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sabato 13 febbraio 2021

"Quanto è facile e veloce distruggere una nazione. E quanto è più difficile ricostruirla. Che ferita terribile e profonda!"

 

di mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco 

Sembra che la guerra siriana sia il dramma più crudele cui ha assistito il mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale. 

Quando si è registrato un calo delle violenze legate al conflitto, al tempo stesso si è insinuata una guerra economica ancora più dura, che ha messo in ginocchio ogni residua speranza di ripresa per il popolo che, al contrario, ha visto raddoppiate le proprie sofferenze. 

Quello di oggi resta uno scenario dominato dal caos: 

1 - Le vittime: almeno 950mila, che hanno gettato altrettante famiglie nel dolore, nel lutto e nella precarietà. 

2 - Oltre 200mila persone disperse, e fra queste vi sono due vescovi e quattro sacerdoti di cui non si sa più nulla da tempo. Un incubo per i loro familiari e per gli amici, che non sanno cosa sia successo ai loro cari.

3 - Almeno 13mila sfollati interni provenienti da diverse aree vivono nella più completa miseria, incertezza e disperazione. 

4 - Sono 95mila i siriani con mani, piedi o gambe amputate o paralizzate. Essi rappresentano un grave problema che lo Stato non è in grado di affrontare e le cui conseguenze sono durissime sia a livello medico che psicologico. 

5 - In base alle ultime stime sono 2,5 milioni gli edifici distrutti, danneggiati, rasi al suolo o inagibili per la guerra. Le rovine giacciono dappertutto rendendo diverse aree città fantasma, che sono diventati nel tempo campi per profughi o senzatetto. 

6 - Ad una crisi generalizzata si sommano anche i blocchi e le sanzioni internazionali, che limitano anche quei pochi aiuti, risorse o finanziamenti che possono arrivare dall’esterno. Ricordiamo anche il crollo della moneta locale, la lira siriana, l’inflazione galoppante che si vanno ad aggiungere alla pandemia di nuovo coronavirus in un mix dagli effetti devastanti e che ben inquadrano la situazione attuale della nazione. 

Del resto, come è facile e rapido distruggere un Paese fino alle sue fondamenta, così è altrettanto difficile, arduo e lento provare a ricostruirlo.

Di fronte a queste scene di desolazione, la Chiesa in Siria - sebbene minoranza nel Paese - non ha voluto restare solo una spettatrice silenziosa ma ha voluto lanciare un Sinodo del rinnovamento e contribuito a portare la luce dello Spirito (Santo) in molti modi diversi. Da qui la testimonianza diretta e attiva nella promozione di opere di carità nel campo della sanità, dell’istruzione, un programma pastorale dedicato ai giovani, la mediazione familiare e un aiuto per i nuclei in maggiore difficoltà, non solo a livello economico. A questi si aggiungono anche l’attenzione per le persone più fragili, il sostegno a quanti sono stati colpiti dalla guerra in modo materiale o umano, sconvolti da quella che è stata una vera e propria frantumazione del Paese. In questo senso, le serate dedicate all’adorazione del Santissimo Sacramento sono state uno degli appuntamenti più sentiti nel tentativo di capire l’essenza del messaggio (cristiano) in questo orizzonte di devastazione.

Quanto è facile e veloce distruggere una nazione. E quanto è più difficile ricostruirla. Che ferita terribile e profonda!

“Maestro, non t'importa che moriamo?” (Marco 4, 35)

Anche se il mondo ha dimenticato la Siria, il Signore veglia sulla nazione e il suo popolo e non lascerà affondare e sparire nel nulla la sua barca. 

FONTE :  AsiaNews

mercoledì 29 gennaio 2020

La Quaresima anticipata dei siriani


Testimonianza di mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, inviata ad AsiaNews che testimonia le drammatiche condizioni in cui versa la popolazione siriana. Quasi nove anni di guerra civile, le violenze dei gruppi jihadisti (da al-Nusra allo Stato islamico) che hanno insanguinato gran parte del territorio, l’emergenza profughi, le sanzioni internazionali contro Damasco e la crisi delle banche libanesi hanno messo in ginocchio il Paese. E i più colpiti, osserva mons. Nassar, sono “soprattutto i più fragili, i malati, i bambini e gli anziani“


Dall’austerità alla povertà
Immaginate che la vostra famiglia debba sopravvivere con un salario che è diminuito almeno del 50% in tre mesi. Uno scenario caotico che stravolge l’esistenza, che ha fatto innalzare in maniera vertiginosa i prezzi e che finisce per colpire la vita quotidiana di tutte le famiglie, in particolare modo quelle più povere e modeste. 
Infatti, l’inflazione vertiginosa e l’impennata dei prezzi si ripercuotono su cittadini che già vivono in condizioni di austerità, facendo sperimentare loro povertà e una grande miseria. 
La mancanza di carburante, del gas per uso domestico e della corrente elettrica, hanno fatto precipitare i più vulnerabili - soprattutto i più fragili, i malati, i bambini e gli anziani - nella più completa oscurità. Un dramma acuito dalle temperature glaciali, i cui effetti possono essere letali.  

Carità congelata
La crisi bancaria del Libano ha di fatto bloccato i conti correnti dei siriani, sia quelli dei privati cittadini che delle imprese. Fra queste ultime sono comprese anche le associazioni caritative, che oggi sono costretti a dichiararsi incapaci di operare in un contesto contraddistinto da profonde ed enormi difficoltà. Sono giorni di miseria. 
Oggi non è più possibile far fronte alle esigenze di base e ai bisogni primari e i poveri sono abbandonati a loro stessi e al loro triste destino. I loro miseri risparmi sono bloccati o congelati negli istituti bancari, pressoché inaccessibili.
Le condizioni socio-economiche della popolazione si fanno ogni giorno di più urgenti e drammatiche, e rischiano di aggravarsi ancora di più anche e soprattutto per il braccio di ferro in atto fra Iran e Stati Uniti. Uno scontro frontale che blocca la strada ai vari “Simone di Cirene” che cercano di portare aiuto, e impediscono di fatto qualsiasi forma di compassione, lasciando aperta la via dell’escalation e a un peggioramento ulteriore della situazione. 

Quaresima anticipata
Questa crisi mai vista prima, nemmeno durante gli anni della guerra, getta i nostri fedeli in un tempo di digiuno e di Quaresima anticipato. Assicurare il pane quotidiano e un po’ di cibo sulle tavole è diventato l’incubo ricorrente di ogni giornata. Questa condizione del tutto nuova ha impoverito la Chiesa stessa, un “muro del pianto” dove ciascuno viene per piangere lacrime, gridare aiuto, cercare senza ostentarlo e nel silenzio più assoluto un po’ di consolazione. Un modo per vivere la passione di Cristo ben prima della Settimana Santa.
Sta emergendo sempre più una nuova vocazione con i colori delle Beatitudini e fondata sull’amore, sul perdono, sulla condivisione, sulla compassione. Una vocazione che è illuminata dalla luce della speranza della Pasqua.

