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giovedì 11 settembre 2014

"Dopo aver supportato tutti questi gruppi estremisti, ora li si combatte...."

Combattere lo Stato islamico. Obama sceglie i sauditi; il Vaticano sceglie l'Onu

Il presidente Usa lancia il programma di lotta contro le milizie del califfato. Nell'alleanza da lui costruita vi sono gli Stati che hanno sostenuto l'Isis dal punto di vista economico e ideologico. Sono esclusi la Siria, l'Iran e la Russia. Il papa, il card. Sandri, mons. Tomasi, osservatore vaticano all'Onu, chiedono che ci si muova con l'Onu


AsiaNews - 10/09/2014

di Bernardo Cervellera

Non sembra vi sia molta intesa fra la Chiesa cattolica e Barack Obama su da farsi in Iraq. Mentre il presidente Usa sta per lanciare il suo programma di lotta allo Stato islamico (SI), con un'alleanza di 40 Stati, capeggiata da Washington, alcune personalità vaticane - dopo papa Francesco e mons. Tomasi - sottolineano l'importanza di far passare ogni iniziativa attraverso l'Onu.
A poche ore dall'annuncio di Obama , il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione vaticana per le Chiese orientali, incontrando i vescovi statunitensi ha chiesto loro, "come cittadini americani", di "sostenere il ruolo delle Nazioni Unite, presenti in particolare a New York, quale organo appropriato per le decisioni e gli interventi concreti in materie che riguardano le preoccupazioni generali e internazionali".
Il card. Sandri era a Washington per ringraziare la Chiesa degli Usa per il sostegno umanitario e sociale che essa dà alle comunità cristiane della Terra Santa e soprattutto dell'Iraq e della Siria.
Agli inizi di settembre, anche mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, ha sottolineato l'urgenza di un impegno internazionale di "protezione" verso le minoranze offese dell'Iraq assunto "in buona fede", nel quadro del diritto internazionale e del diritto umanitario.

In un'intervista data alcuni giorni fa, Obama ha preannunciato che "ridurremo via via le loro capacità; restringeremo il territorio che essi [lo SI] controllano; e infine li vinceremo".
Il piano prevede anche un controllo delle frontiere internazionali per fermare l'arruolamento di giovani occidentali nelle file dei miliziani jihadisti; la condivisione delle informazioni fra gli Stati; un aiuto economico e militare alle milizie islamiche che combattono Assad e che nell'ultimo anno sono stati sempre più emarginati e vinti dall'Isis.
All'alleanza contro lo SI partecipano i Paesi Nato (compresa la Turchia), e un buon gruppo di Paesi arabi: sauditi, Bahrain, Emirati, Kuwait. Il Qatar rimane ambiguo. Il motivo: esso è fra i maggiori finanziatori dello SI, pur essendo un alleato degli Usa e permettendo ad essi l'uso della base aerea di Udeid. Il punto è che tale ambiguità si estende a tutti i Paesi arabi che nella lotta contro Bashar Assad hanno finanziato le milizie islamiche, foraggiato il jihad, aiutato i miliziani ad addestrarsi nelle loro frontiere (Turchia). Per non parlare delle armi vendute da Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania ai sauditi, al Qatar e agli emirati, passati poi nelle mani dell'opposizione islamica in Siria e quindi nelle mani dello SI.
Da questo punto di vista, il piano di Obama rischia di essere inefficace: anzitutto perché escludendo truppe di terra, è molto difficile vincere una guerra contro i miliziani solo con dei raid aerei. In secondo luogo, è difficile combattere contro un esercito islamico avendo come alleati proprio i suoi finanziatori economici ed ideologici. Infine, non si comprende perché in questa lotta contro la crudele egemonia dello SI si devono escludere Stati che hanno molti motivi per contrastare la sua diffusione: la Siria, l'Iran, la Russia e forse la Cina.
Certo, Assad è un dittatore, ma la sua statura morale non è né migliore né peggiore dei re sauditi, o del Kuwait, o dell'emiro del Bahrain. Lo stesso si può dire dell'Iran il cui atteggiamento verso i cristiani è 1000 volte più tollerante di quello dell'Arabia saudita.
Tali contraddizioni ed esclusioni fanno temere che questa alleanza dietro agli Usa servirà solo a confermare gli interessi particolari dei partner arabi: emarginazione dell'Iran, sovvertimento di Assad, sbriciolamento dell'Iraq e del Medio oriente. Il tutto avendo come sicario gli Stati Uniti d'America e mettendo la liberazione di Mosul e Qaraqosh all'ultimo posto delle loro priorità.
Far passare attraverso l'Onu un intervento - doveroso - contro l'ex Isis potrebbe invece aprire una collaborazione ancora maggiore nella comunità internazionale: perfino l'Egitto ha fatto sapere ad Obama che il loro impegno militare è assicurato solo con l'Onu.
I consigli del papa, del card. Sandri, di mons. Tomasi non sono delle osservazioni o esortazioni spirituali, ma buona politica internazionale per una guerra che non produca più disastri, ma fermi davvero l'aggressore e metta le basi per la pace in Medio Oriente.

http://www.asianews.it/notizie-it/Combattere-lo-Stato-islamico.-Obama-sceglie-i-sauditi;-il-Vaticano-sceglie-l'Onu-32119.html


Patriarca Fouad Twal: «Per la pace in Medio Oriente ascoltare la voce delle Chiese»

«L’Occidente dovrebbe intervenire in modo logico, non intervenire solo quando i suoi interessi sono minacciati… La comunità internazionale e l’America ci hanno 'regalato' tutti gli estremisti, tutti questi pazzi dell’Europa che hanno trovato rifugio in Siria». Così Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, commenta riguardo alla questione irachena e in questa intervista con efficace chiarezza richiama l’attenzione sulla tragedia di Gaza e sulla voce inascoltata dei patriarchi delle Chiese in Medio Oriente. 


Avvenire, 5 settembre 2014
di Stefania Falasca

Dopo l’accordo per il cessate il fuoco si pensa ora alla ricostruzione di Gaza. Per chi rimane nella Striscia quale possibilità di cambiamento vede in prospettiva? 
In questi giorni il vescovo ausiliare e l’amministratore del patriarcato di Gerusalemme hanno ottenuto il premesso di visitare Gaza. La tregua va bene, ma è un risultato raggiunto dopo la morte di oltre duemila palestinesi e una distruzione quasi totale. Non è la prima volta che la popolazione della Striscia paga simili conflitti. Ora abbiamo davanti una nuova costosa ricostruzione in termini di denaro, in termini umani. Ma io mi chiedo: distruggere Gaza, distruggere tutto un popolo e poi pensare di ricostruirlo… perché si è dovuto arrivare a questo? Chi curerà le ferite interiori? Chi quelle di tanti bambini che hanno visto l’orrore e la morte dei loro familiari? Io dico che se le condizioni sono e restano le stesse di prima della guerra, se queste condizioni non cambiano, noi continueremo ad avere gente disperata, prostata, frustrata. Continueremo ad allevare odio ed estremisti. E pagheremo tutti il risultato di questa politica. 

Come si può arrivare ad un giusto accordo e a una pacificazione? 
Per arrivare a un punto d’accordo giusto e a una giusta pace nella Striscia di Gaza occorre che ciascuna delle parti si metta un po’ al posto dell’altro. Tocca soprattutto ai grandi, ai politici, ai dirigenti avere un briciolo di logica e ad agire e lavorare realmente a favore di una pacificazione costruttiva. Anche la comunità internazionale da fuori deve avere questo sguardo e avere il coraggio di dire la verità, seppure non piace a tutti. Il fatto cioè che tutti abbiamo la stessa dignità, tutti abbiamo gli stessi diritti e doveri. C’è una legge chiave della politica internazionale che si chiama 'reciprocità'. Bisogna che si applichi questo principio. 

