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giovedì 21 gennaio 2016

Aleppo muore di sete. Uccisa dai ribelli.

Mentre l’attenzione dei media occidentali è focalizzata – e forse non in maniera disinteressata – sulla situazione di Madaya, “Aiutiamo la Siria!”, una onlus italiana che si occupa di sostenere i civili siriani intrappolati nella guerra lancia un drammatico appello per Aleppo. 
Una nota triste per un amico aleppino che è scomparso.

di Marco Tosatti


“La situazione degli abitanti di Aleppo, è sempre più drammatica. Alle bombe che minacciano quotidianamente la città (ieri colpita la chiesa Armena Evangelica, per fortuna senza vittime), si aggiunge la mancanza di energia elettrica, l’interruzione dell’erogazione dell’acqua e infine il freddo intenso di questo periodo”, ci scrive il presidente della Onlus, Francesco Giovannelli.  
Le varie formazioni antigovernative – Isis, Jabhat al Nusrah e altri – interrompono da mesi il flusso idrico nella città, per fiaccare la resistenza degli aleppini che non vogliono andarsene. “Tra la popolazione debilitata si sta diffondendo in queste ultime settimane l’influenza H1N1 che ha costretto molte persone al ricovero in ospedale mentre la carenza di medicinali rende la situazione ancora più problematica”.  


E ieri Aleppo ha ricordato un’altra ferita provocata dalla guerra: ricorreva infatti il 1000° giorno dal rapimento dei due Arcivescovi ortodossi della città, Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e Boulos Yazigi, scomparsi il 22 aprile 2013, catturati dai ribelli antigovernativi, e dei quali non si sono mai più avute notizie.

Qui troverete i link che vi permettono di partecipare a dei progetti umanitari per aiutare la gente di Aleppo ad avere acqua, e riscaldamento.
Mentre ricordiamo che il quotidiano della CEI, Avvenire, chiede che l’Italia si dissoci dalle sanzioni anti Siria, che non colpiscono il governo, ma rendono la vita tragicamente più dura per la popolazione. 

E permettetemi di aggiungere un triste tocco personale a questo post. Nei giorni scorsi è morto ad Aleppo, Armen Mazloumian, il proprietario del Baron Hotel, la fonte primaria – e uno dei protagonisti – de “I Baroni di Aleppo” . I Baroni di Aleppo era una finestra sul Medio Oriente e un secolo di storia vista attraverso le finestre di quello che fu il più chic e famoso albergo della regione, l’hotel in cui soggiornarono Lawrence d’Arabia e Agatha Christie, nelle cui stanze furono venduti e comprati i documenti che diedero una delle prime prove testimoniali del Genocidio degli Armeni. Armen raccontò a Flavia Amabile e a me la storia dell’albergo, che non ha voluto abbandonare in questi anni di guerra, nonostante fosse malato seriamente, e curarsi diventasse sempre più difficile. Un’altra vittima “collaterale” di questa guerra assurda scatenata moyennant i fondamentalisti islamici dalle monarchie del Golfo e da alcune potenze occidentali.  


Quei bimbi siriani uccisi 
dall' embargo (2)
Avvenire, 20 gennaio 2016
«Ieri nel nostro quartiere un bambino è morto per il freddo. In casa sua da giorni non avevano di che scaldarsi, e lui non ce l’ha fatta. Non è il primo, sa? E non sarà l’ultimo, in questo gelido inverno di Aleppo». È rotta dalla commozione la voce di padre Ibrahim Alsabagh, francescano della Custodia di Terra Santa, che guida la parrocchia di San Francesco nella città martire del conflitto siriano, dove da mesi si consuma lo scontro più accanito tra l’esercito regolare e la miriade di gruppi armati che controllano molti quartieri. «Qui si muore per la guerra e per i frutti avvelenati che la guerra porta con sé – sospira il frate –. Ma c’è un nemico altrettanto insidioso, di cui si parla troppo poco, e di cui porta grande responsabilità l’Europa: è l’embargo decretato quattro anni fa nei confronti della Siria e più volte riconfermato, che sta silenziosamente strangolando il nostro Paese».

Pesantissime le conseguenze delle sanzioni sulla vita quotidiana: scarseggiano i generi alimentari di prima necessità – un fenomeno che alimenta le speculazioni e il mercato nero da parte di chi li possiede –, ogni giorno diventa più difficile procurarsi le materie prime per le fabbriche, la benzina per i trasporti, il gasolio per il riscaldamento nelle case (con l’aumento dei casi di anziani e bambini colpiti da malattie respiratorie, che in molti casi hanno portato alla morte), le medicine, i pezzi di ricambio per i macchinari. 

Negli ospedali l’attività viene rallentata dalla scarsità del materiale sanitario o dall’impossibilità di riparare le attrezzature medicali, senza contare le carenze nella qualità dell’assistenza conseguenti al massiccio esodo del personale sanitario (secondo alcune fonti avrebbe lasciato il Paese il 50 per cento dei medici). Un dramma nel dramma è rappresentato dalla scarsità di acqua, causata soprattutto dal taglio delle risorse idriche da parte delle milizie jihadiste che controllano l’acquedotto. Anche le poche merci che riescono ad arrivare in zona entrano con difficoltà nella città, circondata dalle postazioni delle formazioni jihadiste che presidiano molti punti di accesso. E spesso i convogli umanitari per poter passare devono sottostare al pagamento di mazzette ai vari gruppi di “combattenti”.

Le sanzioni rendono praticamente impossibile inviare denaro in maniera diretta tramite bonifici bancari, costringendo a triangolazioni finanziarie con il Libano o a fare i conti con pesanti commissioni bancarie. I canali regolari si sono fatti sempre più stretti, frenando di fatto anche gli slanci di solidarietà che in questi anni sono arrivati da molti Paesi, con l’Italia in prima fila. Il risultato finale – paradossale ma non troppo, se si pensa a quanto è già stato sperimentato in altri contesti – è un popolo che nei fatti viene colpito da provvedimenti messi in atto da chi a parole proclama di volerlo aiutare. Oggi, di fatto, milioni di siriani si trovano loro malgrado a combattere ogni giorno «un’altra guerra», quella contro malnutrizione e denutrizione per carenza di cibo, contro malattie, povertà e disoccupazione che sono le conseguenze indotte dallo strangolamento a cui il Paese è stato sottoposto a causa dell’embargo.

