. Chiedendo ai loro confratelli di convertirsi al vero Islam hanno gioco facile nel ricordare loro che questa è la storia primitiva  della diffusione islamica.

Agli altri musulmani spetta, allora, di mostrare che questi fatti originari erano dovuti ad eventi contingenti e non solo essenziali al vero Islam. Spetta loro mostrare che si può essere islamici e chiedere scusa, come hanno fatto altre religioni come il cristianesimo, degli eventi violenti della propria storia passata.
Se tali fatti originari non hanno più valore per l’oggi, allora sarà possibile rifiutare gli atti violenti odierni dell’Islam. Per proporre un Islam che oggi rinneghi la violenza contro le minoranze, permetta la conversione di un islamico al cristianesimo, si schieri a favore di una vera libertà religiosa, è necessaria una lettura critica della storia islamica.

Altrimenti i violenti avranno vita facile, poiché accuseranno gli islamici moderati di aver abbandonato la fede e di essersi lasciati corrompere dai costumi occidentali. In termini tecnici è in questione un’ermeneutica delle origini, una capacità di lettura critica della nascita e dei primi secoli dell’Islam, che mostri che alcuni eventi violenti originari non siano avvenuti per volontà divina, bensì siano dipesi da scelte contingenti ed opinabili dei primi musulmani.

A noi che non siamo musulmani non è possibile rispondere se può darsi un Islam che rinneghi la violenza delle sue origini, contestualizzandola e ritenendola inessenziale. Non possiamo noi rispondere come si caratterizzerebbe un Islam che accettasse che le scelte di fede sono pienamente libere, che accettasse cioè che come un cristiano può divenire musulmano, così un musulmano può divenire cristiano senza che nessuno eserciti violenza se la sua coscienza lo spinge a questo passo. Non possiamo noi rispondere alla domanda se può esistere un Islam che in uno Stato a maggioranza musulmana conceda ad altre religioni o allo stesso ateismo di predicare liberamente le proprie opinioni.

Però è non solo un nostro diritto, ma anche un nostro dovere porre ai musulmani queste domande, proprio perché vogliamo essere loro amici e non amici di facciata, bensì amici leali e sinceri, liberi come è libero ogni vero amico.
Dalle risposte a queste domande dipende molto della storia futura del mondo e dell’Islam stesso.

Ci piace sottolineare che queste riflessioni non sono suscitate dalla paura di una possibile affermazione planetaria dell’Islam, anzi. La nostra presa di posizione è dettata dalla paura opposta: se la maggioranza silenziosa dell’Islam non si affretterà ad affrontare queste questioni  è pensabile piuttosto una scomparsa dell’Islam a livello mondiale. O l’Islam, infatti, sarà capace di mostrare a se stesso che è in grado di maturare una visione serena della modernità, altrimenti crollerà d’improvviso. E crollerà tragicamente dopo aver ingoiato nella sua violenza un numero enorme di musulmani – è evidente agli occhi di chiunque che le vittime musulmane dell’odierna crisi che l’Islam sta attraversando sono in numero infinitamente maggiore delle morti che le minoranze violente islamiche infliggono ai non musulmani.

Fra l’altro numerosi paesi islamici sono possessori di enormi ricchezze: ma per convertire questi beni in scelte educative che si preoccupino della formazione di ragazzi e ragazze islamiche che sappiano guardare in maniera critica alle origini dell’Islam, in vista di una visione dell’Islam adeguata al XXI secolo, serve che per primi i governanti scelgano una visione chiara dell’Islam che intendono proporre.


[1] È inutile nascondersi dietro ad un dito: le minoranze islamiche favorevoli alla violenza non sono l’1% o il 5% della popolazione, ma siamo in presenza di percentuali molto più alte, sebbene alcune statistiche dell’anno in corso comincino a registrare un calo, sebbene ancora contenuto, di tali percentuali.
[2] La totale assenza di manifestazioni contro gli atti efferati compiuti in nome dell’Islam in molti paesi a maggioranza islamica e l’insignificanza di manifestazioni negli altri parla con evidenza dello stato di empasse in cui si trovano i musulmani. Ma ciò che è, a nostra avviso, ben più significativo è la mancanza di una chiara scelta educativa nei confronti delle nuove generazioni – di questo si parlerà oltre.
[3] A nostro avviso, grave è la responsabilità dei media occidentali che sposano e incoraggiano il vittimismo di alcune correnti di opinione musulmane e non le invitano ad una seria assunzione di responsabilità, a partire dalle potenzialità enormi che esse hanno ad esempio a livello economico.

