Traduci

Visualizzazione post con etichetta Naman Tarcha. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Naman Tarcha. Mostra tutti i post

lunedì 7 marzo 2016

'Chi troverà una donna forte e virtuosa? Il suo valore è di gran lunga superiore alle perle' (Proverbi 31,10)

Un convoglio di aiuti è stato inviato dal Convento Mar Yacub di Qara ad Aleppo all'inizio di febbraio.
Il convoglio era costituito da un'ambulanza, un ospedale mobile e 13 camion caricati con beni di soccorso nell'ambito della campagna di solidarietà con la città di Aleppo. Il Convento di Qara ha già supportato con materiali sanitari diverse province siriane sin dall'inizio della crisi, tra cui due ospedali mobili a Homs e Daraa e un numero di ambulanze.

"Madre Agnès Mariam ha ricevuto in Russia il premio Femida due settimane fa. È come la versione russa del premio Nobel per la Pace. Ha ottenuto questo riconoscimento per il suo grande impegno nella crisi siriana. Noi come comunità di Mar Yacub siamo molto orgogliosi e ringraziamo il Signore Gesù. La tv russa 1TV.RU è venuta qui a fare una relazione in questa ultima settimana.
Femida (Dike) è la dea romana della giustizia, raffigurata con una benda sugli occhi (per la sua imparzialità, obiettività), la bilancia e una spada. In realtà, è diventato un simbolo ampiamente accettato della giustizia. In Russia il Femida è l'equivalente del premio Nobel. Questo premio è stato dato fino ad oggi esclusivamente ai russi che hanno lavorato soprattutto per la difesa della giustizia e dei diritti umani.
Madre Agnès Mariam è stato il primo straniero a ricevere questo premio."

http://www.maryakub.net/2016/03/05/report-russian-tv-in-our-monastery/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=facebook




Nel buio del conflitto siriano, una suora fa intravedere la luce

Suor Agnes Mariam de la Croix, fondatrice del movimento "Mussalaha"


"Mussalaha", "Riconciliazione": è questo il nome del movimento che grida al mondo che si fermi la guerra in Siria e che cessi il rumore delle armi. "Riconciliazione" lavora per una concreta pacificazione attraverso la mediazione tra le diverse parti di un conflitto in atto da anni, la cui unica vera vittima è il popolo siriano.
Cuore di questo movimento è una suora: Agnes Mariam de la Croix. "In un momento in cui il mondo ha disperatamente bisogno di una soluzione pacifica per porre fine allo spargimento di sangue in Siria, questa iniziativa (Mussalaha) spicca come un faro la cui luce alimenta la speranza che viene dall’interno della società siriana ed esprime il desiderio della maggioranza del popolo per un percorso di pace". Sono le parole con cui Mairead Maguire, pacifista britannica, cofondatrice della Community of Peace People, nonché Premio Nobel per la Pace nel 1976, ha proposto, in una lettera al Nobel Institute, che il riconoscimento venga assegnato a suor Agnes.
La religiosa nasce come Fadia Laham da padre palestinese e madre libanese, ma dice di sentirsi totalmente siriana. Ha trascorso la gioventù a Beirut. Scegliendo di dedicare la sua vita al Signore, decise di entrare in convento; successivamente fondò il Monastero di Mar Yacoub (San Giacomo) nella zona di Qalamoun in Siria, dove vive da circa 20 anni.
Verità e giustizia non possono non scuotere la coscienza umana; figuriamoci per una persona che ha già scelto di dedicare la sua vita al servizio degli ultimi. Infatti, dietro un sorriso sereno, gli occhi di suor Agnes svelano il dolore che ha visto e vissuto insieme alle persone innocenti che ha incontrato nella sua missione.
A conflitto siriano appena iniziato, la suora decise di scrivere una lettera ad una associazione umanitaria francese parlando della guerra mediatica e della disinformazione in atto contro il suo paese, e raccontando con coraggio ciò che stava realmente accadendo. Per questa lettera, i gruppi combattenti scatenarono critiche e polemiche contro di lei.
Suor Agnes tuttavia non si è abbattuta, anzi ha deciso di continuare con più animo la lotta contro la disinformazione, e grazie al suo contributo arrivò in Siria la prima delegazione di giornalisti stranieri, nonostante la chiusura totale del governo siriano timoroso per possibili infiltrazioni di spie internazionali.
La religiosa convinse le autorità (nei cui confronti è stata comunque critica in diverse occasioni) del bisogno di raccontare la verità in modo neutro e indipendente, denunciando i massacri e i crimini commessi dai gruppi terroristici composti da Jihadisti stranieri intervenuti nel paese per combattere la guerra santa.Non si tratta infatti di una rivolta popolare, ma esistono gruppi organizzati che creano manifestazioni ad hoc e che tentano, attraverso atti di violenza, di suscitare scontri settari e divisioni etnico religiose.
La strada è dura da percorrere. Le critiche piovono su suor Agnes da tutte le parti, anche da gruppi che si professano pacifisti ma chiedono l'intervento militare in Siria. Alcuni la accusano di appoggiare il governo siriano, quando invece la suora denuncia i crimini dei ribelli e smaschera le false notizie.
"Non faccio politica: il mio impegno è puramente umanitario", ha affermato in più di un'occasione. Le sue non sono parole vuote, e malgrado gli attacchi feroci dei movimenti vicini all'opposizione siriana e dei simpatizzanti dei ribelli, il suo ruolo è stato decisivo nelle zone di maggiore conflitto, dove è riuscita a trovare spesso soluzioni di compromesso tra combattenti e governo. Il tutto grazie alla rete di volontari del Movimento Mussalaha, che salvato tanti civili e riaperto i canali del dialogo e della riconciliazione.
Ciò ha consentito a suor Agnes di far evacuare famiglie, proteggere donne e bambini, agire non da spettatrice, ma in prima linea, tra la gente e nei luoghi ad altissimo rischio. La suora è instancabile e continua a girare il mondo come portavoce dei civili innocenti: ha già raccolto tanti aiuti durante i suoi viaggi in Europa e in Australia, riuscendo ad ottenere, tra le altre cose, un'ospedale ambulante e grandi quantitativi di medicine e di generi di prima necessità.
Mentre il mondo è in attesa che le diverse parti in conflitto si siedano al tavolo della trattativa a Ginevra, una suora tenace salva quotidianamente tante vite umane, aprendo una finestra di speranza sul massacro, attraverso la strada del dialogo e della riconciliazione.

  da Zenit.org , di  Naman Tarcha 

http://www.zenit.org/it/articles/nel-buio-del-conflitto-siriano-una-suora-fa-intravedere-la-luce

martedì 9 giugno 2015

Chi finanzia l’Isis in Siria?

Ribelli moderati confiscano le case cristiane in Idlib
Gli ex residenti di Al-Ghassaniyah hanno riferito che le loro case, le imprese, e le chiese sono state tutte
sequestrate illegalmente dai membri del gruppo di Al-Qaeda in Siria "Jabhat al-Nusra" ed dai loro affiliati
 Harakat Al-Ahrar Sham e Ajnad Al-Sham; 
questi stessi militanti non solo hanno sfrattato
i restanti abitanti cristiani, ma anche, sommariamente giustiziato coloro che
non aderiscono alle loro politiche.









Intervista a Ghaleb Kandil, esperto di geopolitica libanese
di Naman Tarcha

ZENIT, 9 Giugno 2015

Ghaleb Kandil, giornalista libanese, è direttore dell’agenzia di stampa New Orient News, analista politico e membro della commissione per l’audiovisivo libanese, presidente del Centro Nuovo Medio Oriente per gli studi strategici di Beirut. ZENIT ha approfittato della presenza dell’illustre esperto di Medio Oriente, intervistandolo durante la sua visita in Italia, in occasione della quale è stato ospite dell’Associazione Amici del Libano.


Il cosiddetto “Stato Islamico” ha occupato Palmira, un sito archeologico di grande importanza e una zona strategica per Damasco. Malgrado la Coalizione Usa, l’IS avanza, come mai?
Palmira è un punto importante per la prossima controffensiva dell’esercito siriano, che sta combattendo lo Stato Islamico su ogni fronte. Nella guerra ci sono obiettivi, ritiri, offensive e controffensive. Diverse zone sono state occupate dai terroristi e liberate dopo mesi. 
Quello che non viene riportato è il flusso di danaro, di armi e di jihadisti verso la Siria, attraverso il confine turco, giordano e libanese. Questo sostegno umano, militare e finanziario, proviene dalla Turchia, dal Qatar, dall’Arabia Saudita e dalla Giordania. Ogni volta che arriva questo supporto, lo Stato Islamico fa un passo avanti.