«Seguendo l’esempio di Gesù, siamo a fianco del popolo, di tutto il popolo, senza alcuna distinzione di fede religiosa – racconta padre Ibrahim Alsabagh –. Non ci hanno fatto cambiare idea neppure i missili caduti nei giorni scorsi sul nostro quartiere cristiano di Azizieh e lanciati da una zona controllata dai jihadisti. Ma l’aiuto che riusciamo a dare è una goccia nel mare di bisogno in cui siamo immersi. Togliere l’embargo è una necessità evidente per chi vive qui, altrimenti Aleppo come altre città morirà. E chi pensava di danneggiare il governo con le sanzioni – dimenticando gli esiti infausti di analoghe iniziative condotte negli anni scorsi contro altri Stati – porta sulle spalle la pesante responsabilità di condannare a morte una popolazione già sfiancata. Muovetevi anche voi italiani, vi scongiuriamo: se l’Unione Europea persevera nell’errore, abbiate il coraggio di uscire dal coro, di rompere il fronte dell’embargo. Prima che sia troppo tardi, e che non vi resti che piangere sulle nostre rovine».
http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/bimbi-siriani.aspx

Preghiamo per suor Margherita Slim, dell'ospedale francese di Aleppo
Da alcuni giorni, suor Margherita Slim, superiora delle suore di San Giuseppe dell'apparizione e direttrice dell'ospedale Saint Louis, a Aleppo, ha grossi problemi di salute e chiede le nostre preghiere. Le sorelle ci hanno inoltre fatto pervenire un messaggio sabato:
" tra le 15 e le 16, sette o otto bombe sono cadute... Pensavamo che fosse proprio vicino a noi ma era nel vicino quartiere Azizieh.  Avevamo in questo quartiere una scuola, che ora appartiene al governo dopo nazionalizzazioni del 1967. Ma abbiamo ancora una grande cappella e una casa che ormai è diventata foyer per giovani universitarie.  Una bomba è caduta sotto la cucina: una ventina di finestre sono andate in pezzi ma la bomba alla fine non ha esploso.... San Giuseppe le ha protette, davvero!
Vi prego, pregate anche per la pace! "  (SOS Chretiens d'Orient)

venerdì 31 luglio 2015

Petizione per la ripresa delle relazioni diplomatiche con la Siria e abolire Embargo e Sanzioni sul popolo siriano

A questo link è possibile firmare la petizione proposta dal Coordinamento per la Pace in Siria:

https://www.change.org/p/presidente-della-repubblica-italiana-sergio-mattarella-presidente-del-consiglio-dei-ministri-matteo-renzi-ripresa-delle-relazioni-diplomatiche-con-la-siria-e-abolire-embargo-e-sanzioni-sul-popolo-siriano


Per favorire il processo di pace , per dare speranza al popolo siriano, per tutte le ragioni umanitarie che le Monache Trappiste hanno testimoniato,  Ora pro Siria aderisce e invita i lettori a sottoscrivere la petizione: 

Ripresa delle relazioni diplomatiche con la Siria. Abolire Embargo e Sanzioni sul popolo siriano

LETTERA INVIATA A
Presidente della Repubblica Italiana  Sergio Mattarella
Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi

Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria
http://www.siriapax.org/?p=15478   


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"L'Is è uno strumento nelle mani delle grandi potenze, da loro sono stati creati, armati e sostenuti. Invece di combatterli sul terreno comprano da loro il petrolio e i reperti archeologici rubati “ , dichiara il Vescovo latino di Aleppo


di MARCO TOSATTI
In un’interessante intervista a Tg2000 il vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen, ha espresso dubbi sulla reale volontà della Turchia – e degli Stati Uniti – di voler combattere l’Isis. 

Intanto l’organizzazione “Siriapax” ha lanciato una petizione al Presidente della Repubblica, Mattarella, e al Parlamento affinché vengano ristabiliti i rapporti con Damasco, e tolte le sanzioni contro il popolo siriano.

La gente teme che i turchi vogliano combattere i curdi sotto la scusa dell’Isis”. Lo ha detto il vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, commentando le operazioni militari che la Turchia sta eseguendo contro l’Isis in Siria e contro i curdi del Pkk in Iraq. “Se è una lotta contro l’Isis va bene - ha aggiunto mons. Khazen - ma se è una scusa della Turchia per creare una zona indipendente dalla Siria, allora diventa un po’ pericoloso. Se è una scusa per combattere i curdi e aumentare la confusione e la violenza, allora non è un segnale positivo. Sappiamo bene che la Turchia ha permesso all’Isis di entrare, di armarsi e avere il loro addestramento”. 

Mons. Khazen ribadisce che “tutti noi siamo contro la civiltà della morte e della distruzione” ma “anche molti musulmani moderati che sono contro l’Isis si arruolano per combattere questa peste. A me dispiace che le luci si siano accese su qualche cristiano che si è alleato con i curdi contro l’Isis. Questo fa aumentare l’odio contro i cristiani. E’ naturale che in una guerra le persone si difendano. Ci sono persone che sono obbligate a fare il servizio militare”.  

E’ naturale che qualcuno si difenda – ha concluso il vicario di Aleppo - ci sono cittadini a cui si dice ‘invece di andare a fare la leva a Damasco, restate nei vostri paesi e difendeteli’”. 
“L’Isis è uno strumento nelle mani delle grandi potenze, da loro sono stati creati, armati e sostenuti. Invece di combatterli sul terreno comprano da loro il petrolio e i reperti archeologici rubati in queste terre”. Ha detto ancora mons. Georges Abou Khazen.  

Sappiamo bene chi sta comprando queste cose dall’Isis – ha aggiunto mons. Khazen - Non bisogna dare agli uomini dell’Isis le armi e non li devono addestrare. Nei paesi limitrofi della Siria, tra cui anche la Turchia, ci sono dei veri e propri campi d’addestramento”. “Gli uomini dell’Isis - ha aggiunto il vicario di Aleppo - hanno preso le zone dove c’è il petrolio, l’hanno cominciato a vendere a 10 dollari al barile e adesso a 30 dollari. E chi sta comprando petrolio e reperti archeologici? Sicuro non sono i somali o quelli della Mauritania”.  

Mons. Khazen ha inoltre sottolineato che “con l’Isis non trafficano solo le compagnie occidentali. E chi ci rimette la vita è questa povera gente. Noi in Siria abbiamo 23 gruppi religiosi-etnici diversi che costituivano un bel mosaico. E adesso cosa stanno diventando? E ci parlano di diritti dell’uomo”.  

venerdì 11 aprile 2014

Siria, dove la pietà è un grido


Damasco, 10 aprile 2014


In questi giorni  sono caduti tanti colpi di mortaio sulle nostre zone cristiane, al-Kassa, Jaramana, Bab Touma…, abbiamo avuto tanti morti...

Oggi sono caduti a Jaramana piu di 45 colpi. E’ morto per una scheggia di mortaio pure un giovane uomo cristiano lasciando un bimbo.  Si chiama George Abo Samra.

Ero a pochi metri dal primo colpo, dove ero andato a fare la spesa. Mentre la gente era nascosta all'angolo dell'ospedale francese è caduto  il secondo colpo proprio dove la gente si era radunata, causando la morte di altre due persone .

Sono  corso subito alla scuola dove c’è mio figlio Micheal , il piccolo. Ho visto la paura negli occhi dei genitori. Ho visto bimbi con un volto sconvolto. Mio figlio mi ha detto che ha visto dalla finestra della classe una colonna di fumo. Insomma sono caduti in pochi minuti 4 colpi di mortaio nella zona di al-Kassa all'ora di punta. Colpiscono  mentre la gente sta facendo le spese e i genitori stanno andando a prendere i loro figli dalle scuole. Sono rientrato alle ore 13:15 e squilla il telefono e mi dicono che un colpo di mortaio ha colpito il palazzo dove ho la casa mia a Jaramana causando danni alla mia cisterna d'acqua e creando un buco nel soffitto della casa del mio vicino.