http://www.gliscritti.it/blog/entry/2632

Cristiani in fuga, il futuro dei cristiani in Iraq

RaiNews24, 10 agosto 2014

vedi video: 


Sinjar, nord Iraq: la croce della chiesa viene sostituita con la bandiera nera ISIS

Nel campo dei cristiani stremati

I racconti, la paura e l’ira: una giornata con le migliaia di persone sfuggite all’offensiva dei guerriglieri islamici nella piana di Ninive. «È un massacro, dateci le armi»



Il Corriere , 10 agosto 2014
di Lorenzo Cremonesi

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«L’emergenza riguarda oltre 100.000 cristiani scappati di fronte all’avanzata dei radicali sunniti da Mosul verso l’enclave curda. Ma il dramma non è solo delle persone. E’ l’antica cultura della nostra convivenza con i musulmani che viene cancellata. Il meccanismo della coesistenza pacifica si è inceppato. Siamo di fronte a un Medio Oriente diverso da quello che avevamo sempre conosciuto», esclama allarmato Warda. Le sue parole sono un campanello di allarme. Occorre ascoltare bene i racconti della sua gente per comprenderlo. Da lontano, è difficile distinguere la valenza dei crimini che si stanno consumando nella piana di Mosul. Qui ora c’è una Chiesa molto diversa da quella che ai tempi di Saddam Hussein porgeva «l’altra guancia». C’è un disperato grido di guerra. Una richiesta di aiuto alla cristianità perché si mobiliti in difesa della fede. Tutti plaudono ai raid aerei Usa. «Per fortuna sono arrivati loro. Devono sterminare i criminali del Califfato. Speriamo che li ricaccino verso la Siria, a morire nel deserto», dicono i responsabili della Chiesa e i loro fedeli con parole sempre eguali. «Ma perché le bombe americane non sono arrivate prima? E voi europei cosa aspettate?».
«Le nostre sofferenze di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e cristiani occidentali nel prossimo futuro», dice il 47enne Amel Nona, l’arcivescovo caldeo di Mosul fuggito ad Erbil. Il messaggio è inequivocabile: l’unico modo per fermare l’esodo cristiano dai luoghi che ne videro le origini in epoca pre-islamica è rispondere alla violenza con la violenza, alla forza con la forza. Nona è un uomo ferito, addolorato, ma non rassegnato. «Ho perso la mia diocesi. Il luogo fisico del mio apostolato è stato occupato dai radicali islamici che ci vogliono convertiti o morti. Ma la mia comunità è ancora viva». E’ ben contento di incontrare la stampa occidentale. 
«Per favore, cercate di capirci - esclama -. I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri principi. Voi pensate che gli uomini sono tutti uguali - continua l’arcivescovo Amel Nona - Ma non è vero. L’Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra».  

   leggi qui l'articolo completo:
http://www.corriere.it/esteri/14_agosto_10/nel-campo-cristiani-stremati-990dca94-2058-11e4-b059-d16041d23e13.shtml

Lettera d'addio : a voi, che pensavamo ci avreste protetti... 

dello scrittore iracheno cristiano Majed Aziza alla sua città, Mosul


Espulsi lasciamo la nostra città Mossul, umiliati dai detentori del nuovo islam. La lasciamo per la prima volta nella storia. E, partendo, ringraziamo i nostri vicini, vicini che pensavamo ci avrebbero protetto come lo facevano un tempo e che si sarebbero ribellati contro la furia di questi criminali del XXI° secolo dicendo loro che noi siamo gli autentici figli di questa città e che ne siamo i fondatori. Ci facciamo coraggio dicendoci che possiamo contare su di loro, fratelli valorosi che mostreranno di che pasta sono fatti (lett. “di che legno si scaldano”).
Ma ci hanno abbandonato, lasciandoci trascinare fuori dalla città, verso l’ignoto. Hanno chiuso gli occhi, mentre lasciavamo dietro di noi la nostra storia, le tombe dei nostri antenati, le nostre case, il nostro patrimonio e tutto ciò che è caro al nostro cuore. Ci hanno abbandonato, mentre dicevamo addio ai nostri quartieri, alla moschea di Giona (che conteneva anche la tomba di questo profeta e che, per questo motivo, è stata distrutta dagli jihadisti dello stato islamico in Iraq e nel Levante (ISIS). Addio anche all’arcivescovado, alla chiesa di Maskinta e a quella d’Ain Kibrit… Addio a tutti voi! Non ci saremo più per le vostre feste e cerimonie, matrimoni e funerali. 