Chi finanzia lo Stato Islamico?
Oggi l’Isis è sostenuta finanziariamente dalla Turchia. Come accade? Lo Stato Islamico ruba il petrolio siriano e iracheno, lo trasporta tramite camion verso la Turchia, lo vende dai porti turchi nel mercato nero. Il denaro viene pagato attraverso società turche, alcune delle quali riconducibili perfino a parenti di Erdogan. Il gruppo che è al potere in Turchia prende la sua tangente e il resto di quei soldi finisce nelle casse dell’Isis. 
Questa operazione è in corso, sotto gli occhi degli Stati Uniti e dell’Onu. E accade ogni ora di ogni giorno. Dal Qatar e dall’Arabia Saudita poi un flusso di finanziamenti arriva all’IS ma anche ad Al Nusra e ai Fratelli Musulmani, che dopo la riconciliazione, fra Arabia Saudita e Turchia, promossa da Usa, hanno riunito i gruppi terroristici sotto il nome di Jaish al Fath, per una nuova escalation di attacchi contro la Siria. 


Come sta conducendo la battaglia contro i terroristi l’Esercito siriano?
L’esercito siriano agisce secondo i propri piani. Ha una lista di priorità dei suoi obiettivi, adeguata alle proprie capacità umane e pratiche. Cerca di contenere queste aggressioni e si prepara a lanciare le controffensive. L’esito della battaglia di Qalamon sarà decisivo, liberando la forza di migliaia di militari siriani che ora sono impegnati lì e sono appoggiati dalla resistenza libanese di Hezbollah, forte e al suo fianco, e in prima linea a difesa della Siria e del Libano.
lanciamissili turchi decisivi per la vittoria di al Nusra ad Idlib

Come si può raggiungere una soluzione per la crisi siriana?
Bisogna fermare ogni attività terroristica, ogni rifornimento di soldi e di armi ai terroristi. Se ciò accadesse l’esercito siriano ci metterebbe pochi mesi per spazzarli via tutti. Chi è che sta impedendo la risoluzione o l’applicazione della risoluzione del consiglio di sicurezza Onu? Gli Stati Uniti, con la strategia di una guerra di logoramento. 
Infatti tutte le soluzioni nasceranno dai pesi e dagli equilibri locali e dentro l’area. Non credo che con l'eventuale firma dell’accordo nucleare, l’Iran riuscirebbe ad imporre a Washington a rinunciare a questo progetto. Ci vorrebbe uno sforzo più ampio. Non basta l’Iran, insieme alla Russia o alla Cina, bisogna che si aggiungano voci europee.

La divisione della Siria in cantoni su base religiosa: uno stato sunnita, uno sciita, uno cristiano. Questa è una delle soluzioni promosse anche in Europa…
In Siria non ci sono i presupposti per una divisione o una spartizione. In Siria c’è una grande massa sunnita popolare che è al fianco del governo. Il presidente Assad non gode solo del consenso alawita o cristiano ma anche l’appoggio della comunità sunnita, perché in Siria c’è un vero stato nazionale. Ma poi c’è, da parte di Assad e del suo governo, una forte volontà politica a mantenere salda l’unità della nazione anche a costo di una lunghissima guerra.

Il Presidente Assad era il nemico da sconfiggere, ora invece, anche se l'Occidente non vuole ammetterlo, è un alleato nella lotta al terrorismo. Quanta ipocrisia c’è?
È vero, per l'Occidente lo Stato Islamico è terrorista, ma sottobanco, i potenti chiudono gli occhi riguardo l’appoggio di Erdogan ai terroristi dell' IS, e di Qatar e Arabia Saudita ad Al Nusra, oltre alle organizzazioni terroristiche sostenute e finanziate legate ai Fratelli Musulmani. 
I Fratelli Musulmani, dapprima legati ai servizi segreti britannici e ora insieme agli americani, sono il fulcro di queste organizzazioni terroristiche. Diversi gruppi di intelligence europei hanno preso contatti in segreto con Damasco, perché i loro governi sono incapaci, miopi, e senza visione.

giovedì 26 febbraio 2015

Nei villaggi cristiani lungo il fiume Khabur, fonti confermano il rapimento di civili, la liberazione di alcuni e la distruzione di chiese. Il ruolo della Turchia.


Ultim'ora:  «Siamo riusciti a liberare le donne, i vecchi e i bambini cristiani rapiti dallo Stato islamico»

TEMPI, 25 febbraio
di Leone Grotti

Aggiornamento delle 18.00: Appena contattato da tempi.it, padre Ayvazian Antranig, responsabile dell’eparchia armeno-cattolica di Qamishli e rappresentante del WFP delle Nazioni Unite nel Nord Est della Siria, ha dichiarato: «Tre minuti fa mi ha chiamato un mio uomo, che ho inviato a trattare con i terroristi: siamo riusciti a liberare le donne, i vecchi e i bambini rapiti dallo Stato islamico. Siccome però gli scontri continuano, non siamo ancora riusciti ad andarli a prendere per non metterli in pericolo. Dovremmo riuscirci domani. Si trovano ora a 57 chilometri dal primo posto sicuro, nel villaggio di Msherfe. In tutto sono state rapite 163 persone. Di queste, 72 restano nelle mani dell’Isis a Mafluja mentre 26 o 28 a Habbade. Come li abbiamo liberati è un po' un segreto, ma loro ci rispettano». Domani l’intervista integrale.
http://www.tempi.it/siria-isis-ha-ucciso-milad-conquistato-villaggi-cristiani#.VO4jdGB0wqS

"Vogliono svuotare il Medio oriente dei cristiani e creare molti piccoli Stati confessionali."

AsiaNews , 25-02-2015


......
"Si parla di oltre 90 fedeli rapiti, ma secondo alcuni il numero ancora più grande, forse 150; una chiesa è stata distrutta, almeno tre villaggi di rito assiro sono stati occupati, la gente è dovuta scappare. Non abbiamo ancora notizie esatte, ma dalle prime testimonianze la situazione è drammatica". È quanto afferma ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, commentando l'attacco sferrato il 23 febbraio scorso dallo Stato islamico contro alcuni villaggi cristiani assiri nel nord-est della Siria. Colpiti numerosi centri fra cui Tel Tamar, Tel Shamiran, Tel Hermuz, Tel Goran e Tel Khareta...

Il vicario apostolico di Aleppo si rivolge all'Occidente e alla comunità internazionale affermando con forza che "l'intervento militare contro lo Stato islamico non è la via giusta" per risolvere la crisi e restituire pace e sicurezza alla Siria e all'Iraq. "Non ho mai creduto nella guerra - precisa - perché essa crea ancora più odio e divisioni". 
L'Occidente, prosegue il prelato, dice di combattere questi gruppi "ma li aiuta dall'altra parte. Chi compra il loro petrolio, chi vende loro le armi, chi è coinvolto nel traffico di reperti archeologici, di beni antichi di inestimabile valore?". 
Mons. Georges Abou Khazen vede molta "ipocrisia" nella lotta ai terroristi, "che non si risolverà certo con le bombe, ma smettendola di finanziarli a livello economico e militare. Quello che chiediamo è di non aiutare questa gente, non vendere loro le armi, lo diciamo da tempo ma nessuno ci ascolta". 
Il prelato ricorda inoltre che la comunità assira sotto attacco vive "da migliaia di anni nella zona, con le proprie tradizioni e riti antichissimi. Li hanno sradicati senza difesa alcuna. Si fanno campagne per salvare gli animali in via di estinzione, per lasciarli nel loro habitat - accusa - e per noi cosa si sta facendo davvero?".
Fra i fedeli c'è un sentimento di paura, conferma mons. Georges, "tanti vogliono scappare ed è un segnale molto pericoloso. Svuotare queste terre del cristianesimo è una disgrazia per tutti quanti. Forse si vuole dar vita a un altro Afghanistan, nelle mani dei nuovi talebani". 
Questa è la nostra lettura, conclude il prelato, vogliono "svuotare il Medio oriente dei cristiani e creare molti piccoli Stati confessionali. Noi cristiani siamo gli unici sparsi per tutto il territorio di Siria e Iraq, siamo il solo elemento che difende l'unità del Paese e mantiene vivo il valore del pluralismo... un elemento che vogliono sempre più distruggere".

http://www.asianews.it/notizie-it/Siria:-150-cristiani-rapiti-dallo-Stato-islamico,-donne-stuprate-e-uccise.-Vicario-di-Aleppo:-“situazione-drammatica”-33561.html

La barbarie dell'Isis e il ruolo ambiguo della Turchia

L'esercito turco ha violato la sovranità territoriale siriana per evacuare una statua in ricordo dell'Impero ottomano. Nessuna interferenza nella operazione da parte dell'Isis, che controlla la zona