Quaresima 2020


Risultati immagini per Siria miseria
«Dopo la guerra delle armi, ora combattiamo la guerra della fame»
Intervista di Rodolfo Casadei a padre Ibrahim Alsabagh
TEMPI, 29 gennaio 2020

«Non è vero che la guerra ad Aleppo è finita tre anni fa. Mentre io sono qui in Italia, cadono razzi e bombe lanciati dai ribelli su Jamiet al-Zahra e Hamdaniya, i due quartieri più occidentali della città. Nel corso di questo mese sono morte già 12 persone e vari edifici sono stati distrutti. È il modo con cui i jihadisti si vendicano dell’offensiva governativa nell’Idlib, da dove non lasciano uscire i civili che vorrebbero trasferirsi in luoghi più sicuri, e invece cadono vittime del fuoco incrociato». Padre Ibrahim Alsabagh, parroco francescano della parrocchia latina di Aleppo, è in Italia per sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che le sofferenze dei siriani e le traversìe dei cristiani non sono affatto finite, anche se i media europei si occupano ormai di altre crisi internazionali: Libia, Iran, ecc.

Gas e elettricità
«Stiamo combattendo contro due mostri: il freddo e il carovita», esordisce. «Il gasolio per il riscaldamento scarseggia a causa delle sanzioni contro la Siria e contro l’Iran, solo in alcune zone della città si riesce ad acquistare quello del governo a prezzo calmierato, che è circa la metà del prezzo di mercato. Per le bombole del gas da cucina bisogna fare la fila dalle 5 di mattina, e magari si riesce a fare l’acquisto alle 11. C’è gente che si fa pagare per tenere il posto nella coda a chi non può stare lì tutta la mattina dall’alba. L’elettricità va e viene in modo del tutto irregolare anche nei quartieri più centrali di Aleppo come il nostro: ciò provoca cortocircuiti e incendi. La città continua ad essere economicamente soffocata perché continua a non disporre più del suo hinterland: a nord ci sono i territori controllati dai turchi e dai curdi, a ovest c’è la regione dell’Idlib dove i governativi combattono contro i jihadisti. L’autostrada che collegava Aleppo al sud del paese continua ad essere impraticabile: adesso è sotto il fuoco dell’esercito, che cerca di riconquistarla da anni. A questi problemi di vecchia data si è aggiunta la crisi del Libano: per tutti gli anni della guerra è stato un polmone per la Siria, tanti avevano spostato lì i loro conti bancari e attività finanziarie per aggirare le sanzioni. Ma da quando sono iniziate le proteste di piazza, anche il sistema bancario libanese è andato in difficoltà: le banche restano chiuse per giorni a causa delle manifestazioni, e quando sono aperte non permettono di prelevare più di 1.000 dollari alla settimana dai conti correnti bancari. Anche per chi deve aiutare i poveri e i bisognosi questo è diventato un grosso guaio».

La guerra della fame
L’insieme di tutti questi problemi, ai quali vanno aggiunti i contrasti fra il presidente e l’uomo d’affari più ricco del paese, suo cugino Rami Makhlouf, hanno provocato una forte svalutazione della lira siriana, che negli ultimi dodici mesi ha perduto metà del suo valore rispetto al dollaro, e nelle sole due prime settimane di gennaio 2020 il 33 per cento, col cambio che passava da 900 a 1.250 lire siriane per un dollaro. «Il governo ha arrestato alcuni speculatori e ha aumentato alcuni stipendi, ma non abbastanza da restituire il potere d’acquisto dei salari eroso dall’inflazione», riprende padre Ibrahim. «Ormai i siriani parlano di “guerra della fame” che ha preso il posto della guerra con le armi, che si continua a combattere nell’Idlib e nelle campagne attorno ad Aleppo. Quasi la metà delle 580 famiglie della nostra parrocchia vive sotto la soglia della povertà assoluta: recentemente abbiamo tenuto una riunione di emergenza per deliberare l’acquisto e il dono di 100 litri di gasolio a 250 nostre famiglie che altrimenti morirebbero letteralmente di freddo. Altre risorse importanti vanno alle cure mediche: è vero che in Siria funziona il progetto Ospedali Aperti per curare nelle cliniche private malati gravi che non hanno da pagare, ma ad Aleppo non c’è nessuno convenzionato per chi ha bisogno di chemioterapia, e la nostra gente dovrebbe andare a Damasco. Insieme ai pacchi alimentari periodici, ai pannolini e al latte in polvere per i neonati, queste sono le nostre spese principali».

Non dimenticatevi di noi
Padre Ibrahim conclude con un appello accorato: «Siamo riusciti a salire sopra l’onda che stava per travolgerci, grazie a Dio e a tutti quelli che ci hanno aiutato. Ma il momento decisivo per evitare che la presenza cristiana sia spazzata via da Aleppo viene adesso. Non dimenticatevi di noi».

venerdì 23 settembre 2016

Patriarca Gregorios: dramma rifugiati, la vera risposta è mettere fine alla guerra.


IL SUSSIDIARIO
16 settembre 2016

Gregorio III : in mezzo ai profughi ci sono anche i jihadisti

Ben 75mila profughi siriani si trovano intrappolati in un deserto al confine con la Giordania, dopo che le autorità del Paese hanno chiuso il confine per il timore di infiltrazioni da parte dei terroristi. Un rapporto di Amnesty International basato su immagini riprese dal satellite, filmati e testimonianze in prima persona mostra la drammatica situazione all’interno dell’area nota come il Berm. Il numero dei rifugi improvvisati fuori da Rukban, uno dei due valichi tra la Siria e la Giordania, è cresciuto da 363 di un anno fa a 6.563 del luglio scorso a 8.295 di settembre. I profughi nel deserto del Berm sono senza cibo né assistenza medica, con una diffusione impressionante di malattie e una mortalità molto elevata. Ne abbiamo parlato con Gregorio III Laham, patriarca cattolico siriano con doppia sede a Damasco e Beirut.

Che cosa è possibile fare per i 75mila profughi intrappolati al confine tra Siria e Giordania? 
Tutto ciò che posso fare è invitare il mondo intero a lavorare per la pace. Queste vittime e tragedie nascono dal fatto che qualcuno fa la guerra, manda i soldati e arma i terroristi. Tutto ciò è frutto di questa mancanza di un progetto di pace in Siria da parte della comunità internazionale. Se ci fosse la pace tutti i rifugiati rimarrebbero nelle loro case e avrebbero sia da mangiare sia da bere. Mentre finché c’è la guerra, ciascuno è sotto il bastone del terrorismo internazionale. Dateci la pace per favore, è questo che mi sento di gridare al mondo intero.