Ma quali sono le fonti di Avvenire???
Mentre ti scrivo queste parole ho sentito passare sopra di me due colpi di mortaio. Non so dove andranno a finire.  Ma la gente qua è proprio stanca di Jobar e Mileha da dove i ribelli lanciano contro di noi centinaia di colpi. 

Le scuole a Jaramana sono chiuse per più di una settimana, dopo che erano stati ammazzati 4 bambini, e  pure qua al Kassa le scuole domani chiudono che sono state aperte solamente due giorni (mercoledi e giovedi).

E la settimana scorsa hanno colpito pure sulla Patriarcale Melkita...

E allora diciamo:  Fino a quando l'esercito deve rimanere cosi di fronte a quello che fanno i gruppi armati di Jobar? Fino a quando dobbiamo resistere?

 Chiediamo all'esercito siriano di farli finire!

Samaan



Siria: Cristiani come animali



 MARCO TOSATTI

L’arcivescovo metropolitano della Chiesa apostolica ortodossa di  Antiochia Antonio Chedraui Tannous, ha affermato oggi che i cristiani di Siria sono ammazzati come se si trattasse di animali, nel momento in cui la comunità internazionale “si è tappata gli occhi e non vuole sentire”.  
L’arcivescovo parlava a José Gálvez Krüger direttore dell’Enciclopedia Cattolica, che fa parte del gruppo ACI. E denuncia che “senza dubbio la chiesa ortodossa antiochena vive un martirio interminabile: sequestro dei due arcivescovi e di alcuni sacerdoti, mattanza di sacerdoti e fedeli innocenti che non hanno niente a che edere con ciò che sta accadendo. Persecuzioni, distruzione di chiese, assassini. E la cosa peggiore e più barbare e che si uccidono i cristiani come si ammazzano gli animali, e tutto questo, nel nome di Dio”. E continua il prelato: “Mi chiedo: che cosa ha a vedere questo con la lotta per la democrazia o la libertà in Siria? I criminali, nella loro maggioranza, sono stranieri, che vengono dall’Arabia Saudita, dalla Turchia, dalla Cecenia e da altri Paesi”. Se i ribelli lottassero per la democrazia “sarebbero stati siriani, e non mercenari stranieri”.  
“Se l’occidente con in testa gli Stati Uniti e altri Paesi come l’Arabia Saudita e la Turchia non fossero intervenuti mandando denaro e armi, non saremmo al punto in cui siamo in Medio Oriente; e le Nazioni Unite, che ricevono ordini dagli Stati Uniti, non si interessano dei diritti umani e ancor meno di quelli dei cristiani in Medio Oriente”. Obama, secondo il vescovo ha sviluppato una politica ancora più aggressiva e peggiore di quella di Bush nella zona.  

http://www.lastampa.it/Page/Id/2.0.589627549


Homs : 25 morti tutti civili e 107 feriti per un'autobomba in quartiere abitativo,
seguita da una seconda quando si era radunata la gente per i soccorsi...


Armeni siriani di Kessab deportati in territorio turco

Agenzia Fides 10/4/2014
Alcuni anziani di Kessab, la città nord-orientale siriana a maggioranza armena assalita nelle scorse settimane da milizie armate anti-Assad, sono stati trasferiti dagli stessi miliziani in territorio turco, senza essere stati informati prima della loro destinazione. É quanto emerge da fonti armene consultate dall'Agenzia Fides.
Nei giorni scorsi la stampa turca aveva dato risalto alla notizia che almeno 18 armeni fuggiti da Kessab dopo l'assalto dei ribelli avevano trovato asilo in alcuni villaggi turchi come Yayladagı e Vakif. La notizia era stata riportata con enfasi, mentre si avvicina il centenario del genocidio subito dagli armeni nella Turchia ottomana. Le indagini condotte da alcuni media armeni hanno rivelato dettagli eloquenti sul modo in cui è avvenuto il trasferimento degli armeni siriani in territorio turco. Secondo le testimonianze di alcune donne anziane accolte nel villaggio turco di Vakif, gli uomini armati che hanno assalito le loro case parlavano in turco e hanno scelto di trasferire in territorio turco i pochi anziani rimasti a Kessab dopo che la quasi totalità della popolazione armena della città era fuggita verso la zona costiera di Latakia, all'arrivo delle milizia anti-Assad. Il trasferimento forzoso in Turchia è avvenuto in condizioni proibitive per gli anziani armeni, che erano stati tenuti all'oscuro della reale destinazione. 



Nel 1915 si è consumato uno dei più efferati genocidi dello scorso secolo. In un impero ottomano ormai agonizzante e percorso da ventate di nazionalismo, di cui era interprete l'organizzazione conosciuta come “giovani turchi”, si scatenò la caccia agli esponenti della piccola, ma radicata minoranza armena. Gli Armeni sono cristiani, anzi furono una delle prime nazioni a diventare interamente cristiane, e per questo la loro vita non fu mai facile all'interno di un impero che innalzava la bandiera dell'Islam militante. Ma quello che avvenne nel 1915 superò per orrore ogni precedente persecuzione. Decine di migliaia di persone furono strappate dalle loro case e brutalmente massacrate sul posto o avviate, in lunghe colonne, verso le zone più inospitali dell'Anatolia dove vennero letteralmente lasciate morire di fame e di stenti. I villaggi armeni vennero distrutti e le chiese profanate e trasformate in moschee o locali pubblici. 
Molti Armeni fuggirono dalla Turchia per non essere vittime dei pogrom e trovarono rifugio e protezione nelle nazioni vicine tra cui Siria e Libano che, pur essendo formalmente parte dell'Impero Ottomano, non solo non si associarono ai massacri, ma anzi nascosero e protessero i fuggitivi. Fu così che in Siria e Libano nacquero grosse comunità armene e sopravvissero quelle più antiche che vi risiedevano già da molti secoli. Una di queste ultime vive (forse  meglio dire viveva fino al 21 marzo di quest'anno) nella piccola città di Kessab al confine tra Siria e Turchia ed a pochi chilometri dall'importante porto siriano di Latakia. Seimila persone, per oltre due terzi Armeni, che abitavano in sei piccole frazioni in una zona montuosa fino a pochi giorni fa risparmiata dalla guerra. IL 21 marzo però dal confine turco sono arrivate gli integralisti islamici dell'ISIL e del fronte Al Nusra che hanno prima bombardato e poi attaccato Kessab, costringendo l'intera popolazione a fuggire ed a cercare rifugio nella vicina Latakia. Fatto assolutamente nuovo, l'esercito turco, che presidia il confine a pochi chilometri da Kessab, non solo ha lasciato passare le bande armate, ma addirittura, secondo molti testimoni oculari, le ha appoggiate con l'artiglieria ed i blindati ed ha lanciato missili contro gli aerei siriani, uno dei quali è stato abbattuto. L'intenzione dei guerriglieri è sicuramente quella di minacciare Latakia per distogliere forze siriane dalla battaglia in corso nel Qalamoun. I Turchi invece sembrano cercare un casus belli per poter attaccare la Siria, come parrebbero confermare le intercettazioni dei discorsi tra esponenti del regime di Erdogan resi pubblici probabilmente da ambienti militari turchi ostili alla linea del premier. Non è sicuramente un caso per che, per dare il via a questa loro nuova linea, i Turchi abbiano scelto di attaccare un villaggio armeno, colpendo così oltre che la Siria, anche i loro tradizionali nemici. Probabilmente Erdogan contava sul fatto che la Russia -impegnata sul fronte ucraino- non si sarebbe esposta più di tanto in difesa dell'alleato siriano. Così ovviamente non è stato perchè immediatamente tre navi russe alla fonda nel porto di Tartous hanno fatto rotta verso quello di Latakia. Una presenza simbolica, ma sufficiente a far capire ad Ankara che la strada intrapresa avrebbe potuto portare a conseguenze pericolose. Vedremo gli sviluppi.