ZENIT.ORG, 25 febbraio 2015
di Naman Tarcha 

Ancora una volta la storia si ripete. Negli stessi territori in cui, cento anni fa, i turchi commisero il primo genocidio ai danni dei cristiani mediorientali (armeni, siri, caldei e assiri), le stesse vittime sono oggi perseguitate dai terroristi dello Stato islamico.
I jihadisti hanno compiuto un nuovo feroce assalto a 30 villaggi siriani della comunità cristiana degli assiri nella provincia di Hasakah, nel nord-est della Siria. Il tentativo è stato quello di riconquistare terreno e trovare vie di fuga e rifornimenti, dato l'avanzamento delle Forze armate siriane a nord di Aleppo e la resistenza delle forze di difesa curde. Tal Hermez, Tal Tamer, Tal Shmeram, Tal Tawil sono solo alcuni dei villaggi sul fiume Khabur, assaltati dai miliziani con circa 40 mezzi armati all'alba di lunedì.
Jack Bahnam Hindo, vescovo della chiesa siro-cattolica a Hasakeh, ha confermato che la maggior parte degli abitanti sono stati sfollati nella città vicina di Qameshli, ma almeno 70 civili - per lo più donne e bambini - risultano in mano ai terroristi, portati in un luogo sconosciuto.
"Decine di cristiani assiri sono stati presi in ostaggio dai jihadisti, probabilmente allo scopo di usarli come scudi umani o merce di scambio con riscatto o rilascio”, sottolinea mons. Hindo. Il quale critica duramente la coalizione occidentale: "Voglio dire chiaramente che noi abbiamo la sensazione che siamo lasciati soli nelle mani di Daash (acronimo arabo di Stato islamico di Iraq e Levante ndr), i caccia americani sorvolavano la zona, ma non sono mai intervenuti".
Fonti locali riferiscono di case e abitazioni occupate e bruciate dall'Isis: quattro uomini delle guardie locali rimasti uccisi negli scontri, mentre é stata data alle fiamme la chiesa di Al Shamiye, una delle più antiche della Siria.
Gli attacchi dei terroristi sono avvenuti per rompere l'assedio imposto alla zona strategica, Ras Al-ain, cittadina di confine con la Turchia, e riconquistare l'autostrada che collega le città siriane di Qameshli e Hasakeh, lungo la quale si trova Al Raqaa, dichiarata capitale dello Stato islamico.
Le forze di difesa assire sostenute dai raid aerei dell'esercito siriano hanno respinto i terroristi e si preparano alla controffensiva, mentre le forze di difesa curde avevano già ripreso il controllo di 20 villaggi negli ultimi giorni.

Si registrano intanto tensioni anche tra la Siria e la Turchia. La scorsa notte l’esercito turco è entrato in territorio siriano per evacuare il mausoleo dedicato a Suleyman Shah, nonno di Osman, fondatore dell'Impero ottomano, che morì annegato, nel 1231, mentre attraversava il fiume Eufrate, vicino la fortezza di Jaabar. Malgrado la salma non fosse mai ritrovata, fu costruito un mausoleo in suo ricordo.
L’edificazione avvenne in un sito extraterritoriale, soggetto a sovranità turca a seguito di un accordo franco-turco del 1921 (durante l’epoca coloniale francese). Tuttavia la statua fu trasferita dalle autorità siriane nel 1972 dal luogo originale per consentire la costruzione della grande diga siriana.
L’intervento dei militari turchi a difesa della statua di Suleyman Shah è stato definito dal Governo di Damasco “una palese aggressione” per cui “Ankara ne risponderà”.
Da segnalare che i miliziani dell’Isis, nonostante abbiano fatto saltare in aria decine di santuari, mausolei e tombe sacre in Iraq e in Siria, hanno sempre risparmiato il mausoleo, l'unico rimasto in piedi, anche se dista solo 100 km dalla città siriana Al Raqaa, dichiarata capitale del cosiddetto Stato Islamico.
L'operazione dei militari turchi non è stata disturbata né da parte dei combattenti curdi di Kobane, né dall'Isis che controlla la zona, suscitando molti interrogativi.
La Turchia è stata ad oggi l'unico Paese in grado di liberare i propri ostaggi dalle mani del cosiddetto Stato islamico: 49 persone sono state tratte in salvo tra diplomatici e loro familiari, sequestrati presso il consolato turco a Mosul dopo l'assalto dell'organizzazione terroristica alla città irachena.
Il Governo turco ha subito precisato che quella della scorsa notte è solo un'operazione temporanea, e presto costruirà un mausoleo nuovo, sempre però sul territorio siriano, a 200 metri dal confine turco nei pressi di Ain Al-arab (Kobane).
Alla Turchia di Erdogan viene attribuito un ruolo ambiguo, visto il rifiuto di partecipare alla Coalizione guidata dagli Stati Uniti. Anche l'opposizione turca accusa Erdogan e il suo partito di condurre politiche dannose a scapito della stabilità e della sicurezza interna al Paese, attraverso il sostegno ai gruppi armati in Siria.

http://www.zenit.org/it/articles/la-barbarie-dell-isis-e-il-ruolo-ambiguo-della-turchia

sabato 22 novembre 2014

I Paesi del Golfo e il terrorismo islamico

Il recente summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo potrebbe rappresentare una svolta nei rapporti con l'Isis


Zenit.org,  

di Naman Tarcha 

Riordinare la “Casa del Golfo”. È questo l’obiettivo a cui è giunto il Consiglio di Cooperazione del Golfo, riunitosi in un summit a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, lo scorso 16 novembre. Il risultato conseguito è stato il ritorno degli ambasciatori di Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita in Qatar, dopo che i propri governi li avevano richiamati nel marzo scorso.

La crisi diplomatica con Doha può ritenersi dunque appianata. La causa scatenante era stato il protagonismo assoluto ostentato dal Qatar, uno dei Paesi più ricchi della regione, che si è rivelato in una politica estera che gli altri Paesi del Golfo avevano considerato dannosa ai loro interessi e agli equilibri politici dell’area.
Il Qatar, sovente accusato di un silenzioso sostegno a diverse formazioni islamiste, è stato accostato anche al Movimento dei Fratelli Musulmani, messo al bando da diversi Paesi arabi giacché considerato organizzazione terroristica.
Proprio questo rapporto privilegiato con i Fratelli Musulmani é stato uno dei motivi dell'isolamento di Doha, la quale ospita i loro leader. Doha che inoltre rappresenta, insieme al suo principale alleato, la Turchia, una seria minaccia alle politiche saudite a sostegno del potere di Al Sisi in Egitto e in tutto il Medio Oriente. All'interno di questo scacchiere si collocano poi le dichiarazioni dell’Isis secondo cui l’Arabia Saudita sarebbe il loro prossimo obiettivo bellico.
Uno degli elementi che ha particolarmente spinto il Qatar a rivedere la sua politica, è stato la pubblicazione da parte degli Emirati Arabi di una “lista nera” composta di ottantatre enti religiosi e movimenti politici dichiarati organizzazioni terroristiche. In cima compare il Movimento dei Fratelli Musulmani e l’Unione mondiale degli ulema islamici.
http://erebmedioriente.tumblr.com/post/102869959331/islam-emirati-arabi-contro-i-fratelli-musulmani-di

Quest’ultima organizzazione, nata a Londra nel 2004, è guidata dallo sceicco egiziano Yusuf Qaradawi, residente in Qatar, presidente dell’Unione e noto  propagandista di Al Jazeera. Qaradawi aveva dichiarato recentemente illecito combattere l’Isis, rivelando che Al Baghdadi, capo dell’organizzazione terroristica, è affiliato ai Fratelli Musulmani.
La lunga lista comprende 23 brigate legate ad al Qaeda che combattono tra le fila dell’opposizione contro il governo siriano, come Ahrar Al Sham e Al Nusra. Accanto a queste organizzazioni impegnate sui campi di battaglia, ve ne sono altre che sono considerate luogo di raccolta di denaro per finanziare i terroristi con armi o per reclutarli: tra loro spiccano l’Unione delle organizzazioni islamiche in Europa e diverse organizzazioni islamiche europee, tra le quali anche l’Alleanza Islamica d'Italia.
http://www.iltempo.it/cronache/2014/11/18/alleanza-islamica-italia-nella-lista-del-terrore-1.1345956

La pubblicazione di questa lista da parte degli Emirati Arabi e la frattura risanata tra Paesi del Golfo e Qatar, sono due elementi che potrebbero rappresentare una svolta capace di coinvolgere tutto il Medio Oriente.
Un ricco canale di finanziamento nei confronti dei terroristi si avvia verso la chiusura?

http://www.zenit.org/it/articles/i-paesi-del-golfo-e-il-terrorismo-islamico

lunedì 3 novembre 2014

La Siria é ancora viva. Aiutiamola...