Lei che cosa ne pensa del fatto che la Giordania non lascia entrare chi fugge dalla guerra? 
La Giordania ha paura del traffico di terroristi. Sono tanti i jihadisti che transitano dopo essersi infiltrati in mezzo ai rifugiati, e ciò ha costretto le autorità di Amman a chiudere le frontiere. I terroristi stanno facendo tanto male sia all’interno sia all’esterno della Siria.
Chi dovrebbe prendersi cura dei rifugiati nel Berm? 
Sia la Siria sia la Giordania, ma quando c’è la guerra i rifugiati rimangono ovunque senza nessun aiuto, diventando spesso vittime e ostaggi. E i rifugiati non sono soltanto i 75mila del Berm, ce ne sono molte altre migliaia. Sono tutti aspetti della guerra. Per questo Papa Francesco ha invitato i Paesi del Medio Oriente a pregare per la pace.

In che modo è possibile ricostruire la pace in Siria? 
Questo è il vero dilemma per tutti. Quando nel 2014 Papa Francesco si recò in viaggio in Giordania, invitò tutti a “operare per la pace” in modo da formare un’alleanza internazionale con la partecipazione di Stati Uniti, Russia, Ue e Paesi arabi ed evitare la tragedia delle vittime della guerra. E’ soltanto un’alleanza internazionale che può mettere fine alla guerra e al terrorismo, nessuno può costruire la pace da solo. Unione Europea, Stati Uniti e Russia devono formare un’alleanza internazionale che prenda delle decisioni comuni, e l’Arabia Saudita seguirà.

Secondo lei i Paesi europei dovrebbero accogliere un numero maggiore di rifugiati? 
In teoria sì, ma la vera questione è mettere fine alla guerra per risolvere il problema dei rifugiati alla radice. I Paesi europei non sono preparati per questo flusso migratorio. E’ molto difficile fare fronte a tutti i bisogni dei migranti per quanto riguarda l’abitazione, il cibo e la scuola. E’ inutile quindi discutere su chi debba accogliere i rifugiati, la vera risposta è mettere fine alla guerra.

Intanto che c’è la guerra però bisogna fare qualcosa per i rifugiati. Che cosa? 
I Paesi europei stanno già facendo tanto per accogliere i rifugiati e non possono fare di più: il numero delle persone ospitate è già molto alto. Gli Stati del Vecchio Continente non sono preparati per un’ondata migratoria così massiccia.
Qual è l’impegno della Chiesa in Siria? 
La Chiesa in Siria sta lavorando per aiutare la gente a ricostruire chiese e case e per venire incontro ai bisogni dei bambini. Stiamo lavorando per ricostruire il Paese.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2016/9/16/SIRIA-Gregorio-III-Damasco-in-mezzo-ai-profughi-ci-sono-anche-i-jihadisti/723602/


Lettera di mons Samir Nassar, arcivescovo di Damasco

AED France
La famiglia disgregata
Sei anni di guerra son riusciti a svellere il baluardo della società siriana: la famiglia, la cellula di base che ha assorbito i colpi e le disgrazie di questa violenza senza fine, salvare il paese e la Chiesa fino al 2014 ... L'insicurezza, l'intolleranza, la violenza e la distruzione caotica hanno sradicato più di due milioni di famiglie. Prive di casa e disperse un po' ovunque,  come le famiglie potrebbero ancora portare questa prova così pesante?
Le madri eroiche
Dall'inizio della guerra, dal 15 marzo 2011, è comune vedere una la famiglia incentrata su una mamma. Sono gli uomini che vanno in guerra e muoiono lì spesso. Un detto popolare recita: "un ragazzo senza padre non è un orfano"  ; la famiglia è riunita attorno alla madre che assicura l'unità e la sopravvivenza della casa ... In questa lunga e pesante sofferenza, queste madri eroiche vivono in povertà e nelle lacrime, hanno onorato la loro vocazione, vivendo in tende e pagando con la vita.  C'è un sacrificio più grande?

L'esodo di giovani
La mobilitazione generale decretata nel mese di ottobre 2015, chiamando tutti i giovani con meno di 45 anni al servizio militare, ha messo in difficoltà quelle famiglie che non hanno potuto partire e aspettavano sul posto la fine di questa guerra interminabile. Questa fascia di età è la spina dorsale delle attività economiche ancora rimanenti ... Questi giovani sono scomparsi rapidamente. Alcuni hanno raggiunto le caserme e gli altri hanno scelto di fuggire, seguendo l'immigrazione clandestina spesso irreversibile, destabilizzando il mercato del lavoro e la modesta vita familiare privata delle risorse.. Quale futuro per  una comunità senza giovani?
La Chiesa indebolita
Gli effetti di questi cambiamenti hanno indebolito la Chiesa. Le famiglie spesso scelgono di raggiungere il figlio partito ... Da qui l'esodo accelerato delle famiglie ... uno svuotarsi vertiginoso di fedeli in tutte le parrocchie. Squilibrio demografico: in assenza di giovani, le nostre figlie lasciate sole si sposano con musulmani poligami. Quindi ci sono meno matrimoni e un minor numero di battesimi. Per la prima volta, la Chiesa si trova ad affrontare un problema cruciale: un prete su tre presente a Damasco ha scelto di trasferirsi in altri paesi ... più tranquilli. Come trattenere i sacerdoti a Damasco? Cosa diviene la Chiesa senza preti?

Guardiani di pietre
Le Città morte nel nord della Siria sono una forte fonte di ispirazione su ciò che potremmo diventare ... Come evitare di diventare guardiani di pietre? Tocca ai cristiani orientali di riconsiderare la loro vocazione e di vivere nella scia della chiesa primitiva, piccola minoranza che viveva senza garanzie nè protezione. Saremo in grado di assumere questa sfida apostolica?  "O ci ridurremo a guardiani di pietre? "

14 settembre 2016- Festa della Croce Gloriosa 
+ Samir Nassar, Arcivescovo maronita di Damasco
http://www.aed-france.org/syrie-lettre-de-mgr-samir-nassar-archeveque-de-damas/

giovedì 17 marzo 2016

Fra 10 anni non ci saranno più cristiani in Medio Oriente

Lettera dell'arcivescovo maronita di Damasco al vescovo di Evry


Esodo dei Cristiani d'Oriente:

Dal 2003 (la guerra in Iraq) e, soprattutto, dal 2011 (l'onda delle primavere arabe), l'esodo dei cristiani orientali continua a crescere.
Alcuni reports danno 10 anni per girare la pagina del cristianesimo nel Vicino Oriente ... 
Una visione pessimistica forse.  Ma l'esperienza sul campo vede un movimento di emigrazione crescente, perfino allarmante ...
'Come partire' è l'argomento delle discussioni quotidiane.  Partire non importa dove, non importa come, anche prendendo rischi pericolosi.  Una famiglia ha appena mandato il suo figliolo dodicenne in una carovana di fuggitivi.. un bambino di 12 anni non verrà respinto, potrà invitare, in seguito, la sua famiglia a raggiungerlo. 
Egli troverà nella terra di asilo una accoglienza conveniente?
Davanti alla situazione di stallo militare e a una pace ancora lontana, per evitare il servizio militare e per fuggire una guerra assurda che dura da troppo tempo, i giovani sono in maniera massiccia alla testa dei fuggiaschi ...  
Quale futuro per una Chiesa senza giovani? 
E' la fine fatale del cristianesimo apostolico in una Terra Biblica diventata ostaggio della violenza e dell'intolleranza in nome di una fede radicale che non supporta il pluralismo e non ammette la differenza.