martedì 25 marzo 2014

La fuga degli armeni di Kessab


Kessab, Siria

Tremila persone sono dovute scappare da una città siriana attaccata dai ribelli antigovernativi, ed è la terza volta in un secolo


Ieri sera, in tarda serata, un amico, tormentato, mi inoltra la lettera di una ragazza armena della diaspora, che vive lontano dal villaggio dei suoi antenati, Kessab. Lei, la sua famiglia e l’anziana nonna in lacrime hanno passato questi giorni senza sapere cosa sarà di oltre tremila armeni che hanno dovuto, alle cinque di mattina del 21 marzo scorso, lasciare le loro case.
Kessab è l’ultimo villaggio armeno della Siria. Si trova nella regione nord-occidentale, ai confini con la Turchia. È l’eredità del Regno armeno di Cilicia, importante regno medievale che si estendeva poco più a nord del villaggio, nell’attuale Turchia meridionale, fino alla seconda metà del Quattordicesimo secolo quando cadde sotto l’attacco dei mammalucchi.
Il villaggio è stato attaccato all’alba del 21 marzo scorso dai ribelli siriani anti-governativi e gli abitanti si sono trovati costretti a fuggire e a riparare verso sud, a Laodicea (Latakia), dove sono stati accolti nella chiesa armena e nella chiesa greco-ortodossa della città.





Kessab, SiriaKessab, Siria
Immediatamente gli armeni della Repubblica d’Armenia e della diaspora, le loro istituzioni, i loro capi religiosi e i partiti politici si sono attivati per richiamare l’attenzione degli stati e delle organizzazioni internazionali sul destino di Kessab. 
Il Presidente della Repubblica armena Serzh Sargsyan oggi pomeriggio ha denunciato l’aggressione alla comunità armena siriana. Sargsyan ha appunto ricordato come, per la terza volta, in poco più di un secolo, gli armeni di Kessab si trovino in pericolo. La prima volta con i massacri di Adana del 1909, quando la popolazione venne duramente colpita, la seconda con il 1915, con la messa in atto del genocidio da parte dei Giovani Turchi che decimò la popolazione, ed ora nuovamente nel 2014, ad un anno dal centesimo anniversario del Grande Male (come gli armeni chiamano il genocidio). Il Catholicos armeno di Cilicia (al vertice della Chiesa apostolica armena in Medio Oriente) ad Antelias, in Libano, si è incontrato con l’ambasciatore siriano in Libano. Quest’ultimo ha accusato la Turchia della situazione.
La Kessab Educational Association of Los Angeles ha inviato un appello al Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon per chiedere un intervento delle Nazioni Unite in difesa della minoranza armena cristiana a Kessab, accusando apertamente la Turchia di aver concesso il passaggio sul proprio territorio ai ribelli. 
Il comunicato cita anche testimoni che avrebbero visto forze turche partecipare direttamente all’attacco contro l’esercito siriano.

Al momento gli armeni di Kessab sono ancora a Laodicea, senza sapere se potranno tornare o dovranno fuggire ancora, forse in Libano, dove esiste un’altra importante comunità raccolta principalmente attorno alla Chiesa apostolica armena o alla Chiesa cattolica armena, in comunione con Roma (esiste poi anche una Chiesa armena protestante). Molti sono figli di sopravvissuti del genocidio. 

Gli armeni, popolazione indo-europea originaria di quell’area che è oggi compresa tra la Turchia orientale e il Caucaso (l’Armenia storica) sono cristiani dal 301, quando il re Tiridate III si fece battezzare da San Gregorio Illuminatore e rappresentano una delle ultime presenze cristiane in Medio Oriente. 
Anche l’Italia ha un profondo e antico legame con l’Armenia, con chiese armene sparse per tutto il territorio e il più importante monastero armeno cattolico al mondo a Venezia, centro, dal Diciottesimo secolo, della rinascita culturale degli armeni.

http://www.ilpost.it/2014/03/24/armeni-kessab/

Mussa Dagh, oggi come 100 anni fa




di  Marco Tosatti

Vi ricordate “ I Quaranta giorni del Mussa Dagh”, il bellissimo romanzo di Franz Werfel sull’eroica – fortunata – resistenza di sette villaggi armeni contro la deportazione e il genocidio turco nella Prima Guerra Mondiale?

L’incubo di allora – è passato quasi un secolo, ma la memoria è ben viva fra gli armeni – si è ripresentato in questi giorni in quella regione, al confine fra Siria e Turchia, il Kessab. Secondo quanto riportano diverse fonti giornalistiche armene, i villaggi della zona a popolazione armena sono stati il bersaglio di tre giorni di attacchi brutali, partiti dal oltre il confine con la Turchia, da parte di fondamentalisti islamici del fronte al-Nusra, affiliato ad al-Qaeda. Si parla di circa ottanta morti, fra i civili; e oltre quattrocento famiglie hanno abbandonato la zona, cercando rifugio a Lattakia e a Basit.
Un responsabile della comunità armena, Nerses Sarkissian, ha dichiarato che i terroristi sono entrati dalla Turchia, sconsacrando chiese, saccheggiando case e distruggendo gli edifici pubblici. Alcuni armeni sono rimasti nei villaggi; la loro sorte non è conosciuta.

Sarkissian ha sottolineato che le bande di aggressori venivano dalla Turchia e hanno agito con l’appoggio dei militari di Ankara. I feriti fra di loro sono trasportati in Turchia per ricevere le cure del caso. Questo episodio, oltre all’abbattimento di un jet siriano da parte della contraerea turca in una situazione controversa di sconfinamento dimostra che la Turchia sta aumentando il suo coinvolgimento al fianco dei miliziani fondamentalisti di 83 Paesi diversi che stanno combattendo in Siria.

Hanano barrack - the refugee camp of Armenians in 1923

A questo riguardo pubblichiamo un comunicato della Comunità Armena di Roma.

Con il pretesto della guerra civile in Siria il governo turco (peraltro alle prese con gli scandali ed una crisi politica senza precedenti) prosegue, ora come cento anni fa, la politica di aggressione contro le locali comunità armene.

E’ notizia di questi giorni attacchi e bombardamenti turchi nei confronti della cittadina armena di Kessab (Siria nord orientale) che si trova prossima al confine con la Turchia stessa nella zona del Mussa Dagh, il massiccio reso celebre dal capolavoro letterario di Franz Werfel. Gruppi paramilitari turchi hanno attaccato la zona popolata quasi esclusivamente dai discendenti di quegli armeni che sfuggirono all’orrore del genocidio del 1915.