La fine dei millenni passati insieme
Addio ai nostri parenti seppelliti a Mossul. Li lasciamo, cacciati dalla nostra città. Ci perdonino se non possiamo andare sulle loro tombe in occasione delle feste religiose. Addio ai resti mortali di mio nonno Elias, del mio zio paterno – padre Mikhail –, ai miei zii materni Ibrahim et Mikhail Haddad che mi hanno trasmesso la passione del giornalismo, addio al mio zio paterno Estefan Aziza, il primo martire della famiglia, addio al convento di San Giorgio, addio ai ponti della mia città, alle sue mura e ai suoi terreni di gioco, alla sua università e al suo centro culturale. 

Perdonateci, vecchi amici, fratelli e nobili figli della nostra città. Perdonate le nostre mancanze. Se possiamo aver mancato ai nostri doveri nei vostri confronti ciò non toglie che abbiamo vissuto insieme centinaia, anzi migliaia di anni, costruendo Mossul con il sudore della nostra fronte. 

E oggi, ci guardate da lontano, mentre siamo scacciati, umiliati agli occhi di tutti. Gli assassini del Daech (acronimo arabo di ISIS) ci hanno cacciato dalle nostre case e dalle nostre città. Addio a tutti voi. E grazie. Lasciamo, sotto costrizione, una terra che abbiamo nutrito con il nostro sangue.

Traduzione di Don Pierre Laurent Cabantous



http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=35829

martedì 9 ottobre 2012

SANGUE CRISTIANO A DAMASCO

Ad Aleppo i terroristi suicidi islamici si sono fatti esplodere devastando chiese, conventi, il centro storico e ucciso migliaia di cristiani.
Riceviamo e pubblichiamo questa drammatica testimonianza di Monsignor Issam John Darwich, Arcivescovo di Zahle, Furzol e Bèkaa (Libano) in una lettera inviata a Maurizio Baiotti, presidente di Wecare Onlus.
 
Arcieparchia di Zahleh e Furzol e Békaa
Mariamnensis Graecorum Melkitarum Chiesa greco-melchita

Tél + 961 - 8 - 800333 Fax + 961 - 8 - 822406 (Saïdat an-Najat) Zahlé - Liban Quartier Notre-Dame de la Délivrance

WECARE onlus,
Carissimo Maurizio Baiotti
 Sono l'arcivescovo Issam John Darwich . l'arcivescovo di Zahleh, Furzol e Bèkaa (LIBANO)  

Sento il desiderio di ringraziarti per l'attenzione, l'affetto e la partecipazione dimostrata per noi e per il nostro dolore.

Voglio informarti sia dell'attuale situazione siriana sia della condizione dei profughi cristiani. In questo mi permetto di chiedere ancora di continuare a sostenerci e di non abbandonarci.

La guerra imperversa e non lascia possibilità di scampo alcuna.

La situazione in Siria sta degenerando al punto che, nella città di Rable, terroristi islamici hanno sequestrato 220 cristiani cattolici ed hanno posto un ultimatum alla popolazione. I ribelli chiedono, alla comunità cristiana, di lasciare la città entro 10 giorni altrimenti gli ostaggi verranno tutti uccisi. La paura è quella di dover assistere, impotenti, ad un ulteriore massacro di innocenti.

Ad Aleppo, prima città cattolica del Medio Oriente e patrimonio mondiale dell'umanità (così definita dall'UNESCO), kamikaze musulmani si sono fatti saltare in aria e, con il loro "sacrificio", hanno devastato chiese, conventi e tutto il centro storico. Hanno ucciso migliaia di persone, affamato famiglie, diviso fratelli e causato un notevole incremento nelle fila dei profughi alla ricerca di salvezza.