Percorso futuro

Come la Chiesa del Vicino Oriente potrebbe progettare il futuro?  Diverse strade sono aperte:
  1. - Seguire i fedeli nei paesi della diaspora per aiutarli a mantenere la loro fede originaria.
  2. - Costruire alleanze tra le minoranze del Vicino Oriente per difendere i loro diritti di cittadini contro l'egemonia di un certo Islam "intollerante".
  3. - Cercare garanzie da parte delle Grandi Potenze che offrono una protezione.
  4. - Accettare di vivere all'ombra dell' Islam e continuare una testimonianza piena di difficoltà e di sfide.
I cristiani d'Oriente si trovano ad affrontare delle scelte quasi suicide (1,2 e 3) 
Resta la quarta scelta, assai difficile da assumere.  Vivere nell'ombra dell'Islam richiede un ritorno ai primi secoli della Chiesa che sottolinea la vita nascosta di Gesù 'a Nazareth.  Questo dinamismo è favorito dalla lettera dell'Anno di Misericordia annunciato da Papa Francesco. 
Porre il volto misericordioso di Cristo dà un vivace dinamismo alla testimonianza evangelica.
Il comitato sociale che visita i prigionieri musulmani in Siria mette in evidenza il Buon Samaritano nel cuore di queste persone in difficoltà.  Un cammino provvidenziale, una sfida che permette il seguito della missione e fa la gioia del Bambino Divino.
+ Arcivescovo Samir Nassar  

arcivescovo maronita di Damasco
Ndr: L'accompagnamento spirituale dei rifugiati rimane un vero problema per delle popolazioni private di pastori.
 ( trad. dal francese: OpS)

sabato 12 marzo 2016

Se la violenza genera misericordia: mons Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco

L'ultima devastazione : Chiesa St Sergio e Bacco Tabqa (Thawra) sulla diga dell'Eufrate a 50 Km da Raqqa

VaticanInsider, 11 marzo 16
di Paolo Affatato

Nella logica paradossale del Vangelo, nella sapienza della Croce, rivelata solo ai «piccoli», in quella debolezza che, come dice san Paolo, diventa «forza», «la violenza che da cinque anni lacera la Siria è divenuta fonte e generatrice di misericordia», per famiglie, preti di ogni confessione, consacrati. 
Lo racconta a Vatican Insider Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, che vede la sua comunità ferita dalla sofferenza ma – in modo misteriosamente riconducibile solo all’azione di grazia del Padre – farsi instancabile promotrice di compassione e perdono, misericordia e solidarietà. Un dono di Dio, «capace di trarre il bene anche dal male», rimarca Nassar, nello speciale Giubileo che, tra mille difficoltà, lutti e disagi di un conflitto prolungato, si vive anche in Siria. Con questo sguardo provvidenziale è stata accolta dai cristiani locali la morte del diacono Camille, colpito a marzo del 2013 dalle schegge di un proiettile di mortaio. La sua morte ha infuso rinnovato vigore spirituale ai cattolici maroniti che hanno avviato la costruzione di tre cappelle nei quartieri periferici della capitale, in aree ridotte in macerie.  

Come si vive la misericordia tra i rifugiati, tra famiglie disgregate e segnate dalla guerra?  
«Ci sono già 12 milioni di rifugiati siriani e il numero sembra destinato a crescere ancora. Le organizzazioni di solidarietà hanno messo a disposizione tutte le risorse e vengono travolte dalle crescenti necessità di questa gente. Oggi, allora, è la famiglia, baluardo della società mediorientale, ad assorbire il trauma, dando sollievo e conforto. In una generosa dimostrazione di solidarietà, le famiglie – fino a un numero di venti persone – condividono una singola stanza, dividendo il pane quotidiano, la vita di ogni giorno e anche i luoghi di sepoltura. Queste famiglie agiscono per gratuità, non cercano alcun rimborso o contraccambio e sono incarnazioni silenziose della misericordia».

Come vivono in questa situazione i sacerdoti?  
«In primis va detto che il compito sacramentale dei sacerdoti in tutte le Chiese orientali è stato notevolmente ridotto a causa della guerra. Ma quello pastorale si è ampliato: i sacerdoti sono diventati preziosi “assistenti sociali” a servizio delle famiglie povere colpite. I preti, nel loro servizio instancabile, mostrano il volto misericordioso del Signore. Invece di scappare, accettano con coraggio la loro missione di oggi, come fedeli servitori della misericordia, fino all’ultimo, perché rischiano la vita. La comunità cristiana in Siria ha già perso cinque sacerdoti che hanno offerto la loro vita, donandosi totalmente al dialogo e all’aiuto dei più vulnerabili. Due vescovi e quattro preti sono tuttora dati per dispersi, sequestrati mentre erano in missione cercando di portare aiuti a persone in estrema necessità».

Vi sono anche molti consacrati che si dedicano al soccorso della popolazione...  
«Suore, monaci e laici consacrati si sono dedicati anima e corpo ad aiutare la popolazione siriana, ridotta in miseria. Aleppo è stata senza acqua ed elettricità per un lungo periodo di tempo. La vita era a luce di candele. E come si può vivere senza acqua? Alcuni gruppi di religiosi si sono impegnati a portare l’acqua in casa a tante persone anziane e malate. Sono andati alla ricerca di acqua nei pozzi disponibili, portandola in cisterne, perfino in gusci vuoti di bomba, per fornire 20 litri di acqua a ogni casa. Le cosiddette “mense del cuore”, poi, preparano cibo per i bisognosi e rappresentano un’ancora di salvezza per molti che sono ammalati, soli o vulnerabili. Accanto all’aiuto umanitario, i religiosi si prodigano in un’opera di tipo psicologico e spirituale: confortare e aiutare a superare i traumi della guerra. Per esempio a Damasco ci sono team specializzati che offrono supporto psicologico ai bambini traumatizzati dalla guerra e dalla violenza. Riuniscono bambini di tutte le religioni per una sorta di “rieducazione alla pace”: imparare cosa vuol dire vivere insieme e accettare serenamente le differenze. Questo è un progetto d’avanguardia che rivela l’impegno silenzioso della Chiesa e che rappresenta una via per il futuro. Un altro movimento, guidato dai Gesuiti, si rivolge ai giovani, oggi più che mai decisi a lasciare il paese, per accompagnarli in questo tempo di disagio e far sì che restino».