La Chiesa in Terra Santa può favorire questa prospettiva? 
Credo che tutte le Chiese cristiane che da secoli sono qui abbiano elementi in più per aiutare ad avere una visione completa. Possono aiutare ad avere quel giudizio equilibrato e quello sguardo orientato al bene di tutti, che le parti coinvolte nel conflitto faticano ad avere. La presenza delle Chiese cristiane è una presenza che è lontana dal fanatismo politico o religioso che si vedono nell’una o nell’altra parte. 

Il parroco di Gaza è stato ricevuto e incoraggiato dal Papa. 
Il fatto che il parroco sia rimasto lì durante il conflitto ha quindi un significato non solo per la Chiesa in Terra Santa? 
Noi rimaniamo accanto alla nostra gente, siamo dentro alla realtà, qualsiasi essa sia. Stiamo dentro alle sofferenze della gente e le nostre chiese sono sempre aperte a tutti. Questo mostra chiaramente chi siamo, qual è la nostra autentica identità. A Gaza come in Siria, come in Giordania, come anche in Iraq. 

La Comunità internazionale dovrebbe quindi, secondo lei, ascoltare anche la voce delle Chiese del Medio Oriente? 
Consultare il parere dei pastori delle Chiese che stanno, che vivono sul posto potrebbe contribuire a prendere giuste decisioni, potrebbe evitare tanti passi sbagliati. Non ascoltare la voce dei patriarchi delle Chiese ha portato a tanti sbagli. Purtroppo la politica che si persegue nell’area è una politica di interessi. Una politica che elude il grido dei pastori. La nostra presenza o la nostra non presenza qui, per la comunità internazionale, dice poco. 

Può fare un esempio di questa politica? 
Basta pensare a Gheddafi. Per quarant’anni è stato trattato come amico. Dopo quarant’anni hanno scoperto che era cattivo. Ma c’erano altri che erano anche peggio di Gheddafi e non sono stati toccati. Si cambiano i regimi e si distruggono Paesi solo per favorire certi interessi. 

Ma cosa deve fare l’Occidente per difendervi e difendersi dagli estremisti?
 
Intanto l’Occidente dovrebbe intervenire in modo logico, non intervenire solo quando i suoi interessi sono minacciati. In uno dei discorsi pronunciati in Giordania, rivolgendosi ai popoli della Siria il Santo Padre definiva 'criminali' quelli che vendono armi. 

Nell’omelia che lei di recente ha tenuto a Siracusa ha affermato che «l’Isis inizialmente è stato supportato dalla comunità internazionale». Può spiegare questa affermazione? 
Io ritorno alla Siria, perché tutto è cominciato da lì. Per abbattere il regime di Assad la comunità internazionale aveva supportato questi gruppi estremisti. La comunità internazionale e l’America ci hanno poi 'regalato' tutti gli estremisti, tutti questi pazzi dell’Europa che hanno trovato rifugio in Siria per combattere contro un regime che non piaceva all’America, non piaceva a Israele e alla comunità internazionale. Il regime sta ancora in buona salute e i morti aumentano di numero. È una politica cieca. 

Si è considerato però anche il silenzio di molti leader del mondo arabo sia per quanto avvenuto a Gaza sia rispetto al conflitto per il potere jhaidista in Iraq... 
Non sono mancati articoli di intellettuali islamici, di singoli musulmani che hanno espresso la loro contrarietà di fronte agli attacchi, alle violenze e all’ideologia degli jhaidisti. Ma da parte di molti governi dei Paesi arabi è mancata e manca totalmente una chiara e netta dichiarazione e posizione. Non c’è. Anche questi governi hanno evidentemente i loro interessi da proteggere. 

Il problema del fondamentalismo comunque resta. A suo parere come si può combattere? 
La nostra domanda è: chi è dietro, chi alimenta il fanatismo? 
Ma chi esalta in nome di Dio la violenza può essere neutralizzato solo da una buona e sana educazione. Se questa educazione non c’è si pagano i risultati. Il punto è questo. Tutto dipende da cosa s’insegna ai nostri bambini. Una cattiva educazione predispone al fanatismo, una buona educazione prepara le basi per un dialogo vero che tutti vogliamo. Il fanatismo, il fondamentalismo si trovano in diverse parti, non è una caratteristica solo degli islamisti, di fanatici rappresentanti dell’Islam. Ci sono anche da parte israeliana. 

http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/Per%20la%20pace%20in%20Medio%20Oriente%20ascoltare%20la%20voce%20delle%20Chiese%20.aspx

mercoledì 14 maggio 2014

VERSO IL VIAGGIO DEL PAPA IN TERRASANTA - 1

Perchè siano una cosa sola


Il motto del pellegrinaggio è “perché siano una cosa sola”. Il Santo Padre ha insistito: il centro del suo pellegrinaggio sarà l’incontro con il patriarca greco-ortodosso Bartolomeo di Costantinopoli ed i responsabili delle Chiese di Gerusalemme. Questo per commemorare e rinnovare l’unità espressa da papa Paolo VI e il patriarca Atenagora di Costantinopoli 50 anni fa in Gerusalemme.

Anche il logo esprime questo desiderio di unità, esso ritrae infatti l’abbraccio fra san Pietro e sant’Andrea, i primi due discepoli chiamati da Gesù in Galilea: San Pietro il patrono della Chiesa che si trova in Roma, e Sant' Andrea di quella che si trova in Costantinopoli. A Gerusalemme, la Chiesa madre, si abbracciano. I due apostoli si trovano su una stessa barca, che rappresenta la Chiesa. L’albero maestro di questa barca è la croce del Signore, mentre le vele della barca sono gonfiate dal vento, lo Spirito Santo che dirige la barca nella sua navigazione sulle acque di questo mondo.

Sito ufficiale dell’Assemblea degli ordinari cattolici di terra santa per la visita di papa Francesco in terra santa, 24-26 maggio:  http://popefrancisholyland2014.lpj.org/it/



Mons. Fouad Twal: ci sono troppi “telecomandati” nei conflitti in Medio Oriente

foto Andres Bergamini

Patriarcato Latino di Gerusalemme
13 maggio 2014

– 8 maggio 2014. Intervistato dal settimanale portoghese VISÃO, il Patriarca latino di Gerusalemme, in Portogallo per le cerimonie del 13 maggio, chiede di pregare per la pace in Medio Oriente e sottolinea le difficoltà e le sfide della comunità cristiana in Terra Santa.