Continuamente accogliamo nuove famiglie che cercano disperatamente aiuto.

La Chiesa piange i suoi figli e si unisce al loro grido di richiesta di aiuto.

Ti ringrazio dell'aiuto che vorrai offrirci e rinnovo l'invito a visitare la nostra terra che, pur essendo martoriata, risplende in tutta la sua bellezza ed in tutta la sua speranza di vedere un futuro migliore basato soltanto sulla pace e sul rispetto reciproco.

Ponendo grande attenzione alla tua sensibilità ti invio qualche immagine che fotografa la tragica condizione che siamo costretti a vivere.

Uniamoci in un'unica famiglia, quella cristiana, poiché «
La pace non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi ad assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti» (CCC 2304). Solo così potremo collaborare alla costruzione del Regno di Dio: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).

Ti ringrazio caldamente a nome della martire comunità cristiana perché un piccolo aiuto significa la salvezza di un uomo.

Grazie e che il Signore benedica i pensieri del tuo cuore.
Tuo fratello in Cristo

Mgr. Issam John Darwich, B.S.
Arcivescovo di Zahleh, Furzole Bèkaa (LIBANO)

Padre Nader Jbeil , 05-10-2012
Rettore Radio Sawt El Sama

http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=31500

mercoledì 5 settembre 2012

LA RESPONSABILITA' DI CHI FA INFORMAZIONE

L' orrore di una guerra troppo fotogenica

di TZVETAN TODOROV
LaRepubblica 2 settembre 2012


L' ESTATE del 2012, come quella del 2011, è stata scandita dagli echi della guerra: questa volta però non in Libia, ma in un altro Paese arabo, la Siria. E non sono le forze occidentali (le nostre) che schiacciano il turpe nemico, si tratta di una guerra civile di cui noi, almeno ufficialmente, siamo soltanto spettatori. L' impressione globale che traggo dalle mie frequentazioni mediatiche estive è quella di una fascinazione di fronte allo spettacolo della guerra.
C'è una frase che coglie e al tempo stesso incarna lo stato d' animo che sovrintende a questi reportage militari ed è di Florence Aubenas. Giornalista stimata, la Aubenas descrive un convoglio pronto a partire per il fronte, poi aggiunge: «Intorno, i bambini fanno ala, sbalorditi, irretiti dall' ammirazione a tal punto che non osano più avvicinarsi a quegli uomini». Visto che nemmeno la Aubenas stessa osa commentare lo sbalordimento di quei bambini, conseguenza tragica del conflitto, siamo noi - giornalisti e lettori - che siamo invitati a condividere questa esperienza di folgorazione. La fascinazione si traduce, nella stampa, in una sovrabbondanza di immagini: la guerra è fotogenica.
Pagina dopo pagina, contempliamo le rovine fumanti degli edifici, i cadaveri stesi sul selciato, i cattivi condotti all' interrogatorio, probabilmente energico; o ancora le immagini di uomini giovani e belli con un kalashnikov in mano o a tracolla. Le foto, lo sappiamo, provocano un' emozione forte, ma prese isolatamente non emettono alcun giudizio ed è impossibile dare loro un senso. La stessa compiacenza caratterizza i testi che accompagnano le foto: ci si rallegra di vedere gli effetti di un attentato audace, di scoprire un esercito che si appresta a prendere il potere. «La battaglia galvanizza i ribelli», ma galvanizza palesemente anche i giornalisti. Le foto mostrano i visi inquieti dei prigionieri, le didascalie li identificano stringatamente: «Un uomo sospettato di essere un informatore», «Un poliziotto accusato di spionaggio»; sono ancora vivi al momento della pubblicazione? Si traccia con disinvoltura il ritratto di un ragazzo «modesto» la cui specialità è «sopprimere i dignitari e i capi dei miliziani». Ma non è da biasimare: «È un assassino di assassini, un uccisore di uccisori». I combattimenti, la violenza non sono solamente fotogenici, sono anche mitogenici, generano i racconti più palpitanti, quelli che ci fanno fremere e comunicare. Nella grande maggioranza dei casi, i media non si accontentano di rappresentare la guerra, la glorificano: hanno scelto da che parte stare e partecipano allo sforzo bellico. A dire il vero, la guerra suscita quasi sempre una fascinazione, perché rappresenta la situazione per eccellenza in cui, in nome di un ideale superiore, si è pronti a rischiare la cosa più preziosa che si possiede, la vita. A ciò si aggiunge l' ammirazione che nutrono gli spiriti contemplativi per gli uomini d' azione, rapidamente trasformati in simboli, e anche l' attrattiva che esercita la violenza: proviamo piacere a guardare distruzioni, massacri, torture.
Il fascino della guerra nasce anche dal fatto che rappresenta una situazione semplice, dove la scelta viene da sé: il bene si contrappone al male, i nostri agli altri, le vittime ai carnefici. Mentre prima l' individuo poteva trovare la propria vita futile o caotica, ora essa assume un senso pregnante. Di colpo non ci si preoccupa più di interrogare la realtà che sta dietro alle parole. La rivoluzione è necessariamente un bene, qualunque sia l' esito? E la lotta per la libertà non rischia di dissimulare un semplice desiderio di potere? Basta rivendicare i diritti umani, denominazione d' origine non controllata, per essere consacrati come loro difensori?