Ci sono altre iniziative degne di nota, a beneficio della popolazione?  
«Molte iniziative vanno avanti nel nascondimento, lontane dai riflettori dei mass-media, come le attività quotidiane svolte dalla Società di San Vincenzo de’ Paoli, da confraternite mariane, da orfanotrofi, ordini religiosi, preti e laici che girano instancabilmente per i luoghi affollati dai rifugiati. Nello slancio di carità, che manifesta la compassione verso il prossimo, resta centrale la famiglia, segno resistente e duraturo dello splendore della misericordia, che di fatto oggi fa andare avanti la Chiesa e il Paese».

Ne vuole riferire qualcuna in particolare?  
Vorrei segnalare l’opera del Movimento della Fraternità, fondato in seguito alla guerra arabo-israeliana del 1967 da padre Paul, sacerdote Lazzarista che, grazie a diversi collaboratori, ha creato un centro di produzione di protesi per disabili. Il Movimento è stato tra i primi a rispondere a questo conflitto spietato che ogni giorno crea nuovi feriti e mutilati. Agendo in partnership con i circuiti di beneficenza legati alle parrocchie, il Movimento cura la riabilitazione per i feriti e mutilati, offendo loro un periodo di riposo. Questo è il volto del “Buon Samaritano”, che in Siria assume i tratti di padre Paul, un autentico “genio della sanità”».

Com’è nata l’idea di costruire tre nuove cappelle e cosa significa?  
«Per noi è un gesto di reazione pacifica, compiuto in nome di Cristo, contro la morte e la distruzione. Le cappelle sono segno di una comunità che è tuttora viva e vigile. La prima, intitolata ai Martiri di Damasco del 1860, è stata inaugurata all’inizio dell’anno, le altre due saranno ultimate nei prossimi mesi. Sono davvero commosso vedendo con quanta sollecitudine e cura l’intera comunità maronita si è fatta carico dei tre progetti, che rappresentano un concreto segno di speranza e fiducia nel futuro della Chiesa in Siria, in quest’Anno della Misericordia. Le abbiamo volute anche in memoria del diacono Camille, ucciso nel marzo 2013 dalle schegge di un colpo di mortaio mentre si trovava vicino a una chiesa. Dopo quell’evento ho detto ai sacerdoti che, se volevano, potevano lasciare la città. Ma tutti mi hanno risposto: se tu resti, restiamo anche noi. La nostra missione sotto le bombe continua ed è segno di una fede martirizzata che si rifiuta di morire».

mercoledì 26 agosto 2015

Colpi di mortaio su due chiese di Damasco. Aleppo allo stremo.

L'Arcivescovo maronita: la nostra vita è come una roulette russa


Agenzia Fides 26/8/2015


Nella giornata di domenica 23 agosto, una pioggia di colpi di mortaio provenienti dalle aree in mano alle milizie anti-Assad è caduta nell'area della città di Damasco dove si trova la chiesa maronita. Lo riferisce l'Arcivescovo maronita Samir Nassar, in un appello-comunicato pervenuto all'Agenzia Fides, specificando che i colpi d'artiglieria hanno provocato la morte di nove civili e il ferimento di quasi cinquanta persone, oltre a danneggiare la sua chiesa e una vicina parrocchia cattolica di rito latino. 
"Fa parte della guerra di Siria” aggiunge l'Arcivescovo Nassar nel suo appello “il fatto di vivere sotto bombardamenti indiscriminati, come in una sorta di roulette russa, che è sempre imprevedibile... Di coloro che sono morti” aggiunge l'Arcivescovo, con considerazioni amare “i sopravvissuti dicono: 'Almeno non dovrete più vedere e vivere questa crudele tragedia senza fine. Non vedrete i vostri figli, i vostri amici e i vostri vicini soffrire e morire per la violenza cieca e il fanatismo sanguinario, incapaci di salvarli o di aiutarli, senza capire perché'. I sopravvissuti seppelliscono i morti, senza aver potuto curare i feriti, dal momento che mancano gli strumenti e le competenze necessarie. Essi si immergono in silenziosa preghiera davanti alle reliquie dei martiri, che sono i semi della fede”.

http://www.fides.org/it/news/58241-ASIA_SIRIA_Colpi_di_mortaio_su_due_chiese_di_Damasco_L_Arcivescovo_maronita_la_nostra_vita_e_come_una_roulette_russa#.Vd4rL_ntmko




Padre Alsabagh (Aleppo): vi racconto 

come si vive con i terroristi alle porte


La mancanza di elettricità, gli uomini mutilati, le case distrutte, la gente che vive per strada, i giovani senza un futuro. E soprattutto una città rimasta senz’acqua per un mese e mezzo in un luogo dove d’estate le temperature raggiungono i 50 gradi. Padre Ibrahim Alsabagh, 44 anni, francescano e da nove mesi parroco della comunità latina ad Aleppo in Siria, racconta la dura realtà quotidiana che sta vivendo. Fatta di bombe che piovono dal cielo, ma anche di studenti che si presentano in parrocchia per chiedergli una stanza dove studiare, perché anche se c’è la guerra non vogliono rinunciare a dare gli esami all’università. Oggi, sabato 22 agosto, padre Alsabagh interverrà al Meeting di Rimini, dove porterà la sua testimonianza nel corso dell’incontro “Una ragione per vivere e per morire: martiri di oggi”.