E' l'appello di Naman Tarcha, giornalista siriano e Segretario del Coordinamento per la Pace in Siria. Il neonato Coordinamento, costituito a luglio di quest'anno, nasce dalla volontà di ridare voce ai siriani.


 Quali sono gli obiettivi del Coordinamento per la pace in Siria?
Vogliamo ritornare a fare luce sulla Siria: per anni la situazione nel Paese è stata raccontata secondo il punto di vista di una sola parte, quella degli interessi dell'Occidente. Vogliamo creare uno spazio alternativo di informazione che attraverso tutti i canali sostenga i siriani ridando loro voce.

Come è possibile, al di là di un'informazione alternativa, sostenere il popolo siriano?
Partendo da progetti, anche piccoli, ma concreti. Purtroppo accade spesso che i fondi destinati a popoli sofferenti non arrivino mai: in guerra, forse più che in pace, c'è sempre qualcuno che cerca di lucrare sulle sofferenze altrui. Il Coordinamento per la pace in Siria non crea progetti ad hoc bensì segue e sostiene i progetti siriani che già esistono. La Siria infatti, a differenza di quanto credono in molti, non è affatto un Paese morto: certo, una parte del Paese è stata completamente distrutta ma ve ne è un'altra che sta lottando con tutte le forze per rialzarsi, per tornare a vivere. A noi piace molto la definizione della Siria come La Fenice che rinasce dalle proprie ceneri. Il Coordinamento per la pace in Siria vuole fare da ponte tra i numerosi enti, associazioni siriani impegnati in progetti di ricostruzione ed enti, associazioni italiani che si occupano di aiutare il prossimo in diversi campi.
Per esempio, in Siria un interlocutore importante è rappresentato dai frati francescani nella figura del vicario apostolico di Aleppo George Abu Khazen. Per questo cerchiamo di promuovere anche gemellaggi tra diocesi siriane e diocesi italiane, o tra quanti in Siria cercano di valorizzare i beni culturali e quanti lo fanno in Italia. Scopo del Coordinamento è di individuare partner italiani che entrino in contatto con realtà siriane che stanno concretamente cercando di ricostruire il Paese. Inoltre, prima c'era una cooperazione con l'Italia molto significativa nel campo medico che vogliamo ripristinare, ma anche nei settori industria e commercio, essendo la Siria da sempre primo partner con l'Italia, attraverso piccoli progetti per creare occupazione. Vogliamo essere un vero e proprio call center, una voce per quelle associazioni della società civile che vogliono aiutare dando così vita ad un circolo virtuoso per ridare speranza al popolo siriano.

Può farci qualche esempio di questi progetti?
Crediamo che per ricostruire un Paese provato come la Siria, è fondamentale il ruolo della scuola. Solo educando le generazioni più giovani si può restituire speranza al Paese tutto. Per questo il Coordinamento fa da ponte tra scuole siriane che a causa della guerra sono state trasformate in centri di accoglienza e scuole italiane che vogliono aiutarle a tornare a essere centri di educazione.

 Inoltre, Le accennavo prima alla promozione del patrimonio artistico: la Siria ha un patrimonio culturale e architettonico ricchissimo che è stato in parte distrutto dalla guerra ma che i siriani stanno tenacemente cercando di ricostruire, come i resti romani vicino ad Aleppo o quelli di Damasco.
I segnali della volontà del popolo siriano di tornare a vivere sono numerosi: a Homs i muri della città sono stati ripuliti e ridisegnati con immagini di fiori, sole, insomma di vita.
 A Latakia i cittadini si sono organizzati per ridipingere i muri delle scuole, a Tartus un gruppo di volontari ha ridato vita ad un parco giochi, a Damasco sono stati rimessi in ordine numerosi spazi verdi, ad Aleppo, che, molti non sanno è una città di 4 milioni di abitanti, giovani volontari si sono organizzati per pulire le strade.
Una parte della città, quella a nord, è in mano ai terroristi, ma ve ne è un'altra che vuole risollevarsi e sta usando tutte le sue forze per farlo.

 Oltre alla cura del patrimonio e dell'ambiente, i siriani hanno anche dato vita a progetti di occupazione femminile e stanno rimettendo in piedi imprese storiche che sono state costrette a chiudere a causa della guerra.
Non mancano poi iniziative curiose come il flashmob promosso da giovani musicisti siriani del Conservatorio di Musica nelle strade di Damasco. 
Tutti segnali questi di come la Siria non sia affatto un Paese morto: sotto le ceneri della guerra, c'è una fiamma che attende solo di riaccendersi. Per farlo ha bisogno del sostegno di enti e associazioni che per loro stessa vocazione aiutano il prossimo. 

Il Coordinamento fa appello alla società civile. Crede che la politica debba fare pubblica ammenda rispetto a scelte sbagliate nei confronti del popolo siriano?
Credo che ci sia una indubbia responsabilità politica che va denunciata, sia che questa responsabilità sia causata da ignoranza o da malafede. Ora, per esempio, si parla tanto dei profughi siriani: benissimo purché si parli anche della popolazione siriana che deve convivere a fianco dei terroristi e che, come dicevo sopra, sta lottando per rimettersi in piedi. Dal momento poi che i canali politici tra la Siria e l'Italia sono chiusi a causa dell'embargo e delle sanzioni europee che colpiscono i siriani, non ci resta che fare appello alla società civile.


Crede che il governo italiano debba riaprire il dialogo con il governo siriano?
E' necessario riaprire i canali ufficiali altrimenti ci troviamo di fronte alla classica situazione del cane che si morde la coda. Le faccio un esempio: il più grande ospedale della Siria per la cura dei tumori si trovava ad Aleppo. E' stato completamente distrutto. Il Coordinamento sta cercando di portare dei medici ad Aleppo dal momento che la città è stata letteralmente abbandonata dai medici che non possono più lavorare ma a causa dell'embargo non ci sono né medicinali né attrezzature. Come le dicevo, fin quando i canali ufficiali rimarranno chiusi, l'unica strada percorribile è quella della società civile.

Come si può aiutare il Coordinamento per la Pace in Siria?
Chi volesse aiutare può dare un sostegno diretto al Coordinamento attraverso una donazione sul nostro sito www.siriapax.org o può segnalarci enti o associazioni che hanno voglia di aiutare indicando il campo di azione di tali realtà. Sarà poi nostro compito mettere in comunicazione queste realtà italiane con quelle siriane.

lunedì 13 ottobre 2014

Arcivescovi e sacerdoti rapiti in Siria: 540 giorni nell'oblio del mondo

Nessun indizio, nessun riscatto, nessuna informazione mai trapelata dal 22 aprile 2013. Intanto i rapitori si sono trasformati in un Califfato ricco e organizzato



di Naman Tarcha

Sono spariti nel nulla i due arcivescovi Johanna Ibrahim, vescovo Siro ortodosso, e Bulos Yazjil, vescovo greco ortodosso. Sono trascorsi esattamente 540 giorni da quel 22 aprile 2013, quando i due presuli sono stati rapiti durante una missione umanitaria di mediazione per liberare due preti siriani: p. Michel Kaial, giovane sacerdote armeno cattolico, e Isaac Mahfouz, greco ortodosso, sequestrati dai gruppi armati nel nord della Siria. 

I due arcivescovi sono stati prelevati sull'autostrada che collega la città Aleppo al confine turco siriano, mentre rientravano dalla Turchia. Rabbia e angoscia hanno segnato sin dai primi giorni, la comunità cristiana siriana per il destino dei due presuli molto amati e stimati dai fedeli.
Ibrahim, vescovo di Aleppo della chiesa Siro ortodossa, è infatti uno dei principali esponenti delle Chiese Orientali in tutto il Medio Oriente; Yazji è invece il fratello dell'attuale Patriarca Greco Ortodosso in tutto il mondo e Capo della più numerosa comunità cristiana in Siria.
Era chiaro sin dall'inizio che i rapitori erano a conoscenza della importanza di cui godevano le loro vittime; anzi, con il senno di poi, appare chiaro che tutto fosse stato progettato nei minimi dettagli. Di fatto, in tutto questo tempo non è trapelata alcuna informazione sull'identità dei rapinatori, né sul luogo e sul destino delle vittime, tantomeno sono state avanzate richieste di risarcimento o riscatto.
L'obiettivo è dunque politico. Ovvero traumatizzare le comunità cristiane in Siria, spaventarle e costringerle ad abbandonare il paese. Una tattica che rientra nel tentativo degli estremisti di svuotare il Medio Oriente dai cristiani, cittadini autoctoni e proprietari di quelle terre.
Diverse volte si era accesa la speranza per le trattative in corso, grazie alla mediazione del Qatar che, in diretto contatto con i gruppi armati, era già stato protagonista del rilascio delle monache di Maloula rapite dai terroristi di Al Nusra, gruppo affiliato ad Al Qaeda.
Malgrado i forti rapporti della Turchia con diversi gruppi armati, i negoziati tuttavia non hanno portato a nulla. Dei due arcivescovi fino ad oggi non c'è nessuna traccia e quelli che erano gruppi armati e combattenti d'opposizione nel frattempo si sono trasformati in uno Stato Islamico, con un Califfato, organizzato, attrezzato, super armato, considerato uno dei più ricchi gruppi terroristici al mondo.
Il silenzio assordante dell'Occidente su questi crimini in Siria, oggi sotto una grave minaccia di terrorismo, scuote le coscienze dei cittadini europei e accende forte dibattito sulle politiche adottate dai propri governi sull'altra sponda del Mediterraneo.
Allo stesso tempo, spinge tanti siriani a non credere alle superficiali e apparenti preoccupazioni di Usa e Europa sul destino delle minoranze etnico religiose e dei cristiani d'Oriente soprattutto, attualmente le vere vittime del terrorismo. 