Un sacerdote armeno, parroco in Kessab, attraverso la sua pagina Facebook ha postato oggi la notizia che due giorni fa, alle 6 del mattino, la città è stata bombardata da parte di gruppi paramilitari turchi e la popolazione del paese (1500 anime) è fuggita verso Latakia (a circa 60 km da Kessab). Mentre scriviamo Kessab è nelle mani delle milizie turche.

A quasi un secolo di distanza i turchi non perdono il vizio di considerare gli armeni il loro nemico principale e non hanno alcuna remora ad attaccare i pacifici residenti di questi villaggi di confine.

Le comunità armene di tutto il mondo si stanno muovendo per denunciare questa ennesima aggressione che risulta essere oltretutto alquanto pericolosa alla luce della grave situazione siriana.

L’abbattimento dell’aereo siriano avvenuto oggi può essere collegato a queste azioni turche di aggressione dal momento che, stando a fonti ufficiali, il velivolo dell’aviazione siriana si sarebbe spinto fino alla zona prossima al confine con la Turchia proprio per cercare di contrastare le attività paramilitari turche di infiltrazione nel territorio della Siria.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma nell’esprimere la sua enorme preoccupazione per l’accaduto, vuole unirsi agli armeni di altri paesi denunciando con fermezza la politica turca di aggressione e chiedendo anche alla stampa italiana di dare risalto a quanto sta accadendo nella regione, al fine di scongiurare lo sterminio dell’inerme popolazione armena della zona”.

La Comunità armena statunitense si è rivolta al Segretario Generale dell’ONU, alla Casa Bianca e al Congresso USA affinché fermino questa aggressione.

http://www.lastampa.it/2014/03/24/blogs/san-pietro-e-dintorni/mussa-dagh-oggi-come-anni-fa-idyKztkf599OqVyxANbxgP/pagina.html


Il Patriarca armeno cattolico: i cristiani fuggiti da Kessab affrontano l'emergenza con spirito di comunione


Agenzia Fides 25/3/2014
“Le famiglie armene fuggite da Kessab sono più di trecento. Hanno trovato per ora riparo nella parrocchia armena ortodossa nella città di Latakia, a un'ora di auto da Kessab. Si sono accampati nella scuola e nei locali parrocchiali. Ma adesso temono che i ribelli attacchino anche Latakia, e molti si preparano a fuggire anche da lì”.
Così il Patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX Tarmouni descrive all'Agenzia Fides la condizione incerta in cui si trovano i cristiani costretti a lasciare la città, a maggioranza armena, occupata dalle milizie ribelli anti-Assad all'alba del 21 marzo. Il Patriarca Tarmouni, in costante contatto con il sacerdote Nareg Louissian e i suoi parrocchiani fuggiti da Kessab, fornisce a Fides dettagli precisi dell'assalto:
“I cristiani sono fuggiti all'alba, alcuni di loro in pigiama, senza poter portare nulla con sé, appena hanno sentito il rumore degli spari. I ribelli arrivavano dalle montagne al confine con la Turchia. Erano tanti e ben armati. Le formazioni dell'esercito che presidiavano la città si sono ritirate, così come i giovani armeni del Nashtag (un movimento nazionalista armeno di sinistra, ndr) che avevano organizzato gruppi di autodifesa armata intorno alle chiese”.
Gli armeni di Kessab erano in gran parte agricoltori. Persone pacifiche. L'area rurale, finora non coinvolta dal conflitto siriano, occupa un posto simbolico nella memoria condivisa del popolo armeno: “Nel 1915, quando gli armeni hanno abbandonato la Cilicia dopo il genocidio perpetrato dai turchi” spiega il Patriarca Nerses Bedros, “a Kessab era rimasta l'ultima comunità armena della regione”. Secondo il Patriarca, anche le strategie militari delle formazioni anti-Assad rispondono, almeno in parte, a motivi di ordine simbolico: “Adesso i ribelli potrebbero puntare a Latakia, che non è grande come Damasco o Aleppo, ma rappresenta una roccaforte degli alawiti, la comunità religiosa a cui appartiene Assad e molti del suo gruppo di potere”.
Nell'affrontare insieme la situazione di emergenza, i cristiani armeni – spiega a Fides il Patriarca Tarmouni – stanno sperimentando lo spirito di comunione fraterna, al di là delle distinzioni confessionali: “domenica scorsa, armeni cattolici e ortodossi hanno celebrato messa insieme. Ho sentito il nostro parroco Nareg, e l'ho incoraggiato a stare vicino a tutti i fedeli, in questo momento difficile. Ho saputo che da Aleppo sono stati inviati a Latakia 3 sacerdoti armeni ortodossi, per offrire assistenza spirituale e materiale ai rifugiati”

http://www.fides.org/it/news/54861-ASIA_SIRIA_Il_Patriarca_armeno_cattolico_i_cristiani_fuggiti_da_Kessab_affrontano_l_emergenza_con_spirito_di_comunione#.UzF3OUZOXwp


Syrie : le village arménien de Kassab, victime "d’une épuration ethnique:

"Les rebelles n’ont pas besoin de passer par ce poste frontière pour faire venir des armes et des munitions, ils traversent facilement par les collines boisées du Djebel turkmène plus au sud, explique-t-il. La prise du poste frontière n’est qu’un prétexte, nous sommes face à une stratégie d’épuration ethnique à l’égard de la population arménienne de Kassab".

venerdì 14 febbraio 2014

Per i Cristiani della Valle, il Krak des Chevaliers è diventato un mostro di pietra


Papaboys 3.0

Traduzione dellarticolo: Syrias Valley of the Christians Under Fire, di Firas Choufi. 
di Francis Marrash

Le feroci battaglie tra lesercito siriano e gruppi estremistici armati nella città di Zara – che circondano il Krak des Chevaliers, riecheggiano in tutta la Wadi al-Nasara, la parte araba della valle dei cristiani. Ogni giorno, i villaggi nella valle celebrano funerali e seppelliscono nuove vittime. Coloro che non sono fuggiti hanno deciso di non abbandonare la Siria.
 La voce del conducente mescolata con il suono martellante del vento nevoso, si mescola con la velocità eccessiva dell’auto durante il tragitto della strada che porta da Hawash-Zara a Wadi al-Nasara, ad ovest della città di Homs. L’uomo che guida la macchina fa osservare a noi passeggeri: Questa strada di notte è sporca. Nella parte posteriore sono seduti due uomini con dei fucili attaccati fuori dalla finestra. La paura è forte, ma si tenta di superarla insieme. Fuori è buio. I militanti dell’opposizione siriana, – rintanati nel Krak des Chevaliers, il castello crociato-, sono abbastanza noti per come colpiscono il percorso che stiamo attraversando. Secondo il conducente, la situazione ora è sotto controllo, dopo che l’esercito siriano ha stabilito nuove posizioni rafforzando le misure di sicurezza nell’area. I minuti non passano mai. Il pensiero va alle immagini dei morti senza motivo e alle decapitazioni ripetute a Wadi al-Nasara. I terroristi, alla fine delle esecuzioni giocano con la testa dei decapitati.