o   Lei presiederà le cerimonie del 13 maggio a Fatima. Quale messaggio consegnerà ai pellegrini?
Il saluto che il Signore ha regalato ai suoi discepoli quando è loro apparso la prima volta dopo la sua resurrezione: “La Pace sia con voi!”. Sì, questa pace che noi attendiamo in Medio Oriente da tanti anni. Allo stesso tempo vengo a Fatima per mendicare le vostre preghiere e l’intercessione della Vergine per la sua Patria terrena: Gerusalemme.
o   Tra poco più di dieci giorni, accoglierete il Papa a Gerusalemme
Papa Francesco viene per commemorare la visita nel 1964 di Paolo VI e il suo incontro col Patriarca Atenagora. Per raccogliere il massimo beneficio da questa visita, ci occorrerà leggere e meditare i suoi discorsi, scoprire il messaggio che ci vuole consegnare e farne un programma di vita.
o    È vero che la terra che accoglierà il Papa è una terra in cui lievitano gli estremismi?
Il Medio Oriente vive un periodo di violenza. La cultura della violenza produce devastazioni ma, nello stesso tempo,  dovunque, fioriscono incontri di dialogo per sradicare la violenza. Tutti si devono mettere all’opera per combatterla: le istituzioni, le scuole, le moschee e le chiese. È la responsabilità di tutti. All’Occidente e alla Comunità internazionale chiediamo di bloccare gli invii e la vendita di armi, e a tutti gli amici della Vergine di Fatima chiediamo di intercedere per noi nella preghiera. Il Signore è il Maestro della storia e crediamo con Fede che un giorno la Pace e la Giustizia avranno l’ultima parola. Sono sicuro che il Papa nei suoi discorsi invocherà più giustizia e pace. No, non possiamo dire che la terra che accoglierà il Papa è una terra di estremismo.
o   La pace si può imparare a scuola?
La Pace è soprattutto dono di Dio. Un dono affidato agli uomini che devono lavorare per essa e realizzarla. Si tratta di un compito immenso a cui si devono dedicare senza sosta i governi e le Chiese. A scuola si impara che l’uomo deve vivere in pace perché si imparano a conoscere l’orrore e le distruzioni che le guerre hanno fatto nella storia. Ma ci sono ben altri luoghi di apprendimento – o di non apprendimento – della pace. La pace si impara sulla strada, nei luoghi di preghiera, in famiglia. Certuni ricevono una educazione alla pace, altri all’odio e alla violenza. È difficile contrastare l’educazione che uno riceve, ad esempio, da suo padre.
o    Come vivono i cristiani di oggi a Gerusalemme?
I cristiani locali di oggi, sono parte integrante del loro popolo: il popolo palestinese e soffrono con esso. Insieme aspirano a uno Stato indipendente, con frontiere definite, secondo le leggi e le risoluzioni internazionali. Vivere in Terra Santa è accettare di vivere la dimensione drammatica di Gerusalemme, questa Città santa che ha fatto piangere Gesù in persona. Tutto ciò senza dimenticare che siamo anche la Chiesa della Resurrezione, della gioia e della speranza.
o   Libertà religiosa: realtà o miraggio?
In Terra santa c’è libertà di culto. Abbiamo il diritto di recarci tutti i giorni nelle nostre chiese, di suonare le campane, di manifestare la nostra presenza con processioni o raduni. Però la libertà religiosa è limitata quando ai cristiani viene impedito di entrare a Gerusalemme per motivi di sicurezza. Per quanto riguarda la libertà di coscienza c’è ancora strada da fare ma lavoriamo in questa direzione. Si tratta anche di un problema di cultura.
o    Il cristianesimo in Medio Oriente sta per sparire?
Per nulla. Il Cristianesimo ai piedi della Croce e nella persecuzione si purifica. Ci sono cristiani che se ne vanno ma anche tanti che arrivano. Non abbiamo il diritto di avere paura se crediamo alle parole del Maestro: “non abbiate paura… io sono con voi fino alla fine dei tempi”. Al contrario i cristiani vedono nella loro Chiesa una protezione e un rifugio.
o    Come vede, da Gerusalemme, i conflitti che lacerano il Medio Oriente?
Ci sono troppi “telecomandati” che agitano o calmano i conflitti in Medio Oriente dall’esterno. I popoli del Medio Oriente non sono più liberi di decidere le loro sorti. La guerra in Siria è il segno di una politica cieca che non sa misurare  le conseguenze di un intervento militare e la devastazione che può causare una guerra per un popolo. Una politica che non fa che distruggere, che non costruisce più e che non garantisce il futuro per il proprio paese.
o   Come vede la definizione di uno Statuto per Gerusalemme e l’accesso dei cristiani alla Città santa?
Noi dobbiamo lavorare perché tutti i credenti – Cristiani, Ebrei, Musulmani – possano accedere liberamente a Gerusalemme per pregare. Alcuni abitano a pochi chilometri dalla città, talvolta la vedono da lontano, ma non possono raggiungerla perché un muro blocca la strada. E intanto, credenti che vengono dall’altra parte del mondo – ad esempio: Europa, Stati Uniti, Giappone – la possono raggiungere tranquillamente.
o   Che ruolo potrà giocare il Papa nel processo di pace e nel dialogo tra le religioni?
Si tratta innanzitutto della visita pastorale di un uomo di pace, di dialogo e di preghiera che viene in primo luogo per commemorare l’incontro ecumenico del 1964. Ma l’aspetto politico dell’avvenimento non deve essere sottovalutato. Crediamo che Sua santità saprà esprimersi e porre gesti che toccheranno nell’intimo persone come noi, quotidianamente colpite dai problemi dell’occupazione e del libero acceso ai luoghi santi, dalla separazione delle famiglie e dal diritto di ciascuno a una vita normale. Quanto al dialogo interreligioso, il Santo Padre viene certamente a lasciare un messaggio di Carità e di Unità. Credo davvero che getterà un ponte tra le tre confessioni figlie di Abramo. Nel suo viaggio sarà infatti accompagnato da un rabbino e da un imam.
o    L’eredità delle crociate riveste qualche peso nel vostro ministero quotidiano?
Da principio le crociate furono promosse per permettere ai cristiani di accedere ai Luoghi Santi occupati dai musulmani. È, questo, un problema del passato e non di oggi. Il mio ministero oggi è quello di mantenere viva la Parola di Dio nella terra sulla quale Gesù è nato, morto e risuscitato. Questo, tra l’altro, con una attenzione alla protezione dei Luoghi santi affinché uomini e donne di ogni parte del mondo possano continuare a venire in pellegrinaggio.
o    70 anni dopo la seconda guerra mondiale, lei avverte  dei vincoli che in qualche modo segnano negativamente i vostri rapporti con la comunità ebraica?
Le nostre relazioni con la comunità ebraica non potranno essere normali fintanto che durerà l’occupazione militare israeliana. Cosa, questa, che fa del male tanto all’occupato quanto all’occupante! Finché durerà il conflitto israelo-palestinese mancherà la pace così come manca la fiducia reciproca. Ci auguriamo e preghiamo per una coesistenza pacifica, ma siamo ancora lontani dall’avere una vita normale. Speriamo di vivere in pace come buoni vicini piuttosto che vivere sempre come dei nemici… per una soluzione buona e giusta per tutti è necessaria la realizzazione di due Stati sovrani, con le frontiere ben delimitate; trovare una soluzione per i rifugiati palestinesi e risolvere infine lo statuto di Gerusalemme.
o    Cosa pensa del tentativo israeliano di fare la differenza tra palestinesi cristiani e musulmani?
Il progetto sarebbe quello di non considerare arabi i cristiani e dunque non facenti parte del popolo palestinese. C’è l’intenzione di attentare alla nostra identità, cosa che non è accettabile. Nessuno ci può imporre di essere ciò che non siamo. Si tratta di un tentativo pericoloso perché può provocare una divisione tra cristiani e musulmani in seno al medesimo popolo. È la pace che ne è minacciata!
o    Amartya Sen dice che un uomo povero non è un uomo libero. Lei è d’accordo?
Considerando la situazione palestinese attuale sono tentato di andare nel senso di questa affermazione. Un paese la cui economia non è indipendente può difficilmente aspirare alla indipendenza politica. Ci sono i piedi e le mani legati. Ma lo stesso, non esiste una persona povera che non abbia qualcosa da donare e una ricca che non abbia bisogno di nulla. Colui che dona, anche nella povertà più estrema, è libero di donare.
Per concludere vorrei invocare l’intercessione della Vergine di Fatima sulla sua patria terrena, perche nasca nel cuore di tutti uno spirito di condivisione, di carità, di solidarietà. E anche perché sorgano uomini di buona volontà per la Pace.

http://it.lpj.org/2014/05/13/mons-fouad-twal-ci-sono-troppi-telecomandati-nei-conflitti-in-medio-oriente/

venerdì 30 agosto 2013

Sull'orlo della terza guerra mondiale. La nostra rassegna stampa.