Eppure, negli stessi resoconti, compare un' altra immagine della guerra, se solo si va al di là dei titoli a effetto e delle didascalie delle foto e ci si interessa nel dettaglio alle descrizioni. Le giustificazioni ideologiche, essenziali in un primo momento per mettere in moto una guerra civile, in un secondo momento servono soltanto a rivestire una logica più potente, inerente alla guerra stessa, una catena di rappresaglie e controrappresaglie, con la violenza che ogni volta sale di una tacca più su. «Nessun perdono è possibile, sarà occhio per occhio e dente per dente». «Quelli che hanno ucciso li uccideremo». L' intransigenza diviene un dovere, la negoziazione e il compromesso sono percepiti come dei tradimenti.
Le vittime principali non sono i combattenti dell' uno e dell' altro esercito, ma le popolazioni civili, sospettate di complicità con il nemico, che vivono nell' insicurezza permanente, che muoiono in esplosioni indiscriminate, che fuggono abbandonando le loro case e i loro villaggi, che si ammassano nei campi profughi installati nei Paesi vicini. Le guerre civili non sono mai un semplice scontro fra due parti della popolazione, consacrano la scomparsa di qualsiasi ordine legale comune, incarnato ai giorni nostri dallo Stato, e rendono dunque lecite le manifestazioni della forza bruta: saccheggi, stupri, torture, vendette personali, uccisioni gratuite. Questo probabilmente è il futuro che attende quei bambini irretiti di ammirazione.
(TZVETAN TODOROV Traduzione Fabio Galimberti) © RIPRODUZIONE RISERVATA


Per i mass media tutte le opinioni sono buone e interscambiabili
Autore: Ricci, Patrizio 
Fonte: CulturaCattolica.it
domenica 2 settembre 2012
I miliziani dell'ELS scacciano i civili dalle abitazioni per farne postazioni di attacco contro l'esercito
regolare. Da qui le distruzioni dei quartieri residenziali, le fughe di masse di profughi...