lunedì 1 settembre 2014

"Se crollasse la Siria, per il Medio Oriente sarebbe una catastrofe"




























Giornata di preghiera per la Pace in Siria 
7 settembre 2014
a Roma
celebrazione liturgica in rito greco bizantino 

presieduta da Mons. Mtanoius Haddad 

Procuratore del Patriarca Greco Melkita Cattolico

presso la Basilica di Santa Maria in Cosmedin
Piazza Bocca della Verità , Roma, Ore 10.30


1 settembre: memoria di san Simeone stilita. Preghiamo perchè per la sua intercessione la Pace e la sicurezza tornino in Aleppo e in Siria

Intervista al Vicario Apostolico di Aleppo, mons. George Abu Khazen, in cui esprime i suoi timori per la situazione nel martoriato paese e spiega perché oggi sia fondamentale salvare lo Stato Siria




Roma, (Zenit.org)
 di  Naman Tarcha


ZENIT lo aveva già intervistato alcuni giorni fa in occasione di un incontro durante il Meeting di Rimini, al quale aveva partecipato insieme al suo predecessore Giuseppe Nazzaro. Tuttavia il Vicario Apostolico di Aleppo, George Abu Khazen, vescovo dei Latini in Siria, ha ancora tanto e tanto da dire. Non potrebbe essere altrimenti considerando che la sua opera si svolge nella città più antica del mondo ancora abitata, e oggi, purtroppo, la più pericolosa. Mite, con il sorriso abituale dei frati minori, ma forte e determinato come le montagne del Libano dove è nato e cresciuto, il presule ha partecipato al Meeting con grande entusiasmo, offrendo una toccante testimonianza durante l'incontro tenuto dal Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria. Nei suoi occhi c'è un misto di nostalgia e commozione. Tutti lo cercano, e lui si presta umilmente a interviste e conferenze, cosciente della grande responsabilità verso il suo popolo. "Prima di partire da Aleppo tutti mi dicevano: porta nostri saluti e racconta al mondo ciò che succede a noi!"

Quale è la situazione della popolazione civile oggi in Siria?
Dipende dalla zona, la situazione varia da un posto all’altro, in alcune zone la gente vive in sicurezza lontana dagli scontri, realisticamente tranquilla, anche se tutti i siriani sono stati colpiti, sia personalmente, sia per la presenza di un altissimo numero di sfollati. Le zone degli scontri sono invece molto più pericolose, distrutte e danneggiate. Ad esempio ad Aleppo manca tutto: acqua, corrente, combustibili, aumento spropositato del costo della vita, sommati ad una totale disoccupazione. Gli unici che riescono oggi ad arrangiarsi sono gli impiegati statali e i pensionati, mentre tutti gli altri vivono di aiuti e sussidi. Immaginate un padre di famiglia che arriva alla sera senza poter comprare la cena ai suoi figli! Ovviamente tutto ciò unito alle minacce quotidiane di razzi e colpi di mortaio, a case distrutte e una lista quotidiana di vittime. Tutti i giorni contiamo decine di vittime civili perfino nei quartieri cristiani.

Dopo quattro anni l’Occidente si è accorto che le minacce ai cristiani del Medio Oriente sono una realtà? Ma quale è la vera minaccia?
Mi domando se davvero l'Occidente è preoccupato per le minacce ai cristiani in Medio Oriente. E' un punto interrogativo. Il pericolo più grande è l’espansione dell’estremismo: l'esempio più eclatante è il cosiddetto Stato Islamico, che rappresenta oggi un vero pericolo non solo per i cristiani, ma per tutte le minoranze etnico religiose, oltre all’Islam moderato. I cristiani di Aleppo ad esempio vivono quotidianamente con il timore e la paura, perché l’IS è a soli 20km di distanza dal centro della città. Se mai l’Is dovesse arrivare ad Aleppo, una città già di per sè molto complessa, non ci sarà scampo e sarà una distruzione totale.

L’Occidente teme più per la sorte dei cristiani o per i propri interessi?
Per me l’Occidente di sicuro non è preoccupato per i siriani cristiani, perché in quattro anni quando erano davvero in pericolo nessuno ha mosso un dito. Anzi, ci accusavano di essere schierati, di stravolgere le realtà, di dire il falso, e che sbagliavamo in tutto. Se si sono mossi oggi è per altri motivi. In Occidente si mobilitano tutti per salvare un animale minacciato di estinzione e proteggere il suo habitat, mentre intere popolazioni etniche e religiose vengono sradicate dalle loro terre d’origine dove vivono da secoli, e nessuno apre bocca.

Quale è la situazione dei villaggi cristiani nella provincia di Idlib?
A Ghassaniyeh la presenza dei cristiani è stata cancellata totalmente, non sappiamo nulla delle chiese e dei conventi, se sono stati distrutti, bruciati o saccheggiati. Nelle altre tre Kunayeh, Yakibiyeh e Jidayde è rimasto un piccolo nucleo di famiglie cristiane: circa 700 persone con due frati, che servono i loro parrocchiani spiritualmente e socialmente. Le parrocchie cattoliche e quelle ortodosse sono rimaste invece senza nessuno. Quando sono entrati i jihadisti dello Stato Islamico, avevano ordinato nei villaggi di togliere tutti i simboli cristiani, croci, statue e immagini sacre, dentro e fuori le chiese e le abitazioni, obbligando le donne a coprirsi. Oggi invece sono sotto altri gruppi armati ma con il pericolo continuo dei saccheggi.

L'Occidente ha ignorato a lungo i timori della Chiesa in Siria. Essa, però, è divenuta oggi un punto di riferimento per tutti?
La Chiesa in Siria non è schierata politicamente, ha sempre adottato una posizione obiettiva perché raccontava la verità e la realtà dei fatti, anzi tanti l’hanno accusata ingiustamente di essere di parte. Il suo obiettivo era salvaguardare il Paese e i suoi cittadini, in particolare i cristiani, perché aveva una chiara visione di come sarebbero andate le cose. Ed eccoci oggi, vediamo cosa accade. Era una posizione profetica piuttosto che una posizione schierata. La Chiesa in Siria è attualmente molto vicina ai cittadini, sia cristiani che non: nessun vescovo ha lasciato la sua gente, nessun parroco ha abbandonato la propria parrocchia, le nostre possibilità sono limitate ma offriamo soccorso ed aiuto concreto. Ospitiamo tutti i siriani sfollati senza distinzione: cristiani, cattolici, ortodossi, e musulmani. Il popolo siriano, abituato alla convivenza pacifica, oggi è coeso più di prima, e ha riscoperto in questi momenti difficili il vero volto della solidarietà, della carità e dell’accoglienza dell’altro, e forse questo è un segno in un mondo marchiato dall’individualismo e dal razzismo.