Caro direttore
le notizie di terribili violenze provenienti dalla Siria, controverse nella loro dinamica e nella attribuzione, segnalano ancora una volta la drammatica urgenza di una soluzione politica. Le morti si sommano alle morti in una spirale devastante. L’amore per la vita e il desiderio di convivenza fondata sulla riconciliazione ( Mussalaha) spingono a insistere sulla forza politica della nonviolenza. L’incontro di Amman deve preparare le condizioni per un intervento autorevole e determinato delle Nazioni Unite, libero da logiche delle potenze interessate all’intervento militare, volto al cessate il fuoco e all’avvio della Conferenza di pace (Ginevra 2), il cui ritardo sta aggravando una situazione già pesantissima.
Ogni forma di intervento armato a sostegno dell’uno o dell’altro schieramento porterebbe alla catastrofe totale, renderebbe esplosiva un’ampia area euro–asiatica già instabile fino a rischi di una guerra (strisciante o molecolare) di portata mondiale. Non si può accettare che la soluzione di un conflitto avvenga con imprese armate che lo alimenterebbero e lo aggraverebbero in una spirale senza fine. Come ripete spesso papa Francesco, la strada da seguire non è l’intensificazione militare del conflitto armato, ma la «riconciliazione nella verità e nella giustizia» che può trovare attuazione nella progettata Conferenza di pace di Ginevra.
Occorre attuare una svolta politica nonviolenta. La nonviolenza è realistica. Non è mai un lasciar fare, tanto meno un lasciar uccidere, ma la pienezza di una politica attiva, determinata e costante. In Siria, come altrove, è mancata una politica di pace con mezzi di pace. Finora hanno parlato le armi, ma la contrapposizione armata si è rivelata suicida per i siriani e devastante per tutto il Medio Oriente e il Mediterraneo. Oggi è proprio l’ora di una soluzione politica robusta e articolata. Tra gli strumenti (non armati) di diritto internazionale rivolto alla «responsabilità di proteggere» i deboli è possibile indicare: il cessate il fuoco, un forte aiuto umanitario rivolto soprattutto ai bambini, il blocco del mercato delle armi, la salvaguardia dei diritti della persona, il rilascio dei prigionieri politici o dei sequestrati, la cooperazione economica, l’avvio di negoziati coinvolgenti le forze siriane (come il movimento Mussalaha) da tempo impegnate in iniziative politiche alternative sia al conflitto armato che a un intervento militare esterno.
Il nostro governo deve svolgere la sua parte sollecitando i negoziati che valorizzino gli esponenti della nonviolenza siriana.
      e il commento di Avvenire
Condivido l’orrore e la speranza che lei esprime, caro amico. Interamente. Conosco esperienze straordinarie di negoziati di pace e di riconciliazione condotti fuori dalle sedi consuete e coronati dal successo. Ma non conosco un “cessate il fuoco”, uno solo, che negli ultimi decenni su un fronte ferocemente in movimento si sia realizzato senza l’ausilio di una forza d’interposizione (tra i belligeranti) e di controllo (su di essi) promossa dalle Nazioni Unite e accettata (per amore o per forza) da tutte le parti in causa.
Con Papa Francesco, anch’io non mi rassegno all’idea che l’alternativa sia solo tra guerra e paralisi, e constato amaramente che sino a oggi, in Siria, abbiamo avuto l’una e l’altra: guerra stragista tra il regime di Assad e i suoi oppositori egemonizzati dalle formazioni jihadiste (e anti–cristiane), paralisi a livello di iniziative internazionali orientate ad avviare il dialogo e ristabilire la pace. Gli attori e i fattori del conflitto in sede regionale e su scala più ampia sono diversi e ben riconoscibili. E ben individuate sono anche le forze che alimentano la deriva fondamentalista nell’area. Ma è evidente che, ancora una volta, particolarmente serie risultano le miopie e le responsabilità di quelle potenze occidentali – Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia in prima linea – che hanno puntato a cavalcare la tigre della “ribellione” anti–baathista e che oggi sono più che mai tentate dall’azione militare diretta. Responsabilità e miopie pari a quelle delle altre due potenze armate di diritto di “veto” – Russia e Cina – che a loro volta pensano soprattutto alle proprie aree di influenza e tolgono sistematicamente incisività all’azione dell’Onu.
L’unico segno di speranza è la povera, fragile eppure meravigliosamente tenace spinta delle donne e degli uomini siriani di Mussalaha, un’esperienza non solo una proposta che, nel pieno della guerra, contraddicendola, è animata “dal basso” da nostri fratelli e sorelle di fede ma che coinvolge anche personalità di altre minoranze religiose e della maggioranza islamica. È una traccia viva e preziosa. Che indica un cammino non facile né scontato. Il rebus siriano resta infatti apparentemente insolubile, come annotava domenica sulle nostre pagine, Andrea Lavazza. E tale resterà, evolvendo in una guerra ancora peggiore, se non si “costringerà” (e ci si può riuscire, senza bombardamenti missilistici e aerei) il governo di Damasco ad aprire un negoziato degno di questo nome sul futuro del Paese.
Ora che nuovi strazianti culmini di atrocità sono stati toccati, i potenti del mondo ascoltino l’appello di Papa Francesco. E così i «fratelli» siriani. Se poi questa nostra Italia in tutt’altre (e non tutte essenziali) faccende affancendata sapesse esprimere un ruolo positivo e propositivo e non solo “scudiero” sarebbe una gran bella svolta...(mt)


Sergio Paronetto - Vicepresidente di Pax Christi Italia

http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/Siria%20la%20soluzione%20%20non%20violenta%20%20LOnu%20deve%20averne%20la%20forza.aspx



Intervento in Siria, pura follia

La Bussola Quotidiana di Riccardo Cascioli  27-08-2013


Mentre in Italia tutta l’attenzione politica è concentrata sulla “salvezza” o meno di Silvio Berlusconi, in Medio Oriente sta succedendo qualcosa di grave che meriterebbe invece tutta la nostra attenzione. Gli Stati Uniti, seguiti a ruota da Gran Bretagna e Francia sono decisi a un intervento militare contro la Siria, forse già nelle prossime 48 ore a dare retta a fonti giornalistiche britanniche. Scopi e dimensioni dell’intervento sono ancora da definire, ma la volontà di attaccare è chiara, come spiegava ieri il nostro Gianandrea Gaiani. Così come è chiaro che il presunto uso delle armi chimiche da parte del regime di Assad sia il classico pretesto per giustificare un’azione già decisa.

L’attacco con armi chimiche, che ha provocato centinaia di morti lo scorso 20 agosto nella periferia di Damasco, ha una matrice ancora incerta ma Usa ed Europa hanno comunque deciso che il responsabile è Assad, che quindi merita la punizione. Peraltro si levano voci che considerano il regime di Assad comunque responsabile anche se non fosse il diretto mandante di tali stragi.

Per capire questa posizione, bisogna citare ad esempio quanto chiaramente espresso dal missionario gesuita padre Paolo Dall’Oglio lo scorso 19 luglio. Spiace doverlo citare proprio in questo momento in cui di lui non si sa più nulla e si teme per la sua vita, però quelle sue parole sono molto significative. Dopo aver dato tutti i peggiori giudizi possibili sul regime di Damasco ed essersela presa con i cristiani che preferivano stare con Assad piuttosto che alla mercé dei fondamentalisti, a proposito di armi chimiche afferma: “Ma guardiamo alla cosa dal punto di vista etico della rivoluzione siriana. Ammettiamo per un istante che ci fossimo appropriati di armi chimiche sottratte agli arsenali di regime conquistati eroicamente. Immaginiamo di avere la capacità di usarle contro le forze armate del regime per risolvere il conflitto a nostro favore e salvare il nostro popolo da morte certa. Cosa ci sarebbe d'immorale? Tutte le armi possibili sono usate contro di noi”. Parole che alla luce di quanto accaduto la scorsa settimana potrebbero apparire anche profetiche, ma che in ogni caso esprimono una posizione “morale” assolutamente inaccettabile.