Il Sussidiario, 23 agosto
Perché ha accettato una missione così difficile come quella ad Aleppo?
Prima di essere chiamato vivevo a Roma. Ho accettato perché dietro l’amico che ha bisogno c’è il Signore. Ciò che mi è chiesto è il servizio a un popolo sofferente, e nei momenti più bui e difficili della storia bisogna intensificare il proprio lavoro. Appena ho saputo delle difficoltà e dei bisogni della gente di Aleppo, non ho potuto fare altro che dire: “Eccomi, sono pronto per andare all’istante”.
Che esperienza si vive a essere catapultati da Roma a una zona di guerra?
Ciò cui purtroppo assisto ogni giorno è che la guerra deruba l’uomo della sua dignità. E’ ciò che mi addolora di più, in quanto l’uomo diventa sempre più sofferente e miserabile. Giovanni Paolo II diceva: “La guerra è il male più grande che l’uomo e il mondo abbiano conosciuto”. E’ ciò cui assistiamo ogni giorno ad Aleppo.
Tra i tanti drammi cui assiste quale è più doloroso?
Ultimamente lottiamo ogni giorno con la piaga della mancanza dell’acqua, in una città dove ieri la temperatura è arrivata a 50 gradi. Da un mese e mezzo ad Aleppo manca l’acqua corrente, e si assiste a scene strazianti come l’anziana di 90 anni che ogni mattina viene a rifornirsi al nostro pozzo con un grande secchio. In questo periodo quando al mattino aprivo gli occhi nella mia mente c’era una sola parola: “acqua”.
I cristiani di Aleppo subiscono anche violenze e minacce?
Nelle aree sotto la protezione dell’esercito di Assad esiste piena libertà di culto. Viviamo però nella paura terribile delle bombe che arrivano anche per strada e sopra agli edifici civili. E’ la principale minaccia alla nostra presenza, anche perché i siriani preferirebbero buttarsi a mare piuttosto che continuare a vivere così. Le bombe sono “regali di morte” che arrivano dal cielo e che distruggono tutto, lanciati intenzionalmente contro le zone abitate per terrorizzare la gente e farla evacuare.
Le è capitato anche di assistere a segni di speranza?
Quest’inverno ad Aleppo c’era molto freddo e mancava l’elettricità. Siccome è una città quasi desertica infatti c’è una forte escursione termica. Un giorno mi arriva un giovane e mi dice: “Padre, forse lei ha un angolo nella chiesa dove posso studiare al riparo dal freddo”. Per me le parole di quel giovane sono state come un’illuminazione divina. Subito mi sono deciso a fare qualcosa per lui e per le altre centinaia di studenti che stavano preparando gli esami universitari. Abbiamo attrezzato una sala parrocchiale con i banchi e le sedie e messo una stufa a gasolio. Con sorpresa, il giorno dopo sono arrivati fino a 100 ragazzi per studiare.
L’Isis ha distrutto il monastero di Mar Elian. E’ un segno di quello che accadrà ai cristiani se i fondamentalisti si diffonderanno?
Lo abbiamo visto nella distruzione di tantissime chiese, luoghi di culto anche musulmani e centri artistici. Parliamo di Maaloula ma anche di Palmira, di una cultura antica 5mila anni che purtroppo il fondamentalismo non risparmia. Distruggendo questi luoghi simbolo i terroristi intendono mandarci un messaggio: “Dovunque arriveremo, faremo tornare il mondo allo stato primitivo”. E’ questo il pericolo che corriamo, un pericolo che ogni giorno diventa sempre più imminente. I gruppi jihadisti ad Aleppo sono molto vicini a dove ci troviamo. La nostra paura è che entrino dove siamo noi, perché in quel caso ucciderebbero o rapirebbero centinaia di persone.
Tutto era iniziato con un anelito di libertà e si è arrivati alla violenza. Secondo lei perché?
Tanti sacerdoti sono stati i primi a dire che in Siria c’era bisogno di un vero rinnovamento. La Chiesa però ha sempre insistito sulla necessità di un cambiamento pacifico. Purtroppo queste parole non sono state accettate perché qualcuno voleva fare piazza pulita. Il vero motivo dietro alla Primavera araba era la volontà di distruggere un Paese. L’arrivo di tanti stranieri a combattere animati da un pensiero fondamentalista ha reso impossibile qualsiasi riconciliazione e cambiamento pacifico.

martedì 2 dicembre 2014

Avvento in Siria 2 : Lettera accorata dell'arcivescovo di Damasco Samir Nassar

Natale di desolazione :
Messaggio dell'arcivescovo maronita di Damasco in occasione dell'inizio dell'Avvento 


 "I nostri vicini non ci vogliono, non c'è più spazio per noi"



1) LA GLOBALIZZAZIONE DELLA GUERRA:

Questo quarto anno di guerra in Siria offre al mondo una scena caotica. Alle 85 nazionalità già presenti nei combattimenti, si aggiunge una coalizione di 30 paesi che non fanno altro che espandere la violenza e la morte con il "fine" della lotta al terrorismo.


Questa potente macchina da guerra ha scelto il Medio Oriente come luogo per una terza guerra mondiale? "Una guerra non ferma mai una guerra", ha detto Papa Francesco, il 7 settembre, 2013. Le popolazioni colpite sono oggetto di violenza in nome di Dio.

2) Oltre lo STATO ISLAMICO:

Il 10 giugno 2014 (battaglia di Mosul in Iraq) è nato un nuovo conflitto internazionale. Il sentimento religioso islamico ha attraversato i confini della guerra, dei paesi e delle persone, confondendo le battaglie e conflitti.
 Lo 'Stato Islamico' può perdere la guerra, ma per quanto riguarda la scuola islamica di pensiero che innesca la reazione dei musulmani nel mondo?  Come fare a spiegare questa realtà, analizzare i problemi e cercare di comprendere  e interagire con essi? 
Questa  nuova fonte di preoccupazione per le minoranze del Vicino Oriente è una sfida importante per il dialogo interreligioso, e  per la tolleranza tra i popoli e le religioni.
 La politica di "nascondere la testa sotto la sabbia" non risolve nulla in materia di rapporti con l'islam

3) EROI DELLA FEDE:

I cristiani d’Oriente,  una minoranza che  vive in  un pericoloso crocevia, stanno lottando per prendere la strada della testimonianza. L'ascesa del fanatismo, l'insicurezza, la carenza e limitazioni di ogni genere minacciano la loro presenza e riducono la loro speranza.
 Nonostante questo clima di tensione, il piccolo gregge di fedeli esprime una fede incrollabile, coraggiosa e ferma. Un nuovo rapporto con Dio si afferma nella preghiera silenziosa davanti al Santissimo Sacramento. Hanno il rosario in mano e sono radicati nella loro Chiesa, essi rimangono in solidarietà con i poveri e con una lunga litania dei martiri,  seme di cristiani. 
Questi eroi della fede sono la forza della Chiesa e l'orizzonte della speranza.


4) NATALE IN SOLITUDINE:

Le strade che portano in Giordania, Iraq e Turchia sono chiuse a causa dei combattimenti. L'unica via di fuga che era aperta, fino allo scorso mese di ottobre, era la strada per il Libano. Il Libano, un piccolo paese saturo di un milione e mezzo di profughi siriani, ha cominciato a chiudere le frontiere con la Siria, permettendo l’accesso solo ai casi di emergenza.
Così i nostri fedeli di Damasco si sentono isolati, condannati a vivere in pericolo, e a morire nel loro "buco"  tagliati fuori dai loro parenti e amici che già vivono in Libano. Questa solitudine aggiunge all'angoscia  l'amara esperienza del freddo inverno, la triste sensazione dell' abbandono.

Un Natale solitario attraversa la Siria.
I nostri vicini non ci vogliono mentre noi diamo il benvenuto a tutti i profughi del Vicino Oriente. 
I nostri fedeli trascorrono la loro festa di Natale nel freddo gelido del loro "presepe domestico" affidandosi al calore della loro fede sotto lo sguardo tenero della Sacra Famiglia.