Coloro che combattono a fianco dell’esercito siriano non hanno tanta paura della morte. Parlano dei loro compagni che sono stati uccisi con tono triste e rassegnato.  I residenti al riparo nelle loro case potrebbero scampare alla morte, ma la probabilità di essere uccisi dai quotidiani bombardamenti casuali da parte dei terroristi è molto elevata. L’esercito, mentre prepara la liberazione del Krak des Chevaliers, nel contempo ha migliorato nelle ore diurne le condizioni di sicurezza della strada. La notte invece viaggiare è ancora molto rischioso. Il freddo per i soldati non è la più grande preoccupazione, quando si trovano dietro le postazioni militari. Nizar, un combattente governativo, aggiusta il cappello lanoso soffiandosi aria calda nelle mani. Egli divide, con il suo sguardo vigile, l’attenzione su di noi  e sulla zona notturna da controllare. Non possiamo permetterci di avere freddo, oppure di chiudere gli occhi. I terroristi cercano di intrufolarsi in qualsiasi momento. Spero che lo facciano, in modo tale da potervi mostrare le loro azioni.

Tra i combattenti che si trovano di stanza in questo luogo, ci sono  soldati dell’esercito siriano, membri della difesa nazionale e del Partito nazionalista sociale siriano (SSNP). La maggior parte di loro sono, in verità, residenti dei villaggi vicini.

Il Flagello delle decapitazioni. La maggior parte dei cristiani che rimangono nella regione non fa conto  che venga alcuna salvezza dai cristiani occidentali. Quelli che non sono fuggiti preferiscono morire rimanendo nel loro villaggio, anziché accettare la carità delluomo bianco. Tony lavora in un ristorante nel villaggio di Hawash. Ha deciso di rimanere. La madre di Hossam, del villaggio di Hambara, non vuole lasciare la sua abitazione. Ogni giorno visita la tomba del figlio ucciso nel conflitto. Tanti altri come loro vogliono rimanere. La Siria è l’unica casa che hanno.
Durante l’attacco del 29 gennaio, nel posto di blocco presidiato dalla Difesa Nazionale nella città di Ammar al-Hosn, i terroristi hanno mutilato con soddisfazione i corpi delle truppe addette al checkpoint. Hanno cavato gli occhi di un cadavere, un altro è stato decapitato e la testa è stata esibita a tutti, come trofeo. Nelle ultime settimane, i ribelli hanno eseguito tante altre decapitazioni a danno dei combattenti delle Forze di Difesa Nazionale. Tra loro  un combattente SSNP di nome Hanna Karam. Hanno subito la stessa sorte anche dei civili, e più recentemente è stato decapitato un giovane di nome Fadi Matta di Marmarita. Così ci veniva raccontato dalla guida durante il giro ai posti di blocco dell’esercito siriano. L’obiettivo preteso con le decapitazioni ha avuto negli abitanti della valle l’effetto opposto rispetto a ciò che desideravano i ribelli. La gente del luogo, dopo questi avvenimenti, è più convinta ad usare le armi contro i militanti. Infatti, con i continui attacchi, i residenti hanno costituito un nuovo gruppo di combattenti provenienti dai villaggi circostanti di Bahzina, Hanambra, Shallou, e Hawash, per lottare contro i terroristi, Alcuni provengono dalle università, altri dai posti di lavoro. Uno dei combattenti ha dichiarato: “La vita sul campo di battaglia ti deruba di tutto. Si pensa solo ad uccidere i miliziani, altrimenti loro uccidono noi”.

Chi spara per primo? Coloro che combattono a fianco dell’esercito siriano, non negano la grande esperienza dei miliziani, soprattutto i cecchini. La domanda frequente a Zara è: chi sparerà per primo? I cecchini professionisti dellesercito, nel combattimento hanno difficoltà serie a centrare i cecchini degli estremisti armati. Per esempio: i soldati dell’esercito sono costretti a usare missili guidati, altrimenti i cecchini possono rallentare l’avanzata dei soldati per diversi giorni. Quelli che si trovano in trincea e lungo le linee del fronte, non sono gente che non ragiona. Molti sono in grado di gestire se stessi nelle conversazioni politiche. Abu Joseph, proveniente da Marmarita, ha detto: “la guerra non è tra sunniti e sciiti, o tra alawiti e sunniti. La guerra è il frutto dellarretratezza dei siriani, che coinvolge anche noi cristiani.

Dolore e disperazione. Il funerale di Hanna Karam si è tenuto il 31 gennaio a Bahzina. Al corteo funebre si avvertivano sentimenti di rabbia e dolore. Il giovane è stato ucciso nell’attacco contro le fattorie di Zara. Quando i suoi compagni sono stati in grado di recuperare il corpo non c’era più la testa. Aveva subito la decapitazione. La bara è stata portata dagli Scout della cittadina, mentre veniva eseguito l’inno nazionale siriano. La madre disperata camminava dietro la bara, chiamandolo per nome, come fosse ancora vivo.

Non ho ancora provato il carro armato. Per gli abitanti di Wadi al-Nasara, il Krak des Chevaliers, è diventato un mostro di pietra, arroccato sull’alta montagna rovinando la loro vita giorno e notte. Al suo interno si nascondono i fondamentalisti. Fatti, voci e miti oltraggiosi si mescolano tra i residenti circa il castello medievale e i militanti nascosti all’interno. Alcuni abitanti del luogo sostengono che la presenza dei militanti nel castello ammonta da 5.000 a 7.000 unità. Fonti militari affermano che il numero reale non supera le mille unità, anche se ammettono che i militanti sono in possesso di ingenti quantità di armi e munizioni.

Recentemente sono riusciti a sottrarre all’esercito un carro armato, un cannone da 37 mm, e un mortaio. Dopo il furto gli abitanti sono diventati esperti militari, cercando di prevedere ciò che sarebbe successo. Ma dopo alcuni giorni, non vi è stato nessun bombardamento sul villaggio da parte dei terroristi. Un proprietario del luogo, scherzando ha detto: non è ancora tempo di usare il carro armato. Continuando ha informato che i terroristi hanno provato il 37 mm, sparando colpi su Marmarita. Grazie a Dio nessuno è rimasto ferito. Vedremo quando saranno utilizzate le altre armi, ieri hanno provato il mortaio. Le fonti militari, hanno confermato che i militanti stanno risparmiando le armi pesanti per la grande battaglia, nascondendosi dalla forza aerea siriana.

MARMARITA. Marmarita è la più grande città cristiana nel Wadi al_Nasara (Valle dei Cristiani), e si trova accanto alla città di Hawash. La maggioranza dei residenti è di religione cristiana greco-ortodossa. Prima del conflitto, erano circa 7.000. Oggi, più di 30.000 persone vivono in città, tra cui molti cristiani sfollati dal distretto di Diwan al-Bustan di Homs. Ce ne sono altri che provengono da Hamidiyed e dalla città di Qusayr.

Raggiungere Marmarita da Hawash, richiede molto tempo. Prima della guerra, la strada passava attraverso Krak des Chevaliers, facendo impiegare ai viaggiatori 10 minuti per raggiungere la città. Ora la strada ha subito una deviazione che passa dalla città di Daghleh. Il tempo di percorrenza si è allungato di mezz’ora. Se questo significa evitare il fuoco dei cecchini o un estremista in attesa di tagliare la gola…. che ben venga! Di notte, è possibile incontrare alcuni  avventori nei ristoranti della città, ma anche così sono solo una manciata, ma prima del conflitto Marmarita era uno dei centri estivi più importanti della Siria.