In ogni caso qualsiasi sia la verità sull’uso delle armi chimiche, un intervento militare internazionale in Siria è pura follia. C’è già alle spalle il clamoroso errore della guerra al leader libico Gheddafi (eliminato il leader, la Libia è tuttora nel caos e con l’ascesa dei gruppi jihadisti), che pure dovrebbe insegnare qualcosa. Ci sono poi forti tensioni in tutti i paesi della “primavera araba”, Egitto in testa, grazie alla crescente influenza delle formazioni jihadiste. Inoltre nella vicenda siriana ci sono coinvolte tante potenze, regionali (Qatar, Iran, Turchia, Arabia Saudita) e mondiali (Russia e Cina oltre a Usa ed Europa). Da ultimo si deve fare i conti con una netta superiorità delle milizie jihadiste all’interno delle forze che si oppongono ad Assad. Tutti motivi che fanno ritenere assolutamente imprevedibile l’esito di un intervento militare occidentale. Sicuramente l’esperienza, anche recente, dimostra che la guerra non risolve i problemi, anzi ne crea di altri, e in Siria questo varrà ancora di più.

Lo scenario più probabile vede comunque un ulteriore rafforzamento della presenza fondamentalista islamica, cosa che da sola dovrebbe sconsigliare ai paesi europei un coinvolgimento. Invece anche il nostro governo ieri sera, al termine di un vertice cui hanno partecipato il presidente del Consiglio Enrico Letta, il vice premier Angiolino Alfano, il ministro degli Esteri Emma Bonino e il ministro della Difesa Mario Mauro, ha deciso di accodarsi a Usa e compagnia con la “condanna totale dell’atteggiamento del regime” di Damasco, e con la valutazione che “si è oltrepassato il punto di non ritorno”. La strada, dice un comunicato di Palazzo Chigi, è quella di “una soluzione in ambito multilaterale”, una espressione piuttosto vaga ma che apre le porte al sostegno fattivo del nostro governo all’operazione militare, magari bissando ciò che accadde per l’intervento in Libia, ma dimenticando ancora una volta il nostro interesse nazionale per il quale un Medio Oriente in fiamme è quanto di peggio possa esserci.

Da ultimo non bisogna dimenticare la situazione dei cristiani. Come abbiamo visto nei giorni scorsi, la cosiddetta “primavera araba” ha già prodotto un aumento di persecuzioni in diversi paesi della regione; la guerra in e contro la Siria darà un altro brutto colpo alla presenza cristiana. E questo non solo richiama l’attenzione sulla sorte dei nostri fratelli nella fede, ma anche priva il Medio Oriente dell’unica comunità in grado di dialogare con tutti e costruire ponti tra le diverse fazioni in lotta. Almeno il nostro governo dovrebbe avere come priorità la loro difesa.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-intervento-in-siriapura-follia-7159.htm


Il Patriarca latino di Gerusalemme invita alla prudenza

Mgr-Twal-Je-demande-a-la-France-d-avoir-un-role-plus-politique_article_mainSIRIA – Un attacco contro il regime siriano, accusato di aver utilizzato armi chimiche nella sua guerra contro i ribelli, è quasi sicuro. Questo intervento militare occidentale verrà condotto da Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Damasco ha promesso di difendersi. Gli alleati russi e iraniani del regime di Bashar al-Assad hanno ugualmente messo in guardia contro il rischio di una destabilizzazione della regione intera, in caso di un attacco straniero in Siria. Il patriarca Latino di Gerusalemme lancia un appello alla prudenza per la stabilità di tutta la regione.

Mentre  il Patriarca sottolinea che il tono si fa sempre più acceso di fronte alla prospettiva di un intervento occidentale in Siria, egli eleva “la sua preghiera allo Spirito Santo affinché illumini i cuori di coloro che hanno tra le mani il destino delle popolazioni”. Rivolgendosi a questi leaders ricorda loro “di non dimenticare l’aspetto umano nelle loro decisioni”. Constatando che “gli Israeliani stanno facendo ressa nei centri di distribuzione di maschere a gas e gli abitanti del Medio Oriente incominciano a raccogliere viveri e riserve”, il Patriarca si interroga seriamente sui rischi di una scalata della violenza nella regione:
  • “Perché dichiarare una guerra quando gli esperti dell’ONU non hanno ancora consegnato le conclusioni definitive sulla natura chimica dell’attacco e sull’identità formale dei suoi mandatari? Si assiste qui ad una logica che ricorda la preparazione della guerra in Irak nel 2003. Non si deve ripetere quella “commedia delle armi di distruzione di massa in Irak” quando in realtà non ce ne erano. Oggi questo paese è ancora in una situazione molto critica”.
  • “Come decidere di attaccare una nazione, un Paese? Con quale autorizzazione? Certo, il Presidente americano ha il potere di lanciare solo degli attacchi aerei contro la Siria (NdR: informandone il Congresso), ma che ne è della Lega araba e del Consiglio di sicurezza dell’ONU? I nostri amici dell’Occidente e degli Stati Uniti non sono stati attaccati dalla Siria. Con quale legittimità osano attaccare un paese? Chi li ha nominati polizia della democrazia in Medio Oriente?”
  • “Chi ha pensato alle conseguenze di una tale guerra per la Siria e per i Paesi vicini? C’è bisogno di aumentare il numero dei morti oltre i 100 000?E’necessario ascoltare tutte queste anime che vivono in Siria e che gridano il loro dolore che dura da più di due anni e mezzo. Hanno pensato alle mamme, ai bambini, agli innocenti? Ed i paesi che attaccano la Siria hanno preso in considerazione il fatto che i loro cittadini in tutto il mondo, che le loro ambasciate e consolati possono essere bersaglio di attacchi ed attentati in rappresaglia?”
  • Più in generale, si sono misurate le conseguenze per la regione del Medio Oriente? Secondo gli osservatori l’attacco dovrà essere molto mirato e concentrarsi su alcuni siti strategici al fine di impedire un nuova utilizzazione delle armi chimiche. Sappiamo per esperienza che un attacco mirato avrà delle conseguenze collaterali. Ci saranno, in particolare, delle reazioni forti che potrebbero incendiare la regione”.
Per tutte queste ragioni il Patriarca Twal invita alla prudenza augurando “la pace e la sicurezza a tutta questa regione del mondo che ha già troppo sofferto”. E aggiunge: “Come cristiani di Terra Santa ricordiamo nelle nostre preghiere i siriani di cui vediamo tutte le sofferenze quando vengono a rifugiarsi nella nostra diocesi in Giordania”. Il conflitto ha già portato l’afflusso di più di 500 000 rifugiati siriani nel regno hashemita.
Christophe Lafontaine

http://it.lpj.org/2013/08/28/siria-il-patriarca-latino-di-gerusalemme-invita-alla-prudenza/


Patriarcato di Mosca: I “giustizieri internazionali” Usa sacrificano cristiani e musulmani in Siria

Ad AsiaNews il metropolita Hilarion, a capo del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, condanna le minacce sempre più pressanti di un intervento Nato senza mandato Onu: “Altre vittime saranno sacrificate sull’altare di un’immaginaria democrazia”.


Mosca (AsiaNews) - Mentre sembra sempre più vicino un intervento militare occidentale contro il regime di Bashar al-Assad, accusato dagli Usa di aver usato armi chimiche contro la popolazione, la Chiesa ortodossa russa esprime "forte preoccupazione" per i possibili sviluppi della crisi. "Ancora una volta, come nel caso dell'Iraq, gli Stati Uniti si comportano da giustizieri internazionali", ha denunciato il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Parlando con AsiaNews, il rappresentante della Chiesa ortodossa russa ha criticato duramente la posizione degli Stati Uniti, che "in maniera assolutamente unilaterale, senza alcun avallo delle Nazioni Unite, vogliono decidere loro il destino di tutto un Paese con milioni di abitanti".