Laresponsabilità di chi fa informazione  è immensa: si dovrebbe scrivere della pace e della possibilità degli uomini di non vivere più con l’odio. Scrivere che l’odio non deve essere più il filo conduttore della storia degli uomini, ma che solo l’amicizia tra i popoli, il desiderio di infinito, la bellezza possono costruire e fondare le società e gli Stati!
I “nostri” giornali invece si sono rivelati sulla vicenda siriana incapaci di osservare i fatti e di un giudizio semplice. Evidentemente, di questo l’uomo ha bisogno. Più delle analisi e dei sofismi.
Certi articoli ospitati si spingono più in là: contraddicono addirittura il magistero della Chiesa. Se glielo si fa notare, scrivendo in redazione, non rispondono o si mostrano infastiditi. Alla mia obiezione che è contraddittorio dare spazio ai documenti dei Vescovi e, contestualmente, alle interviste ai terroristi, fatti passare come liberatori, mi rispondono che dovrei essere contento, perché è segno che l’informazione è pluralista!
E' pluralismo ospitare personaggi celebri della cultura e del giornalismo che pontificano sulla risoluzione dei problemi con le armi, e si appellano ad improbabili organismi sovranazionali la cui indipendenza è pari a zero?
Ci affidiamo all’emergente “responsability to protect” dell’ONU? La Chiesa giustifica il ricorso alle armi solo per legittima difesa e così la nostra Costituzione! Qui invece si distruggono le case, si uccide settariamente la gente per strada, ci si fa scudo della popolazione civile… E’ un assaggio della libertà. Il giudizio cristiano su queste evidenze non può che essere unico. Penso che la mentalità dominante si stia insinuando davvero dappertutto, perché mi sembra evidente che se c’è unità tra la ragione e l’esperienza non possono verificarsi errori così grossolani!
Si aspetta “il nemico” davanti alla finestra, che arrivi come un ladro, entrando di soppiatto; invece il ladro entra dalla porta principale: dalla nostra stampa, che legittima un pensiero anticristiano e perverso che pretende di imporre le regole di una nuova convivenza dove contano solo le armi, il potere economico e una concezione anticristiana di giustizia e di liberazione dell’uomo. Dov’è il nostro cuore?
E’ in atto un gioco che non tiene conto della sacralità della vita e la “nostra” stampa evidentemente è incapace di disallinearsi. Decine di tentativi di destabilizzazione delle grandi potenze mondiali effettuati nelle varie epoche per contribuire all’ascesa di governanti amici, spesso hanno portato risultati disastrosi per i popoli. Ebbene, quante volte dovrà accadere di nuovo, prima che ne prendiamo consapevolezza? Prima che per analogia lo si sappia riconoscere quando riaccade?
Come dicevo, la giustificazione comune delle testate cattoliche - tranne alcune lodevoli eccezioni - è: «Diamo solo spazio al confronto delle varie opinioni perché siamo contro al pensiero unico pro-Assad o pro-ribelli».
Questo tipo di risposta mi lascia perplesso: le opinioni non si incontreranno mai veramente in un confronto di semplici “punti di vista”: nella vita occorre sempre prendere posizione, esprimere un giudizio di valore davanti a ciò che accade. L’opinione è debole perché non nasce da un’esperienza, mentre il giudizio sì! Il giudizio tiene conto dell’esigenza elementare del cuore dell’uomo!
L’incontro tanto richiamato dal Papa Benedetto tra ragione e fede genera uno sguardo originale sulla realtà, uno sguardo cambiato da un incontro: il Mistero che si è fatto carne. Questo fatto ci pone davanti alla realtà non con un’opinione ma con un giudizio che nasce dall’avvenimento storico di Cristo. E’ il rapporto con cui paragoniamo tutto, perché più congeniale alla nostra umanità. Alla luce di questa Presenza noi giudichiamo la realtà e non diciamo semplicemente la nostra più o meno “colta” opinione. Scegliamo questo sguardo e non una confusione di opinioni.
Perciò “tenere conto di tutti i fattori della realtà” – come dice don Giussani - lungi dal generare un giudizio dissociato a seconda dei vari avvenimenti che passano davanti ai nostri occhi, vuol dire guardarli in unità alla luce dell’origine che la realtà stessa indica. Se tale approccio, se tale giudizio tiene conto delle esigenze fondamentali dell’uomo non può essere che unico.
E’ evidente che informare secondo verità non vuol dire riportare tutte le opinioni come buone ed interscambiabili. La scelta stessa delle notizie indirettamente privilegia un particolare giudizio, e non si tratta qui del colore di un pavimento, ma del significato dell’uomo e di che convivenza umana vogliamo costruire. Dobbiamo dire cosa cospira contro il realizzarsi del “bel giorno” per cui l’uomo è fatto.
Ora, come possono le “opinioni” muovere e rispondere alle esigenze del cuore? L’uomo ha bisogno dello sguardo di Cristo; senza questo sguardo è perso. La pretesa tipica del nostro tempo di essere giusti, equi, liberi e democratici “tenendo le distanze” dagli aspetti più importanti della vita si sta rivelando la nostra agonia.
Solo l’Avvenimento di Cristo ha cambiato la storia ed il nostro guardare. Perciò, cari giornali cattolici, possiamo fare di più. Potete fare molto di più.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=31024&Pagina=1&fo=