 Dalla città, durante il giorno, si può vedere il Krak des Chevaliers. In una giornata limpida, si possono ammirare le montagne libanesi e buona parte della catena montuosa del nord Libano.
I residenti di Marmarita hanno preso le armi per difendere le zone residenziali sotto la guida di Bashar al-Yazigi. Hanno aderito dapprima i comitati popolari, poi le Forze di Difesa Nazionale, oltre all’ SSNP. Otto combattenti di Marmarita sono stati uccisi durante i combattimenti, oltre a due civili e un a numero elevato di ufficiali e soldati dell’esercito siriano.

Nel pomeriggio, quanto i negozi cominciano a chiudere, si può notare uno spettacolo molto interessante: tutte le persiane sono state recentemente dipinte con i colori della bandiera siriana.

http://www.papaboys.org/siria-la-fine-della-valle-dei-cristiani/

SIRIA, Arte, Barbarie Talebana






di Marco Tosatti

Vi ricordate i Talebani e i Buddha giganti di Bamiyan fatti saltare con la dinamite nel 2001? Nel nord della Siria, in mano ai fondamentalisti islamici sta accadendo esattamente lo stesso. E sempre per lo stesso motivo: le migliaia di combattenti fondamentalisti, in grande maggioranza stranieri (80 Paesi diversi, secondo un vescovo) finanziati e appoggiati da Arabia Saudita, Qatar, Usa e Turchia stanno nei ritagli di tempo dando vita a una lotta iconoclasta, contro “gli idoli”, cioè le opere d’arte. Lo denuncia l ’Indipendent, secondo cui i fondamentalisti hanno cominciato a distruggere mosaici bizantini e statue romane e greche.  
A metà gennaio, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), un movimento vicino ad al Qaeda che controlla parte del nord-est della Siria, ha fatto esplodere un mosaico bizantino del sesto secolo vicino a Raqqa. Il responsabile delle antichità di Raqqa, fuggito a Damasco, e che non ha voluto essere citato, ha dichiarato. “E’ accaduto fra 12 e 15 giorni fa. Un uomo d’affari turco è venuto a Raqqa per cercare di comprarlo. Questo ha reso cosciente l’Isis della sua esistenza, sono venuti e l’hanno fatto esplodere. E’ completamente perso”.  
Altri siti distrutti dai fondamentalisti islamici includono i rilievi scolpiti a Shash Hamnda, un cimitero romano nella provincia di Aleppo. E sempre nella zona di Aleppo le statue scolpite sul fianco di una vallata ad al-Qatora sono state prese di mira con armi pesanti, e ridotte in frammenti. 
Uno specialista si è detto sicuro che se la guerra continua “avremo la distruzione di tutte le croci del primo cristianesimo, mosaici con figure mitologiche e migliaia di statue romane e greche”. Il mosaico distrutto a Raqqa era intatto, del periodo bizantino ma realizzato con tecniche romane. 

http://www.lastampa.it/2014/02/14/blogs/san-pietro-e-dintorni/siria-arte-barbarie-talebana-HiXcVdnoBhDvOM4rr6i15K/pagina.html

lunedì 16 dicembre 2013

Avvento di sofferenza e speranza in Siria. L'amarezza di Monsignor Haddad e le evidenze di Samaan.

Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: 
Non ci rassegniamo a pensare a un Medio Oriente senza i cristiani. Preghiamo ogni giorno per la pace”.

Mons Jeanbart: "Strage impressionante"


È un Natale macchiato di sangue quello che la comunità cristiana siriana si appresta a vivere.
Le stragi ad Aleppo di ieri, con bombardamenti che hanno provocato decine di morti, e quella ad Adra, nei pressi di Damasco, consegnano alla guerra in Siria una delle sue pagine più sanguinose. 

“Una strage impressionante che macchia la festa del Natale, ormai vicina”,  è il commento, rilasciato al Sir, dell’arcivescovo melchita di Aleppo, mons
ignor Jean-Clement Jeanbart, cui fa seguito lo sconforto del patriarca melkita, Gregorios III Laham,  “per tanta violenza. Non si riesce a comprendere - dichiara al Sir il patriarca - come il mondo resti in silenzio davanti a queste brutalità. Ad Adra sono stati barbaramente uccisi lavoratori, tecnici, gente comune. Una cosa terribile”. 

Tragedie che si aggiungono a quelle dei villaggi cristiani di Maalula, dove sono state rapite le monache del monastero di santa Tecla, e di Kanayé, nel Governatorato di Idlib, invaso da miliziani islamisti che terrorizzano la popolazione, minacciano di fare una strage e hanno imposto la legge islamica.

All'inizio dell'anno i "moderati" ribelli islamici  dell'Esercito Siriano Libero erano penetrati in Kanayè decapitando la statua mariana nella piazza della città. Ora Kanayè (Qunaya) è passata nelle mani di un gruppo ancora più aggressivo di estremisti affiliati ad al-Qaeda.


“Il mondo non vede la sofferenza di tutto il popolo siriano e non capisco come si possa ancora armare gruppi e bande crudeli. Fino a quando il mondo resterà in silenzio?”. 

Intanto per lenire le sofferenze della popolazione la Chiesa siriana sta cercando di promuovere delle azioni solidali insieme alla Caritas e Acs, Aiuto alla Chiesa che soffre, anche in vista del Natale. “Vogliamo fare un piccolo dono per tutte quelle famiglie, e sono tante, che hanno avuto vittime per la guerra al loro interno. Inoltre stiamo pensando a un regalo natalizio per tremila bambini bisognosi”. 
Per domani è prevista una riunione di “tutti i patriarchi e capi delle Chiese cristiane per pregare per la pace e prepararci al Natale”. Alla vigilia di Natale e il 25 dicembre sono previste Messe in tutte le chiese ma, avverte Gregorios III Laham, “in orari diurni per evitare problemi di sicurezza ai nostri fedeli”.  

http://www.agensir.it/sir/documenti/2013/12/00276791_siria_mons_jeanbart_aleppo_strage_impress.html


C'E'  CHI NON VUOLE LA PRESENZA DEI CRISTIANI IN SIRIA



”Purtroppo anche in questo tempo di Avvento la guerra nella nostra Siria continua. Ma voglio ribadire che questo conflitto non nasce dall’interno, ma per colpa di chi, dall’esterno, con l’aiuto del terrorismo, ha voluto creare una ‘pseudo-primavera araba” per distruggere in realtà un Paese da sempre simbolo della convivenza tra religioni diverse che evidentemente dà fastidio a qualcuno”.