"Ancora una volta - ha avvertito Hilarion - migliaia di vittime saranno sacrificate sull'altare di un'immaginaria democrazia". Tra queste, secondo il metropolita, vi saranno prima di tutto "i cristiani, della cui sorte nessuno si preoccupa". Proprio loro "rischiano di diventare gli ostaggi principali della situazione e le principali vittime delle forze estremiste radicali, che con l'aiuto degli Stati Uniti andranno al potere". "La comunità internazionale - ha concluso -  deve fare di tutto per evitare che gli avvenimenti possano avere un tale sviluppo".

http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarcato-di-Mosca:-I-%E2%80%9Cgiustizieri-internazionali%E2%80%9D-Usa-sacrificano-cristiani-e-musulmani-in-Siria-28848.html


L’intera comunità cristiana disapprova l’attacco alla Siria


Nuove voci si sono alzate nell'intero panorama cristiano contro l’eventualità di un intervento militare in Siria. Dopo le aspre critiche dei giorni scorsi da parte del patriarca di Mosca, si sono pronunciati oggi l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, massima autorità della Chiesa anglicana, dopo la regina, che ha mostrato apprensione per le dichiarazioni del governo inglese a favore di un intervento armato, chiedendosi innanzitutto “siamo sicuri dei fatti sul terreno?” e quali saranno le “ramificazioni imprevedibili in tutto l’intero mondo arabo e musulmano?

   leggi sul sito Radio Vaticana 



Tutti al "grande gioco" della Siria

di Gianandrea Gaiani 29-08-2013

Quasi tutti d’accordo, arabi e occidentali, nel far fuori Bashar Assad pur nella folle consapevolezza di non avere una leadership alternativa da porre alla guida del Paese.

    leggi quihttp://www.lanuovabq.it/it/articoli-tutti-al-grande-gioco-della-siria-7172.htm


Siria, l'Italia si smarca. Per ora

di Gianandrea Gaiani 30-08-2013


”Se le Nazioni Unite non ci sono l'Italia non parteciperà“ a una eventuale azione contro la Siria, ma “il dato politico di condanna contro il regime di Assad  è molto netto”.  Il presidente del Consiglio, Enrico Letta ha delineato con queste parole la posizione di Roma nell’iniziativa militare che gli anglo-americani e i francesi minacciano di scatenare contro Damasco. Si tratta quindi di una "condanna ferma e irrevocabile dei crimini contro l'umanità che sono stati commessi in Siria" che "le evidenze che sono disponibili per adesso lasciano intendere che sono stati commessi dal regime di Assad” pur ribadendo il no dell’Italia al coinvolgimento in operazioni militari.

Ancora più netta la posizione del ministro della Difesa. Mario Mauro che ha ricordato come l'Italia è impegnata con contingenti militari “in Libano, in Libia, in Kosovo, in Afghanistan”.

  leggi qui:  http://www.lanuovabq.it/it/articoli-siria-litalia-si-smarca-per-ora-7178.htm


Syrie : Donnez une chance à la paix !


Dans une interview accordée hier (mardi 27 août) à l’Aide à l’Église en détresse, Grégoire III, patriarche d’Antioche de l’Eglise catholique melkite, a fait part de ses doutes concernant la crédibilité de certains éléments de preuve trouvés dans les principaux foyers du conflit syrien.




FIRMATE L'APPELLO
contro l'intervento armato:

domenica 16 giugno 2013

Patriarca Twal: «Siamo la Chiesa del calvario. Siria? Meglio vivere sotto un dittatore che cambiare al prezzo di 80 mila morti»

Messa di Natale nella Basilica della Natività di Betlemme

Intervista al patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal: il conflitto in Siria, il processo di pace tra israeliani e palestinesi e il dramma dei cristiani in Medio Oriente



Tempi, 8 giugno 2013
- di  Leone Grotti

Patriarca, che cosa significa che la Chiesa di Gerusalemme è la Chiesa del calvario?
La mia Chiesa è la Chiesa della croce, della sofferenza, dell’occupazione, dell’emigrazione dei cristiani, della libertà che manca a tutti i cristiani del Medio Oriente di venire qui e pregare. Ma se pensiamo a Iraq, Siria ed Egitto vediamo che da due o tre anni tutto il Medio Oriente è la Chiesa del calvario, il calvario della violenza.

A inizio anno ha lanciato questa provocazione: «Se anche la Giordania diventa instabile, dove andremo, in Arabia Saudita?».
Grazie a Dio adesso non dobbiamo aver paura di una cosa che non è successa e spero non succederà mai. Sono stato da poco in Giordania: anche se non al cento per cento, è l’unico paese del Medio Oriente dove c’è stabilità politica e psicologica. Anche le famiglie sono più serene, abbiamo superato la crisi, la paura. Non a caso nel nostro seminario il numero più grande di seminaristi viene proprio dalla Giordania. Ma vorrei sottolineare anche un’altra cosa.
Il 30 maggio scorso, alla presenza del governo, di diversi ambasciatori e del re di Giordania Abd Allah II, con gioia e orgoglio abbiamo inaugurato in modo solenne l’università di Madaba, benedetta da papa Benedetto XVI tre anni fa. L’università funziona da due anni, è cattolica, appartiene al patriarcato, però ha un cuore grande ed è aperta a tutti. Abbiamo studenti da tutto il Golfo: Arabia Saudita, Oman, Iraq, Siria, Giordania, Israele e Palestina. In Giordania oggi tutti possono arrivare senza limitazioni, è l’unico paese così rimasto in Medio Oriente.

Oggi la situazione più grave la vive sicuramente la Siria. È preoccupato per la sorte dei cristiani?
Non sono preoccupato solo per i cristiani ma per tutti gli abitanti della Siria. I cristiani infatti sono parte integrante della popolazione. Che la Siria abbia bisogno di riforme è vero, anche noi ne abbiamo, ma passare dall’esigenza delle riforme alla distruzione di tutto il paese perché alcuni vogliono il cambiamento, questa è un’altra cosa e noi capi religiosi del Medio Oriente non siamo d’accordo.

Ma in Siria c’è un regime.
Tra vivere con un regime imperfetto, dittatoriale e cercare di cambiarlo facendo 80 mila morti e un milione e mezzo di rifugiati, ebbene, io preferisco vivere con un regime imperfetto e con un dittatore. Non si possono accettare 80 mila morti e milioni di rifugiati per il gusto di cambiare. Tutto l’Occidente e l’America hanno vissuto per anni con regimi che non erano certo esemplari. E ancora oggi si convive e si collabora con tante dittature che non rispettano al cento per cento i valori di libertà e dignità che l’Occidente proclama. Ma io provo pena nel vedere 800 mila rifugiati in Giordania che vivono dell’elemosina del mondo intero. Ecco perché ringrazio la solidarietà mondiale, quella italiana e quella americana, quella musulmana del Golfo e quella della Caritas, ma preferirei avere evitato il problema e non avere bisogno oggi di ringraziare per questi aiuti.


In Siria da oltre un mese sono stati rapiti due vescovi ortodossi. Avete qualche notizia?
Non abbiamo nessuna notizia. Durante il regime di Assad padre e Assad figlio non avevamo mai avuto vescovi sequestrati. Ma ora c’è il cambiamento, ora vogliamo migliorare e il risultato è che succedono questi fatti tristi.