Natale 2014  + Samir Nassar
Arcivescovo maronita di Damasco

sabato 13 aprile 2013

Morire o partire? Il dilemma senza risposte dei cristiani siriani

 I cristiani di Siria «devono scegliere tra due calici amari: morire o partire». Un dilemma che coinvolge tutta la realtà ecclesiale presente nel Paese martoriato


Agenzia Fides - 13/4/2013

Damasco - L'arcivescovo cattolico di rito orientale maronita di Damasco Samir Nassar 
 delinea i tanti modi con cui la morte ghermisce le vite di milioni di civili indifesi, cristiani e musulmani, nella Siria devastata dalla guerra: bombardamenti, auto-bomba, cecchini, mancanza di cure mediche (223 ospedali sono stati chiusi e i medici stanno fuggendo tutti, spiega mons. Nassar), malnutrizione e mancanza di cibi adeguati per i diabetici, i cardiopatici e le puerpere.
Davanti a questo disastro, tutti pensano di andar via, anche se la fuga in qualche modo «è un altro modo di morire» più lentamente. La Chiesa locale, pur nella sua fragilità, «diventa un muro del pianto», a cui tutti si rivolgono ogni giorno «per chiedere protezione e aiuto nella ricerca di un visto per partire».
I cristiani siriani – sottolinea l'arcivescovo maronita - «hanno visto l'ONU organizzare dal 2005 la partenza sistematica dei rifugiati iracheni verso i Paesi occidentali», e adesso provano angoscia anche per «l'indifferenza e il silenzio mondiale davanti al loro lungo e triste calvario... sono abbandonati, destinati alla morte senza poter fuggire... i consolati sono chiusi da un anno e mezzo».
 
Mons. Nassar descrive con cuore affranto di pastore la condizione dei cristiani poveri «che non trovano alcuna ragione per dover morire in questa guerra insensata»: loro hanno visto i propri fratelli più agiati lasciare la Siria, e ora guardano alla Chiesa come l'unica realtà a cui chiedere aiuto nel naufragio. «L'appello del nuovo Papa Francesco in favore dell'amata Siria risuona nei loro cuori.... La Chiese sorelle del mondo intero pregano e mostrano il loro affetto per questo piccolo gregge, senza poter placare la tempesta».
Questa situazione pone anche i pastori davanti a problemi di coscienza: «Consigliarli di restare potrebbe condurli alla morte come un agnello muto davanti al macellaio. Il nostro martirologio non fa che allungarsi... Aiutarli a partire significa invece svuotare la Terra Biblica dei suoi ultimi cristiani». Un dilemma che può trovare risposta solo affidandosi al «cuore di Dio», offrendo ai fedeli una prossimità pastorale che li aiuti a percepire la realtà delle parole di Gesù. Quelle che – nota mons. Nassar «non deludono mai: “Non abbiate paura... io sono con voi...”»

http://www.fides.org/it/news/41331-ASIA_SIRIA_Morire_o_partire_L_Arcivescovo_maronita_di_Damasco_racconta_il_dilemma_senza_risposte_dei_cristiani_siriani#.UWk5OEr7Dvk


Monsignor Audo: «L’anarchia della guerra fa percepire per contrasto in maniera ancora più forte la grandezza della dignità umana, proprio nel momento in cui essa appare così umiliata. In tutto questo molti cercano Dio e chiedono a Lui la pace del cuore, nella preghiera».


Altra emergenza è quella dei rifugiati cristiani siriani in Turchia, in fuga dalla guerra civile. 

In Turchia, riferisce la stampa locale, le autorità di Ankara hanno accettato di costruire un campo solo per loro nella provincia di Midyat vicino al monastero siriaco di Mor Abraham. Il nuovo insediamento potrà ospitare quattromila persone. Un altro campo, per profughi curdi e arabi, sarà allestito in un’altra area della provincia di Midyat. La Turchia accoglie ora circa 190.000 profughi siriani, per lo più musulmani sunniti, provenienti dalle regioni di Aleppo e Idlib.

 L’aumento dei profughi cristiani, secondo fonti della comunità cristiana siriana, è in buona parte legato alla progressione dei gruppi integralisti sunniti nella Siria settentrionale. Secondo l’agenzia Fides, negli ultimi tre giorni oltre cinquecento cristiani siriani hanno attraversato il confine turco, in fuga da violenze e discriminazioni.
 Fonti della Chiesa assira d’Oriente hanno indicato che i profughi si trovano soprattutto nella provincia di Gaziantep, a 50 chilometri dal confine nell’Anatolia sud-orientale. Le chiese e i monasteri della regione montuosa turca di Tur Abdin, culla storica del cristianesimo siriaco, ospitano già un numero di rifugiati superiore alle proprie capacità. Le comunità cristiane siriache del nord della Siria sono state colpite con particolare accanimento da violenze, rapimenti e spoliazioni di ogni tipo. Interi clan familiari hanno dovuto abbandonare le proprie case sotto minaccia di morte.

Prezioso il contributo di Caritas italiana, che ieri ha rilanciato l’appello per poter far fronte alle pressanti richieste. Quattro milioni le persone costrette a lasciare le proprie abitazioni nella speranza di trovare una sistemazione lontana dal conflitto. Con soli venti milioni di abitanti, la Siria si ritrova oggi con oltre il 25 per cento della popolazione in gravi condizioni di precarietà e a rischio vita. E tanti sono già fuggiti in Giordania, Libano, Turchia, Iraq ed Egitto.

da : L'Osservatore Romano, 13 aprile 2013.

mercoledì 27 marzo 2013

Damasco: un seminarista ucciso da un mortaio

 Messaggio di Mgr Samir Nassar, arcivescovo maronita della città



Romani 12:14-15
«Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. RALLEGRATEVI CON QUELLI CHE SONO NELLA GIOIA; PIANGETE CON QUELLI CHE SONO NEL PIANTO».


"Nell'arcivescovado maronita di Damasco siamo una comunità di sei. Camil, il più giovane, di 35 anni, è pronto per essere ordinato diacono permanente. Si occupa della sagrestia, accoglie e una mano al servizio sociale traboccante in questi giorni tristi ...

Questo Martedì 26 Marzo 2013Camil vigila sulla distribuzione  di pane e cibo per i poveri, come ogni Martedì.
Alle 11:30 va in casa di una famiglia abbandonata dopo lo scoppio degli eventi . Un colpo di mortaio cade lungo la strada e gli strappa  la vita ..

Il suo corpo giaceva sul marciapiede .. prima di essere condotto nella camera mortuaria pubblica di Damasco in attesa di individuare la sua identità ....

Da un certo tempo i colpi di obus cadono ovunque e in qualsiasi momento. E' una "roulette russa" che si prende vite innocenti ... Camil è rimpianto da tutti ... è stato così vicino a tutti, sempre in ascolto e a disposizione per aiutare e condividere i modesti  beni con i più bisognosi ..

Questa "roulette russa" sovrasta la città, sceglie le sue vittime a caso, ce ne sono diversi e sempre di più tutti i giorni ..
Camil ha fatto un'altra scelta: morire durante la Settimana Santa con il Cristo Crocifisso per servire e lodare per sempre il Salvatore Risorto e implorare la Pace per il suo paese torturato."