 La riflessione amara è di mons. Mtanios Haddad, siriano, archimandrita melchita e rettore della Basilica romana di Santa Maria in Cosmedin.
 “Tre mesi fa – racconta padre Haddad – ero in piazza San Pietro a pregare e digiunare per rispondere all’appello di pace per la Siria di Papa Francesco. 
Ma, purtroppo, la ‘guerra degli interessi’, la guerra di coloro che vogliono vendere armi o liberarsi dei terroristi fanatici mandandoli in Siria, continua. Il vero scopo è creare uno stato islamista ma il popolo siriano resta unito e non lo vuole”. “Sono tredici secoli che cristiani e musulmani vivono insieme in Siria. Ci sono stati alti e bassi, ma abbiamo sempre creduto nella possibilità di convivere. Addirittura i musulmani del villaggio dove sono nato, vicino a Maalula, che sono la maggioranza, hanno pregato noi cristiani di restare per dare esempio di convivenza. Il fanatismo islamico invece mette in pericolo la presenza dei cristiani in Siria ”.

“Speriamo che alla Conferenza di Ginevra-2 - chiude p. Haddad – si prendano in considerazione soprattutto il popolo siriano e la sua volontà di ricostruire un Paese caratterizzato da convivenza e fratellanza pacifica”. P. Haddad ci racconta che venerdì 13 dicembre ha riunito a Santa Maria in Cosmedin otto cori dei collegi pontifici orientali di Roma, per cantare insieme per la pace in Medio Oriente e in particolare in Siria. 
“Abbiamo chiuso la celebrazione con le parole del messaggio del nostro Patriarca melchita, Gregorio III Laham: no alle armi, no alla violenza, no alla guerra. Sì alla pace, alla riconciliazione e al dialogo, unica condizione per continuare il cammino di convivenza in tutto il mondo”. 



Un appello a parlare davvero il linguaggio della fraternità, invocato dal Papa nel suo Messaggio per la giornata della pace, arriva anche da Samaan Daoud, cittadino cristiano di Damasco.

 “Non ci bastano questi due anni e 9 mesi di guerre e sangue versato in questo Paese? Non c’è altra soluzione se non il dialogo! Bisogna creare ponti, insistere sulle cose che ci uniscono, non su quelle che ci dividono, per ricostruire la Siria. Chi va a Ginevra-2 deve sapere che il bene da preservare è il bene dello Stato della Siria. Uno Stato che deve essere democratico, riconoscere tutte le confessioni e la libertà religiosa”.

Daoud commenta anche la vicenda delle otto suore ortodosse rapite il 2 dicembre a Maalula. “Le ho incontrate a settembre nel loro monastero e mi avevano detto che volevano rimanere lì, nonostante la guerra, per pregare per la pace. Per cui mi stupisco quando qualcuno dice che sono andate via volontariamente e che ora sono ‘ospiti’ di qualcuno. Mi pare una grande bugia”.
 “Nonostante tutto, mentre vediamo che il conflitto si fa sempre più settario e la violenza integralista non si ferma - conclude Samaan Daoud – noi cristiani siriani viviamo questo tempo di Avvento mantenendo la speranza che domani, un giorno non lontano, tornerà la pace. Ci prepariamo a ricevere Gesù Bambino che dovrebbe nascere nel cuore di ognuno”. 
(a cura di Fabio Colagrande)


Mons. Haddad: “La Siria? Una guerra importata”


da Vatican Insider 13-12-13
Marco Tosatti

Proprio nel momento in cui Stati Uniti e Gran Bretagna decidono di sospendere gli aiuti finanziari e di altro genere elargiti alle milizie fondamentaliste islamiche che combattevano una guerra religiosa contro il governo di Damasco e le minoranze (cristiane, alauita, sunnita, drusa e sciita),  la rivista delle Missioni della Consolata dedica spazio a un’intervista a mons. Mtianos Haddad, rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin. Santa Maria in Cosmedin è la basilica, vicina al Circo Massimo e al Teatro di Marcello, che ospita nel suo atrio esterno la famosissima “Bocca della verità”, il mascherone rotondo dove i turisti infilano la mano; leggenda vuole  che se sei  un bugiardo, la pietra si chiuda. E il prelato siriano assicura di dire la verità.

Parla della Siria, mons. Haddad; e come altri esponenti delle comunità cristiane (fino a oggi in Siria convivevano 7 etnie e 17 fedi religiose diverse) dipinge un quadro ben diverso da quello offerto dalla grande maggioranza dei media occidentali, per non parlare di televisioni come Al Jazeera e le organizzazioni di “attivisti” anti-Damasco. Da quest’intervista esce un quadro molto diverso da quello dipinto dalla maggior parte dei media internazionali. Mons Haddad è siriano, archimandrita della Chiesa cattolica greco-melchita.

“La Siria è una culla della cristianità – ha detto mons. Haddad alla rivista - . I cristiani e gli ebrei sono lì da ben prima dell’islam. Dopo 600 anni sono arrivati anche i musulmani. Un mosaico religioso, ben vissuto e ben accettato, che è diventato una ricchezza. Prima di questi ultimi 32 mesi, “maledetti” (mi scuso del termine, ma è così), la Siria era un esempio della convivenza e convivialità tra cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti), musulmani e comunità ebraiche. Come prova di quanto affermo, ricordo che, da tanti anni, il governo ha cancellato la voce “religione” dalla carta d’identità, cosa impensabile negli altri paesi arabi. Così, al momento di iscriversi all’Università, nessuno ti chiederà quale sia la tua fede. Ma c’è di più. Nelle scuole pubbliche, che sono gratuite, pure le differenze sociali tra ricchi e poveri sono state azzerate introducendo per ogni studente la stessa uniforme. Anche in questo modo il governo ha aiutato tutti noi a essere semplicemente cittadini siriani. Io sono orgoglioso di essere siriano».

Secondo il prelato siriano, quella siriana è una guerra importata...”Per abbattere il governo sono arrivati in Siria combattenti jihadisti da 17 paesi! Si parla di 80-100 mila uomini armati stranieri nel paese. Sono mercenari, jihadisti per vocazione o fanatici. Un esempio. Sono arrivati nella bellissima Aleppo, città di cultura e commerci, e si sono impossessati di un quartiere. Ebbene, questi personaggi hanno imposto la sharia nella zona conquistata. Hanno usato le persone come scudi umani, hanno ucciso bambini davanti ai familiari”. Haddad ricorda l’attacco a Maalula, una piccola città cristiana, uno dei pochi luoghi al mondo in cui si parli ancora l’aramaico. E dove i fondamentalisti islamici  hanno rapito un gruppo di suore ortodosse, della cui sorte non si sa nulla.

Secondo Haddad “la quasi totalità dei combattenti non sono siriani. Poi ci sono alcune persone che hanno lasciato la Siria perché avevano problemi con il governo”, fuori dal Paese da oltre 20 anni. I loro figli neppure sanno dove sia la Siria! “Io rispetto l’opposizione siriana che dialoga con il governo per cambiare le cose, ma non quella che chiede l’intervento di eserciti stranieri per colpire il paese. Questo è un tradimento. Questi personaggi (che spesso vivono in hotel a 5 stelle) non mi rappresentano. Adesso sono stati chiamati a partecipare alla conferenza di ‘Ginevra 2’, ma non ci vogliono andare perché pretendono di imporre le loro condizioni. Il governo al contrario non ne ha poste. A Obama hanno dato il premio Nobel della pace prima che facesse qualcosa. Vediamo se adesso saprà meritarselo”.

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-siria-30600/