Non si fida dei ribelli che combattono contro Assad?
Tutti gli estremisti musulmani della Giordania, di cui tanto abbiamo paura, si sono trasferiti in Siria. Per me è il colmo vedere che ora collaboriamo con loro, lo ripeto: è il colmo. L’Europa, che professa valori di prima classe, come può arrivare a un punto tale di collaborazione con gente che fa paura a loro stessi, fa paura ai loro popoli, fa paura ai nostri regimi arabi e fa paura anche a voi italiani, che tanto temete l’estremismo religioso?

In Europa, soprattutto Francia e Regno Unito vorrebbero armare i ribelli e rafforzarli per sconfiggere Assad.
Ottantamila morti non ci bastano? Vogliamo ancora più vittime e distruzione per cambiare questo famoso regime di Assad? Bene, inviamo le armi ai ribelli e avremo la certezza che i morti aumenteranno. Mettiamo però sulla bilancia il prezzo che stiamo pagando con i risultati.

Se il risultato fosse la fine della guerra civile?
E che cosa viene dopo? Cosa succederà dopo? Prendiamo l’Iraq, ci soddisfa la sua situazione oggi? Abbiamo davanti agli occhi l’esempio della Libia, dell’Egitto, abbiamo tanti esempi, non dobbiamo essere ciechi. Chi viene dopo da meritare così tanti sacrifici, tutte queste vite distrutte, tutto il paese distrutto? Per chi, per che cosa? Facciamo un bilancio. Se ne vale la pena, allora ringraziamo il Signore, altrimenti chiediamoci dove ci porta questa avventura. Noi sappiamo bene come si comincia una guerra ma non sappiamo come andrà a finire. Se uno mi dicesse: dopo il cambiamento, voi cristiani e patriarchi avrete queste e queste cose che non avete mai avuto con Assad. Allora forse daremmo la nostra benedizione, ma noi non sappiamo dove andiamo. Come posso oggi benedire tanti massacri e tanti morti?
foto di Guillaume Briquet
Tornando a Gerusalemme, come giudica il tentativo da parte del segretario di Stato americano John Kerry di far ripartire i dialoghi di pace tra israeliani e palestinesi?
(sospira) Una volta un ministro italiano di cui non voglio fare il nome anni fa è venuto da me e mi ha detto: “Stiamo per far rivivere il processo di pace”. Io gli ho risposto: “Onorevole, mi chiedo perché non andiate mai direttamente alla pace”. Sono 50 anni che procediamo ma non siamo arrivati a niente. Io ringrazio Kerry, ringrazio i partner israeliani e palestinesi, noi appoggiamo tutto e speriamo. Però ci siamo stancati di processi, processi, processi. Io prego di sbagliarmi ma ho paura che non ci sia una buona volontà politica di fare la pace. Entrambi i popoli hanno il desiderio della pace, ma c’è tanta paura e sfiducia. E anch’io ho paura.

Qual è la priorità oggi per la Chiesa di Gerusalemme?
Vivere in pace, lavorare in pace, fare del bene in pace, far vivere le nostre istituzioni in pace, lasciarci lavorare per il bene di tutti. In pace.

Avete ancora speranza nella fine del calvario?
Essere la Chiesa del calvario significa anche essere la Chiesa della resurrezione, della speranza, della gioia di vivere, della collaborazione, del lavoro e del dialogo con tutti per arrivare alle soluzioni migliori. Con più giustizia, serenità e pace per tutti. Ringrazi da parte mia l’Italia, perché da voi il governo, il popolo e la Chiesa sono sempre stati vicini alla Terra Santa e a tutti i suoi abitanti. Continuate a dire la verità.

http://www.tempi.it/fouad-twal-siamo-la-chiesa-del-calvario-siria-meglio-vivere-sotto-un-dittatore-che-cambiare-al-prezzo-di-80-mila-morti#.UbTtA21H45s


ULTIMA ORA: Appello del Papa per la Siria: nella lettera a Cameron presidente di turno del G8 


Il summit del G8 lavori per un cessate il fuoco immediato in Siria e per l’avvio di negoziati: così Papa Francesco in una lettera di risposta al Primo ministro inglese David Cameron che il 5 giugno scorso aveva scritto al Santo Padre in vista del Summit del G8 a Lough Erne, in Irlanda del Nord, in programma domani e martedì 18.
....
leggi su

http://it.radiovaticana.va/news/2013/06/16/appello_del_papa_per_la_siria:_nella_lettera_a_cameron_presidente_d/it1-702066
del sito Radio Vaticana

mercoledì 15 maggio 2013

SALE DALLA TERRA SANTA L'URGENZA DELLA PREGHIERA A COLUI CHE TUTTO PUO'

e dalla Siria implorano: unitevi tutti alla nostra preghiera per la liberazione dei sequestrati.

Sabato 18 maggio a Gerusalemme: X Preghiera straordinaria per la Pace


VIDEO: 


In questi tempi di cambiamenti e di sfide in Oriente come in Occidente, l'urgenza di una preghiera di intercessione per il nostro tempo è più evidente che mai.
Con la decima edizione della Preghiera Straordinaria di tutte le Chiese, che si terrà sabato 18 maggio 2013, alle ore 18 di Terra Santa, nella chiesa siro-cattolica di San Tommaso a Gerusalemme, la "Chiesa Madre" di Gerusalemme chiama nuovamente tutte le Chiese e comunità cristiane nel mondo a pregare per la riconciliazione, con Dio e gli uni con gli altri, per l’unità e per la pace.

Chiedono la liberazione dei due Vescovi rapiti in Siria i capi chiesa di Gerusalemme, uniti nella vicinanza al popolo siriano ma anche nel condannare il comportamento della Polizia israeliana a danno di alcuni fedeli locali nel giorno di Sabato Santo ortodosso, a Gerusalemme...

La Preghiera Straordinaria del 18 maggio 2013 è organizzata dalla Chiesa siro-cattolica in stretta collaborazione con la Chiesa sorella siro-ortodossa. Attingerà ai riti di Pentecoste profondamente spirituali dell’antica tradizione siriaca e verrà tenuta in aramaico, la stessa lingua usata da Cristo, nonchè la lingua liturgica ancora utilizzata dalle Chiese Siriache. Alcune invocazioni della preghiera saranno preparate da Cristiani della Syria, la regione dalla quale, a partire dal Patriarcato di Antiochia, la Chiesa Siriaca si sviluppo’ originariamente: affideranno in questo modo le grandi difficoltà del tempo presente alla preghiera di tutta la Cristianità. La Preghiera Straordinaria sarà anche una occasione per invocare la riconciliazione ed esprimere perdono reciproco; sarà una invocazione piena di fede allo Spirito Santo e alla Divina Misericordia, alla Santissima Trinità, per il nostro tempo, cominciando da Gerusalemme.

http://it.lpj.org/2013/05/03/sabato-18-maggio-a-gerusalemme-x-preghiera-straordinaria-per-la-pace/


Una marcia silenziosa dei cristiani per invocare la liberazione dei vescovi siriani rapiti



Agenzia Fides 15/5/2013

Amman  - Martedì 21 maggio i cristiani di Amman daranno vita a una marcia silenziosa con le candele per chiedere la liberazione dei due vescovi di Aleppo Mar Gregorios Yohanna Ibrahim (siro ortodosso) e Boulos al-Yazigi (greco ortoosso) a un mese dal loro rapimento per mano di sequestratori ignoti.
“Alla marcia” spiega all'agenzia Fides l'Arcivescovo Maroun Lahham, Vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme ”hanno aderito tutte le Chiese cristiane. Partiremo dalla cattedrale ortodossa di Amman per giungere a quella siriaca, passando per la cattedrale cattolica di rito latino. In questo modo anche i cristiani di Amman e della Giordania vogliono unirsi alla preghiera che sale da tutti i cristiani del mondo arabo, affinchè vengano presto rilasciati i nostri fratelli vescovi e tutte le altre vittime dei rapimenti”.
La marcia silenziosa è stata convocata dall'Assemblea dei capi delle Chiese in Giordania. Già nel gennaio 2009 una marcia analoga era stata organizzata a Amman per chiedere la fine della campagna militare “Piombo Fuso” sferrata dall'esercito israeliano nella Striscia di Gaza.