Damasco 26 marzo, 2013.

Samir Nassar +
Arcivescovo maronita di Damasco

Non cessate di pregare per i nostri martiri.

http://www.aed-france.org/actualite/syrie-un-seminariste-de-35-ans-touche-a-mort-par-un-obus/

domenica 17 febbraio 2013

La terza Quaresima di sofferenza per i cristiani che vivono in Siria

  Un tempo segnato insieme da inquietudine e speranza: lo scrive l'Arcivescovo maronita di Damasco Samir Nassar, che si sofferma su alcuni fatti recenti che hanno ispirato sentimenti ambivalenti tra i battezzati in Siria: le dimissioni di Benedetto XVI, la visita a Damasco del Patriarca maronita Boutros Bechara Rai, l'esodo dei fedeli della Chiesa greco-ortodossa.



"Papa Benedetto XVI è stato vicino a questo popolo dimenticato"


Damasco - Agenzia Fides - 14/2/2013)

 La rinuncia del Santo Padre - scrive monsignor Nassar - ha toccato in modo del tutto particolare i cristiani siriani: la preghiera e gli appelli di Benedetto XVI per la pace in Siria, insieme ai suoi gesti di carità concreta, “avevano reso questo Papa così vicino a questo popolo dimenticato”. L'Arcivescovo maronita si augura che si possa procedere lungo il cammino comune “in questo tempo di Quaresima che lui ha scelto per continuare in maniera diversa la sua missione”.

Un fatto lieto citato nel messaggio dell'Arcivescovo è la recente visita a Damasco del Patriarca maronita: “Nessuno dei 15 Patriarchi greco-ortodossi” sottolinea S. E. Nassar “ha osato venire a Damasco in occasione della intronizzazione di Giovannni X Yazigi come nuovo Patriarca greco-ortodosso di Antiochia. L'unico che ha voluto varcare il confine siriano libanese per essere presente alla Messa d'insediamento è stato il Patriarca maronita Bechara Boutros Rai, nonostante le tensioni che ora segnano i rapporti tra i due Paesi”. S. B. Rai – riferisce l'Arcivescovo Nassar - è stato accolto da migliaia di cristiani che hanno salutato “piangendo di gioia” il Patriarca venuto nel nome “della pace, dell'unità e della speranza”.
Proprio le occasioni pubbliche legate all'inizio del nuovo Patriarcato greco ortodosso con sede a Damasco hanno reso evidente l'esodo dei cristiani che sta falcidiando soprattutto la comunità ora affidata a Giovanni X Yazigi. Una cattedrale mezza vuota – racconta S. E. Nassar - aveva accolto il nuovo Patriarca il 20 dicembre, dopo la sua elezione. “La Chiesa greco-ortodossa” posegue l'arcivescovo maronita - “rappresenta il 60% dei cristiani in Siria”, ma nei due anni di conflitto “l'emorragia ha disperso più di metà delle parrocchie. Molte decine di migliaia hanno lasciato il Paese per fuggire nei paesi confinanti, cercando poi rifugio ai quattro angoli del mondo”.

L'indebolimento della comunità greco-ortodossa, definita da monsignor Nassar “spina dorsale del cristianesimo siriano”, a suo giudizio rimette in questione l'avvenire di tutte le minoranze cristiane in Siria. “La guerra dell'Iraq ha provocato l'esodo di massa dei suoi cristiani... La Guerra in Siria avrà le stesse conseguenze?” si domanda l'arcivescovo maronita, chiedendo anche di pregare “Nostra Signora dei senza rifugio” per i sacerdoti nelle mani dei rapitori dal 9 febbraio e per tutte le altre migliaia di scomparsi registrati nel conflitto siriano.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=41011&lan=ita


Mons. Zenari: camminiamo sul sangue, la comunità internazionale se ne lava le mani






mons. Mario Zenari: Purtroppo è la terza Quaresima che abbiamo iniziato in questo clima di terribile sofferenza di tutta la popolazione siriana. Più che la Quaresima, vorrei dire che qui stiamo vivendo il Venerdì Santo, il terzo Venerdì Santo, che dura, dura … e che ancora non lascia intravvedere le luci della Pasqua. Ecco, purtroppo temo che si abbia l’impressione che si ripeta quel gesto del Venerdì Santo, che sentiamo nel Vangelo, di lavarsene le mani. Sotto certi aspetti si ha l’impressione che anche la Comunità internazionale, come recentemente diceva il mediatore internazionale Brahimi, stia lì a guardare questa Siria che va in rovina: va in rovina sotto gli occhi della Comunità internazionale, che non sa che cosa fare! Il numero delle vittime, che viene continuamente aggiornato, è veramente impressionante: si ha l’impressione di camminare sul sangue di queste vittime della violenza. Anche qui a Damasco, quante esplosioni in questi due anni… Questo sangue che anche fisicamente si attacca sotto la suola delle nostre scarpe, camminando qui per la Siria! Questa violenza è ormai diffusa dappertutto!


D. - Come vive la gente?
R. - La gente è ormai molto stanca, molto delusa… Sono anche molto abbattuti sotto l’aspetto del vivere quotidiano: la mancanza di cibo, la mancanza di quelle cose normali di cui c’è bisogno in inverno, come il riscaldamento, la mancanza di lavoro e la mancanza delle scuole per i bambini…. In più, tante sono le famiglie provate soprattutto da sofferenze e da lutti. Si vede una popolazione accasciata e stanca. Si ha l’impressione che questo conflitto, che dura ormai così a lungo, non riesca più a suscitare l’impegno di chi potrebbe - soprattutto la Comunità internazionale - agire e fare qualcosa per una soluzione pacifica e rapida.

D. - Dai microfoni della Radio Vaticana, quale appello vuole lanciare?
R. - Io farei un appello a tutti coloro che hanno qualche possibilità o che hanno, per autorità, il dovere di intervenire e di non lavarsene le mani, ma di intervenire presto e subito affinché si arrivi ad una soluzione pacifica della crisi.

D. - In questa situazione, come vive la comunità cristiana?
R. - Le varie comunità dei differenti riti hanno cominciato o stanno per cominciare la Quaresima. Devo dire, da quello che ho visto anche nei mesi passati, che i cristiani frequentano con ancora più fervore le Chiese, pregano il Signore. Bisogna accomodare un po’ gli orari, perché non si può fare una liturgia, per esempio, alla sera e quindi si anticipano gli orari, ma ugualmente le chiese sono piene e si nota una grande affluenza: i cristiani sentono che c’è bisogno veramente dell’aiuto di Dio in questa situazione!

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/02/14/siria._mons._zenari:_camminiamo_sul_sangue,_la_comunità_internazionale/it1-664971
del sito Radio Vaticana