Perché oggi è fondamentale salvare la Siria?
Se crollasse lo Stato siriano, con tutto ciò che rappresenta  - e non parlo di un governo, ma dello Stato Siria - sarebbe una vera catastrofe che devasterebbe tutto il Medio Oriente. Dobbiamo salvare la Siria, come Istituzione, come idea, con i suoi principi di convivenza, dialogo, moderazione e diversità, ed è questo ciò che tanti purtroppo non vogliono.
La nostra speranza è forte come la nostra fede. Il mio destino, quello di questa comunità e di questo Paese, non è nelle mani di un singolo, né di una forze regionale, né di una potenza mondiale, ma nelle mani di Dio, e questo destino lo riprenderemo per ritornare ad essere testimonianza vivente per gli altri, in tutto il Medio Oriente.

http://www.zenit.org/it/articles/se-crollasse-la-siria-per-il-medio-oriente-sarebbe-una-catastrofe

mercoledì 18 giugno 2014

La situazione dei cristiani siriani : cittadini in uno stato laico

Fra Firas Lutfi, giovane francescano siriano, racconta di quale cambiamento abbia realmente bisogno il suo paese e la difficoltà di ricostruire l'anima ferita dei suoi connazionali





Zenit
seconda parte dell'intervista di Naman Tarcha a fra Firas Lufti



Qual è la situazione dei siriani cristiani?
I siriani cristiani hanno goduto da sempre di una libertà religiosa, potevano praticare ed esercitare le loro funzioni liberamente dentro e fuori delle chiese, perfino in affollate processioni nelle strade durante il mese mariano o nella settimana santa. Ovvio che in alcuni casi si chiedono i permessi, come in tutte le parti, avvisando le autorità per proteggere le funzioni, e questo è una cosa molto importante perché esprime la tua fede nel rispetto delle altre fedi. Questa libertà religiosa è garantita perché la Siria è uno stato laico e non uno stato teocratico, perché se lo fosse il siriano di fede cristiana sarebbe cittadino di serie B come in altri paesi arabi. E questo, in uno stato civile, è una questione inaccettabile in uno società che crede nella cittadinanza nel quale io e te siamo pari, e malgrado la nostra diversa appartenenza etnica o religiosa abbiamo gli stessi diritti e doveri. I cristiani in Siria e in tutto il Medio Oriente vorrebbero vivere in questo contesto sociale senza privilegi ma con parità e uguaglianza nella cittadinanza. Nonostante il numero dei siriani cristiani non sia altissimo, crediamo che il numero non è la misura,  non avevano mai subito persecuzioni e minacce quotidiane alla loro vita ed esistenza. Oggi le cose sono cambiate e l'esempio palese è la città di Al Raqaa dove ai cristiani viene richiesto il dazio per lasciarli in vita.

Tanti accusano i siriani cristiani di avere una posizione ambigua. Cosa vogliono davvero?
Prima della crisi siriana i cristiani siriani avevano diverse richieste, come ad esempio la questione dell'appartenenza completa al paese dentro la costituzione siriana, la quale indica che il Presidente della Repubblica deve essere esclusivamente di fede mussulmana. Ma se vogliamo uno stato con l'uguaglianza dei cittadini la fede non dovrebbe essere un problema, bensì conta l'appartenenza al paese. Da cristiano la mia storia e radici risalgono a migliaia di anni e ho il diritto di raggiungere la più alta carica dello stato.
Oggi i cristiani vogliono invece almeno ritornare al passato. Soprattutto vedendo i conventi e le chiese profanate, saccheggiate, bruciate e distrutte, mentre il cristiano viene giustiziato con l'accusa di essere miscredente e infedele, o di essere lealista e vicino al governo. In questa situazione si trovano tanti giovani nell'esercito siriano, che prestano il servizio di leva: il giovane cristiano serve il suo paese convinto che é un suo dovere civile nel difendere la patria ma anche dovere religioso contro un pericolo di Jihadismo ed estremismo. Per questo motivo i cristiani difendono lo stato partendo dal principio della cittadinanza, e se non fosse la cittadinanza la misura della convivenza, qualsiasi misura sarebbe squilibrata. Se la misura é numerica siamo minoranza e si consacrerà il potere di una maggioranza sugli altri; se il criterio fosse settario, allora io mussulmano vengo prima poi gli altri sono di serie B; e allo stessi modo se la misura è su base etnica,  la società viene divisa e vengono esclusi curdi, armeni, cerchesi, turcmeni.
Sono una persona e non un numero, nè una percentuale; sono nato su questa terra, e vorrei continuare a viverci e l'altro dovrebbe riconoscermi come partner, non come ospite, al quale concede alcuni diritti. La cosa principale è questa: chi si considera amico dei siriani, o che pensa di lavorare per il loro bene, ci lasci decidere noi stessi, e  non decida al nostro posto, senza trattarci come deficienti o incapaci di ragionare. Abbiamo tutto il diritto di decidere il nostro destino. La civiltà siriana ha lasciato le sue impronte su tutto, perciò i siriani sono maturi abbastanza per capire ciò che è il loro bene è il loro male.

C'è in atto una persecuzione dei siriani cristiani?
Sì, i cristiani sono presi di mira. All'inizio le cose non erano chiare, oggi invece i siriani conoscono bene l'identità dei combattenti e la loro provenienza e appartenenza, soprattutto dopo quel che é accaduto nelle città cristiane vicino a Idlib. Quelli che parlano oggi del cosiddetto Esercito Libero come forza d'opposizione moderata sanno di mentire, e sanno bene che i diversi gruppi armati sono in un conflitto interno su terreni e sui bottini di guerra. I casi sono infiniti, vorrei ricordare i due arcivescovi siriani di Aleppo, Ibrahim, Siro-ortodosso, e Yazji, greco-ortodosso, ancora nelle mani dei ribelli, insieme ai due giovani sacerdoti Michael Kayal armeno cattolico e Isaak Mahfuz greco ortodosso spariti nel nulla. L'ultimo martire é il padre gesuita Franz Van der Lught, di nazionalità olandese che ha scelto di restare a fianco dei suoi parrocchiani a Homs, e ucciso barbaramente dai gruppi armati dopo aver tentato di prenderlo in ostaggio.
Quelli che prendono di mira i cristiani non sono siriani, perché un siriano mussulmano che ha vissuto accanto a suo fratello cristiano, non può farlo, sa come vive, a cosa crede e come si comporta, mentre chi viene da fuori, gli estremisti, indottrinati dal pensiero salafita e wahhabita, porta con sè un profondo odio dell'altro, del diverso, e non ha mai conosciuto un cristiano. Per lui la vita inizia e finisce nell'islam e tutti quelli che non appartengono alla sua presunta religione, sono miscredenti ed è lecito ucciderli.


Ha vissuto un’esperienza molto dolorosa. Cosa è accaduto a Ghassaniye?
il martire padre François Murad
Ero in servizio nella provincia di Idlib, dove sono stati assaltati tre villaggi cristiani, e lì viveva padre François Murad, un monaco che ha costruito un piccolo monastero per far rivivere la spiritualità del monachesimo orientale, e quando sono arrivati i ribelli ha aperto le porte a loro, ospitandoli, dopo un breve periodo l'hanno cacciato via occupando casa sua, e abbiamo dovuto ospitarlo nel nostro convento francescano, dove c'erano tre suore che offrivano il servizio di ambulatorio ai civili rimasti.
I ribelli hanno tentato diverse volte di assaltare il convento, e alla fine sono riusciti. Appena mi hanno avvisato sono corso, trovandomi davanti ad una scena agghiacciante. Avevano rubato e saccheggiato tutto, distruggendo croci e statue, e profanando la chiesa sgozzando il cane del convento sull'altare, e uccidendo padre Francois con sette colpi di pistola. Bastava una per ammazzare un uomo indifeso e disarmato, ma hanno preferito ucciderlo con sette colpi nel petto, e io l'ho sepolto.

Aleppo, la città più antica al mondo, oggi si trova in una situazione disastrosa...
Aleppo sta soffrendo in una condizione disumana e tragica, perché l'essere umano può anche supportare le difficoltà e i pericoli, ma quando viene privato dei bisogni primari restando senza acqua e cibo, perde tutta la dignità umana. La gente cerca di sopravvivere malgrado il costo della vita altissimo e la mancanza di introiti, senza benzina nè gas nè corrente e acqua. Anche se i quartieri cristiani della città sono relativamente sicuri, questa zona viene presa di mira dai gruppi armati con lanci continui di colpi di mortaio e missili artigianali, perfino la nostra cattedrale ha subito danni da questi missili. L'ultimo incidente é stato quando i ribelli hanno fatto saltare il palazzo della camera di commercio: è caduto il vetro della chiesa durante la messa, tanta era la forza dell'esplosione. I frati cercano di sostenere e aiutare la gente come possono, aprendo le porte ai bisognosi, e offrendo l'acqua potabile a tutti, mentre la scuola francescana ospita i bambini dell'orfanotrofio islamico. La sfida principale infatti é la sfida morale e spirituale, perché se l'uomo perde la speranza non riesce a superare e sopportare le difficoltà, senza la speranza la vita diventa senza senso nè futuro.

Ultima parola?
Durante le Crociate, San Francesco è riuscito ad ottenere il permesso di custodire la terra santa non con la forza delle spade e della violenza, ma con l'intelligenza, la semplicità e il dialogo. Questo conferma che l'unica strada per ottenere ciò che desidero dall'altro è nel riconoscimento e nel rispetto reciproco, senza ammazzare nè farmi ammazzare. Dobbiamo insistere sul dire tutta la verità con amore, e insistere nel dialogo con l'altro, senza questo dialogo saremo  distanti dalla nostra vita.

http://www.zenit.org/it/articles/la-siria-ha-bisogno-di-evoluzione-non-di-rivoluzione-seconda-parte

martedì 3 giugno 2014

Perchè il popolo siriano vuole votare? : la Siria ha bisogno di evoluzione, non di rivoluzione!