http://www.fides.org/it/news/41520-ASIA_GIORDANIA_Una_marcia_silenziosa_dei_cristiani_per_invocare_la_liberazione_dei_vescovi_siriani_rapiti#.UZSQym1H45s

martedì 14 maggio 2013

Da Gerusalemme un appello per i due Vescovi rapiti in Siria

Attualmente sono prigionieri dei ribelli fondamentalisti 2 Sacerdoti e 2 Vescovi di Aleppo




Comunicato stampa: Un appello dei Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme riguardante il rapimento dei due Vescovi Metropoliti avvenuto in Siria – Maggio 2013
Logo-Heads-Local-Churches-in-Jerusalem
Noi, i Capi delle Chiese di Gerusalemme, abbiamo in preghiera seguito la violenza in corso, lo spargimento di sangue e il conflitto in Siria, iniziati nel marzo 2011. Tutti i giorni decine, o a volte centinaia di persone vengono uccise a causa del conflitto in corso, e migliaia sono rimaste senza case o ricoveri continuando a muoversi senza meta in cerca di sicurezza, cibo e cure.

Un paio di settimane fa, due dei nostri Vescovi Metropoliti di Aleppo, Mar Gregorios Ibrahim della Chiesa siro-ortodossa e Paolo Yazigi della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia, sono stati rapiti e il loro autista è stato assassinato mentre stavano consegnando aiuti umanitari ad alcune famiglie di sfollati nella regione. Questo orribile atto di rapire due anziani sacerdoti è un ulteriore segno della tragica situazione in Siria ed è un fenomeno estremamente pericoloso e nuovo nella nostra regione.

I nostri cuori e le nostre menti vanno a tutto il popolo siriano, in particolare alle nostre comunità cristiane e ai loro capi spirituali, che subiscono la sofferenza, la violenza e i maltrattamenti. E facciamo appello a tutte le persone che sono coinvolte nel conflitto affinché cerchino la pace e la stabilità per il bene di tutti i Siriani e pongano fine a questo ciclo di violenza e di spargimento di sangue. Sollecitiamo inoltre l’immediata liberazione dei Vescovi Ibrahim e Yazigi e il loro ritorno sicuro alle loro Chiese e al loro popolo fedele.

Uniamo anche le nostre voci a quelle delle nostre Chiese sorelle in Siria e chiediamo alle nostre antiche comunità cristiane di rimanere salde nella loro fede e nella speranza, preghiamo con loro e per loro, in questo momento di tumulto e caos, per la loro sicurezza, la continua presenza e testimonianza.
Come S. Paolo scrive ai Romani: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore”. (Romani 8,38-39)

I Capi delle Chiese di Gerusalemme:
+Patriarca Theophilos III, Patriarcato Greco-Ortodosso
+Patriarca Fouad Twal, Patriarcato Latino
+Patriarca Norhan Manougian, Patriarcato Armeno Apostolico Ortodosso
+P. Pierbattista Pizzaballa, ofm, Custode di Terra Santa
+Arcivescovo Anba Abraham, Patriarcato Copto-Ortodosso, Gerusalemme
+Arcivescovo Swerios Malki Murad, Patriarcato Siro-Ortodosso
+Aba Fissiha Tsion, Locum Tenens del Patriarcato Etiope-Ortodosso
+Arcivescovo Joseph-Jules Zerey, Patriarcato Greco-Melchita-Cattolico
+Arcivescovo Moussa El-Hage, Esarcato Patriarcale Maronita
+Vescovo Suheil Dawani, Chiesa Episcopale di Gerusalemme e del Medio Oriente
+Vescovo Munib Younan, Chiesa Evangelica Luterana in Giordania e Terra Santa
+Vescovo Pierre Melki, Esarcato Patriarcale Siro-Cattolico
+Mons. Joseph Antoine Kelekian, Esarcato Patriarcale Armeno-Cattolico

http://it.lpj.org/2013/05/13/un-appello-per-i-due-vescovi-rapiti-in-siria/

mercoledì 3 aprile 2013

Messaggio di Pasqua dei Capi delle Chiese di Gerusalemme

Firmato da 12 fra patriarchi e capi delle Chiese cristiane cattoliche, ortodosse e protestanti, il messaggio per la Pasqua è un invito ai fedeli di tutto il mondo a ricordare tutte le vittime delle violenze. Il Sepolcro vuoto di Gerusalemme "faro per un mondo pieno di falsi idoli che separano le persone da Cristo e dalla verità del Vangelo".


 “Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era depostoˮ (Mt 28,6)


Noi, Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme, benediciamo i nostri fedeli in questa regione ed il popolo di Dio ovunque, nel nome del Signore risorto e Salvatore, Gesù Cristo.
Ogni anno la Chiesa ci invita a celebrare la morte e la risurrezione di Gesù Cristo attraverso le Divine Liturgie e le cerimonie e riunioni pasquali. La Chiesa in Terra Santa offre ciò che nessun’altra chiesa nel mondo può offrire – il Pellegrinaggio nella terra dove tutto ciò è accaduto. Attraverso molte preghiere, digiuni, e viaggi sacri, questa terra che chiamiamo Santa è divenuta un quinto Vangelo. In effetti, i nostri auguri di Pasqua vengono dal cuore della Città della Speranza, della Resurrezione e della Tomba Vuota.
Come Capi delle Chiese di Gerusalemme, facciamo appello a tutti i cristiani di tutto il mondo ecumenico a venire a visitare le nostre chiese e a camminare con le pietre vive della Terra Santa sulle orme del nostro Signore risorto. E a coloro che non possono fare il loro pellegrinaggio in Terra Santa facciamo appello affinché i popoli di questa terra siano presenti nelle loro preghiere, in modo particolare la presenza cristiana che continua a diminuire e affronta sfide esistenziali in tutto il Medio Oriente.
Il fuoco santo del Sabato Santo e la Veglia Pasquale ricordano, a noi e al mondo intero, ‘la luce del Signore risorto’ che illumina il mondo intero, anche nei luoghi più oscuri della terra. Il nostro mondo oggi è pieno di falsi idoli che separano le persone dalla luce di Cristo e dalla verità del suo Vangelo. La presenza cristiana qui nella Città Madre della nostra fede continua a servire come un faro di luce del Cristo risorto, che i primi discepoli testimoniarono qui al sepolcro vuoto di Gerusalemme.

Come un testimone costante della resurrezione, la Chiesa in Terra Santa esorta tutti gli uomini di fede e di buona volontà in tutto il mondo, in particolare quelli in posizioni d’autorità, ad adoperarsi per la giustizia e la pace tra le nazioni. In particolare pregate con noi per la situazione in Siria, in Libano, in Palestina e Israele, in Egitto, in Iraq, e ovunque vi sia mancanza di pace politica. Pregate per tutte le vittime della violenza e dell’oppressione, per i prigionieri, per chi vive nella mancanza di sicurezza, e per coloro che sono sfollati e rifugiati, specialmente qui nella nostra terra.
Che la luce del Signore risorto risplenda su di tutto il mondo e nella nostra regione e che tutti noi possiamo risorgere con Cristo nella vita vittoriosa. Alleluia, Cristo è risorto! Egli è veramente risorto. Alleluia!

http://it.lpj.org/2013/03/27/messaggio-di-pasqua-dei-capi-delle-chiese-di-gerusalemme-2013/