Fra Firas Lutfi, giovane francescano siriano, racconta di quale cambiamento abbia realmente bisogno il suo paese e della difficoltà a ricostruire l'anima ferita dei suoi connazionali





Sguardo fisso, presenza calma, dialogo franco, una vita dedicata a servire gli ultimi sulle orme di San Francesco. E' una figura che colpisce quella del giovane francescano fra Firas Lutfi. 
Figlio di Hama, la città che ha vissuto negli anni '80 la distruzione a causa di un colpo di stato fallito, il frate, mentre la sua famiglia si divideva tra Hama e Homs, ha servito la principale parrocchia cattolica dal 2004 fino a che è scoppiata la crisi siriana nel suo amato paese. 

Zenit,   

di   Naman Tarcha


Partono oggi le elezioni presidenziali siriane con una significativa partecipazione dei siriani malgrado le minacce e il terrorismo. C'è tanta voglia di un cambiamento?

Fra Firas Lutfi: La Siria come tutti i paesi del mondo aveva bisogno di cambiamento, ma per modernizzare il paese non c'era bisogno di una rivoluzione bensì di una evoluzione. L'Europa ha attraversato guerre mondiali devastanti prima di raggiungere una certa democrazia e considerare l'essere umano al centro. Il mio paese è sempre stato in mezzo a conflitti e guerre che hanno colpito la nostra regione dall'inizio dei secoli; é stato oggetto di contese e conflitti tra le forze regionali ed allo stesso tempo una delle regioni dove sono passate più civiltà, con conseguenze negative ma anche positive, offrendo tanta ricchezza e diversità meritando così di essere considerata la culla di tante civiltà. La Siria per 400 anni é rimasta sotto l'occupazione ottomana e poi l'occupazione francese, ottenendo la sua indipendenza solo trent'anni fa. Allora come si può chiedere ad un paese così giovane di essere libero indipendente stabile democratico al 100%?

Perché l'Occidente ha impedito ai siriani di votare all'estero definendo le elezioni "una farsa"?
Fra Firas Lufti: L'Occidente non riesce a cogliere due questioni: la prima è che i paesi in via di sviluppo hanno bisogno di tempo necessario per i cambiamenti, non si può chiedere ad un bambino di gareggiare in una maratona o attraversare il mare prima che cresca e possa essere autonomo. 
La seconda questione é l'indipendenza: oggi tutti i siriani lottano contro la violazione della sovranità siriana e l'ingerenza, perché credono che questa terra benedetta é la loro terra, la terra dei loro antenati, e hanno tutto il diritto di viverci in dignità. Il modello democratico nei paesi arabi é diverso da quello occidentale. La differenza é proprio nella forma mentis. L'Occidente si concentra sulla persona e sull'individualismo mentre nelle società mediorientali si vive ancora con il concetto di Pater Familias, della comunità, delle tribù. La democrazia di cui parliamo é la scelta del leader su cui viene trovato accordo per il bene comune e il meglio per il paese. Perciò dobbiamo rispettare le caratteristiche e le particolarità dei popoli senza voler applicare a loro i sistemi di altri paesi.

Tutti parlano a nome dei siriani ma cosa vogliono i siriani stessi?  

Fra Firas Lufti: C'erano da sempre ostacoli che impedivano il cambiamento e la modernizzazione del nostro paese, in primis la questione della liberazione dei nostri territori delle alture del Golan occupato. Fino ad oggi siamo in uno stato di guerra per difendere il nostro paese da un altro vicino che occupa i nostri terreni, malgrado le decine di risoluzioni delle Nazioni Unite che ribadiscono il nostro diritti ad averli. Il cittadino siriano bramava un sviluppo del paese a tutti i livelli, e vedeva nel presidente e nel governo attuale una vera speranza per questo cambiamento in un paese ricco di risorse ma colpito dalla crisi economica mondiale e dalla corruzione come in tanti altri paesi. 
Il paese di sicuro aveva bisogno di cambiamenti, alcuni già avviati e altri ritardati. Siamo tutti d'accordo sulla necessità di un cambiamento. La domanda però è: "Quale cambiamento?". Per l'opposizione siriana esterna, rappresentata dalla coalizione nazionale e l'opposizione armata, questo cambiamento avviene attraverso la violenza con l'appoggio e l'intervento militare esterno dall'Occidente, mentre per il cittadino siriano, che ha sopportato di tutto in questi tre anni, questo fatto é completamente inaccettabile. Sarebbe violazione della sovranità del paese e del rispetto dell'indipendenza degli Stati sancito dalle Nazioni Unite...

L'Occidente ancora parla di una rivoluzione del popolo siriano?
Fra Firas Lufti: I siriani, in modo particolare i cristiani, dopo tutti questi eventi sono convinti che ciò che accade é una distruzione dello stato e non un cambiamento o miglioramento, e che si va verso la trasformazione di un sistema politico, considerato dall'Occidente una dittatura laica, ad una dittatura religiosa di salafiti ed estremista. Forse all'inizio alcuni siriani si erano illusi, ma oggi tutto é più chiaro come rivelano i rapporti internazionali delle Nazioni Unite. Allora io da siriano potrei anche essere scontento di un mio governo, e non essere d'accordo con chi guida il mio paese, ma non capisco cosa c'entrano ceceni, afgani, libici, sauditi, a partecipare alla cosiddetta rivoluzione del mio paese. 
E mi chiedo pure: quale rivoluzione è questa se ci sono mercenari ed estremisti? Il cambiamento si fa per migliorare non per peggiorare. I cristiani vogliono un vero cambiamento radicale partendo da un riforma costituzionale, che è stata effettuata e approvata con un referendum e poi con una visione moderna del futuro del paese dove la religione é per Dio e il paese é di tutti.

Nel caso di Homs sono stati raggiunti alcuni accordi e tregue di cui non si ha notizia visto che, questi, sono stati ignorati dai media occidentali. Queste esperienze si potrebbero replicare in altre parti?
Fra Firas Lufti: Homs é una città famosa per i suoi cittadini pacifici e miti, auto ironici tanto da raccontare perfino barzellette su se stessi. Dopo l'uscita dei gruppi armati dalla città, la gente è ritornata di corsa per controllare le proprie case e abitazioni, ma purtroppo il 90% della città è stata distrutta. In ogni caso i palazzi si possono ricostruire mentre è più difficile ricostruire l'anima ferita e la fiducia nell'altro. Il popolo siriano è solido di natura e questa guerra ha danneggiato lo spirito dei cittadini, soprattutto i bambini, testimoni di una violenza inaudita dove nel nome di Dio si uccide l'altro perché é nemico, essendo diverso per etnia e religione. Ben vengano allora tutti gli sforzi per una riconciliazione, per liberare un rapito o salvare una famiglia... Se sono riusciti a Homs sono sicuro che verranno replicati in altre zone.

http://www.zenit.org/it/articles/la-siria-ha-bisogno-di-evoluzione-non-di-rivoluzione-prima-parte

domenica 16 febbraio 2014

Saadeh: lavorare al cambiamento dall'interno del Paese, costruendo insieme una Siria laica, civile e democratica

Terminato il secondo round di Ginevra2,  nel momento in cui gli Stati Uniti, Francia e UK dichiarano che "per accelerare la transizione" l'uso della forza rimane un'opzione possibile, e mentre l'Arabia Saudita offre ai militanti dell'opposizione missili antiaerei Manpads,  chiediamo:
che cosa vuole il POPOLO SIRIANO?  
Maria Saadeh  parla di un'altra via.  



Intervista di Naman Tarcha

Perché ha scelto di entrare in Politica in un momento cruciale in Siria?
Il motivo principale del mio ingresso nella vita politica del mio paese é il totale rispetto dello Stato e delle sue istituzioni, il vero cambiamento dovrebbe avvenire dall'interno e il Parlamento é l'unico luogo legittimo per praticare la vita politica.
Esiste una grande differenza tra lo stato e il sistema politico. Io e tanti siriani difendiamo lo stato, unica garanzia della nostra esistenza. Avevo tante riserve sul sistema politico ma allo stesso momento non mi sentivo rappresentata dall'opposizione interna incapace di rispondere alle esigenze e richieste del popolo siriano. Dall'inizio della crisi c'era il tentativo di creare il nemico, dipingendo il Presidente Assad come dittatore sanguinario, un'immagine falsa solo perché si voleva toglierlo di mezzo. Potrei anche non essere d'accordo con il mio Presidente, ma qualsiasi offesa al Presidente, simbolo della sovranità della Siria, é una offesa ad ogni cittadino, e un attacco alla dignità e all'indipendenza del popolo siriano.

Quale il suo impegno attuale dentro il Paese?
Oggi guido un gruppo di lavoro formato da giovani siriani che ha adottato questo slogan "Vogliamo, Crediamo, Possiamo" con l'obbiettivo di salvaguardare lo Stato, ripristinare l'identità nazionale, in un processo di riconciliazione reale, cercando di accorciare le distanze e superare le divisioni nella società siriana. Attraverso diverse iniziative pratiche, sia interne, rivolte ai cittadini, cercando di aiutarli concretamente nelle difficoltà quotidiane, sia verso l'esterno, creando una rete di informazione e contatti diretti che collegano le associazioni e organizzazioni internazionali con la Siria, provando a raccontare la realtà dei fatti, e a far arrivare la voce dei siriano soffocata.


Impegnata con gruppo di giovani siriani per la promozione della cultura e del dialogo interreligioso (durante la sua visita romana è stata ricevuta anche in Vaticano da Papa Francesco), spiega Maria Saadeh: “Ho deciso di candidarmi malgrado io non abbia nessuna mira ad occupare una poltrona, spinta dalla responsabilità nei confronti del mio paese e del mio popolo, ho sentito il bisogno di essere la portavoce di una società civile che è stata a lungo emarginata, sia da un sistema politico ormai in degrado che ha serio bisogno di rinnovamento, sia da chi approfittando dalla crisi, sogna di prendere il potere con la scusa di essere oppositore”.

La rivoluzione popolare si è rivelata terrorismo e violenza?
I siriani da circa tre anni subiscono una guerra sistematica, un terrorismo puro e un vero massacro : gruppi armati stranieri di matrice islamista estremista con ideologie Jihadiste si sono riversati nel paese, combattendo al fianco di gruppi criminali e mercenari di siriani che hanno approfittato per guadagnare denaro. che con la scusa di combattere il regime, colpivano proprio i civili con stragi, uccisioni, massacri, rapimenti. Ovviamente aiutati, sostenuti, finanziati e armati da alcune forze regionali, a cominciare dall' Arabia Saudita che offre formazione ideologica, finanziamenti ed armi, per proseguire con il Qatar, finanziamenti e servizi logistici, e infine la Turchia, che ha aperto campi di addestramento per i terroristi e ha spalancato i propri confini, ormai porte aperte ai terroristi.
Tutto ciò purtroppo in nome dell'Islam, con uno strumentalizzazione criminale ed errata della religione, deformata, che danneggia sopratutto gli stessi mussulmani. Perché colpire case, scuole, civili, con attentati, ordigni ed autobombe é terrorismo che non distingue le vittime. Un terrorismo é solo crimine e non é ne' rivoluzione, ne' religione, e neanche opposizione.

Perché il popolo siriano non si sente rappresentato dall’attuale opposizione?
Un altro fatto grave é quando l'occidente sceglie dei singoli o parte dei siriani e li nomina come unico e legittimo rappresentante del popolo siriano, usurpando il diritto sacrosanto dei siriani di decidere il proprio sistema politico, il proprio destino e da chi vuole essere rappresentato. Un'opposizione prefabbricata, dove diversi componenti facevano già parte del vecchio regime, creata nei paesi del golfo e in Occidente, solo per essere controparte ed eseguire una agenda esterna, non per rispondere ai richieste dei siriani. Ma soprattutto una opposizione che finanzia, arma e sostiene gruppi armati che distruggono il paese, permette l'ingerenza esterna, e invoca l'attacco militare contro i civili non meritando di parlare a nome dei siriani. Se la maggior parte dei siriani criticava l'operato del governo, di sicuro non accetterebbe questa opposizione e oggi non si sente rappresentata da loro. Oggi se cade lo Stato siamo finiti, regnerà il caos e diventerà il califfato di AlQaeda.

Dove ha sbagliato l’Occidente?
Il silenzio complice dell'Occidente ha anche legittimato questo terrorismo, chiamandolo rivoluzione e definendo i terroristi ribelli. Tanti gruppi terroristi credono che Europa ed Occidente sono dalla loro parte, dando il via libera alla violenza fino a spingersi ad uccidere civili, tagliando gole sull'appartenenza religiosa, sulla carte d'identità, e solo per il fatto di non essere dalla loro parte. L’Occidente che predica la democrazia non può schierarsi e dare voce solo ad una parte, mettendo a tacere la volontà e le intenzioni dei Siriani. Due anni fa mi è stato proprio negato il visto d’ingresso per l’Italia, insieme ad una delegazione di parlamentari che volevano raccontare agli italiani ciò che è accadeva in Siria.

Quale è la situazione dei civili siriani oggi?
La situazione umanitaria più grave riguarda la città di Aleppo dove i civili vivono sotto i colpi di mortaio una situazione disumana, assediati dai gruppi armati , costretti a subire violenze e privati dalle prime necessità, senza carburante e cibo perché i ribelli impediscono i rifornimenti delle zone non sotto il loro controllo.
Nelle ultime settimane sono passati da colpire sistematicamente le zone residenziali a maggioranza cristiana a prendere di mira proprio le scuole, sia per vendetta, sia per costringere le famiglie ad abbandonare le città. Gli adulti resistono, non vogliono arrendersi, ma quando colpiscono i loro figli non resistono più.

Perché i siriani cristiani sono un obbiettivo sistematico oggi?
La Siria ha tanti colori quanto le diversità etnico religiose dei propri cittadini. Ma io non amo parlare di minoranze, perché in Siria non c'è differenza, nessuna discriminazione e tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Esiste un appartenenza forte allo stato e queste diversità é la ricchezza del paese. Ecco il motivo per cui si vuole destabilizzare il paese, in primo luogo dividendo la società in pro e contro regime, trasformando lo Stato in nemico da combattere, e in secondo luogo suscitando conflitti a base settaria e scontri tra le comunità religiose, nei primi scontri si urlava 'Alawiti nelle bare e Cristiani a Beirut!'
All'interno di questo quadro si colloca l'attacco mirato contro i cristiani, che sono parte essenziale del mosaico della società siriana, rappresentano l'ago della bilancia. Distruggere lo Stato avviene attraverso la frantumazione e la divisione della società, costringendo i cristiani ad emigrare e andarsene, svuotandolo dai cristiani per trasformare l'ultimo paese laico in Medio Oriente in uno Stato a base religiosa, mono confessionale, più facile da gestire, controllare e manipolare. Queste non sono parole vuote ma la mia esperienza personale, é la dimostrazione della laicità dello stato : essendo cristiana sono stata eletta più dai mussulmani che dai cristiani, per il mio impegno, visione e progetto politico. I siriani mussulmani e cristiani oggi lottano per salvaguardare la natura dello Stato aperto a tutti, per una Siria laica, civile e democratica.

Come si può uscire da questa crisi che minaccia l’intera regione?
La priorità oggi in Siria é fermare la violenza, e questo avviene bloccando il flusso delle armi e dei Jihadisti, facendo pressioni direttamente sui paesi che sostengono e finanziano il terrorismo. A livello politico c'è un reale bisogno di ripristinare i rapporti diplomatici con la Siria, e riaprire i canali per un confronto trasparente e vero. L'Europa che vuole essere mediatore non può farlo se chiude le porte alle diverse parti del popolo siriano. E sopratutto se vuole aiutare i siriani sarebbe il caso di rivedere le sanzioni e l'embargo che hanno colpito solo i cittadini e i civili e non il governo o l'opposizione.
Per i siriani é importante salvare lo Stato, unica garanzia dei cittadini, ma salvare la Siria é affrontare anche una vera minaccia del terrorismo rivolta direttamente all'Europa. I gruppi armati non nascondono infatti che il loro obiettivo si spinge oltre il nostro paese, perché il sogno é ripristinare il califfato islamico che arriva fino all'Andalusia.

Quali sono le aspettative dalla Conferenza di pace Ginevra2 ?
Bisogna chiarire innanzitutto l'obbiettivo della conferenza di pace Ginevra due, che dovrebbe fermare lo spargimento di sangue, ci indica chi dovrebbe esserci al tavolo: ho tanti dubbi su una opposizione che vuole solo ottenere una fetta di torta e arrivare al potere, e non solo non rappresenta i siriani e i loro interessi, ma non ha nessuna autorità sui gruppi ribelli e Jihadisti, ormai fuori controllo. Se l'obbiettivo invece é solo la spartizione del potere, questo potrebbe trascinare il paese in una situazione più grave, peggiorando la crisi, senza riuscire a fermare la violenza. Fermiamo il terrorismo e la violenza e lo spargimento di sangue, le ingerenze esterne, e le questioni interne, i siriani sono capaci  di risolverli da soli attraverso il dialogo e il confronto.