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lunedì 13 novembre 2023

Padre Karakash: Siria una tragedia dimenticata. La gente soffre fame e miseria

 


Alla XVI Giornata delle Associazioni di Terra Santa (Roma 11 novembre 2023), uno speciale focus sulla Siria con il parroco della parrocchia San Francesco di Aleppo


da Vatican News

  Le conseguenze della guerra sono peggiori della guerra stessa e la Siria oggi, dopo la guerra iniziata nel 2011 e il terremoto di quest’anno, è una tragedia dimenticata. C’è miseria, fame e soprattutto disperazione, perché all’orizzonte non si intravedono soluzioni politiche. Gli stipendi arrivano appena a 15 o 20 dollari al mese, ma in tanti non hanno entrate perché hanno perso il lavoro e per sopravvivere sono costretti a vendere tutto quello che hanno in casa: il frigo, la lavatrice, le sedie. A descrivere la drammatica realtà ad Aleppo è fra Bahjat Karakash, parroco della parrocchia San Francesco, intervenuto a Roma, all’Antonianum, alla XVI Giornata delle associazioni di volontariato che sostengono progetti in Terra Santa. “La carità più grande da fare è la carità politica, riuscire a trovare una soluzione significa ridare un po' di speranza. Questa è la sfida più grande”.

Ridare dignità alle persone
  Fra Bahjat, francescano della Custodia di Terra Santa, in Siria ci è nato, ha sognato, pensato e lavorato perché il suo Paese fosse risanato, poi ha cambiato prospettiva. “Ho capito che bisogna interessarsi delle persone e non delle soluzioni in modo globale e anonimo - racconta - occorre aiutare la gente a vivere meglio dal punto di vista materiale, ma soprattutto dignitosamente. Perché è molto facile aiutare materialmente, è molto più difficile, invece, ridare dignità alle persone”. Al fianco dei siriani oggi ci sono solo famiglie religiose ed organizzazioni non governative, si vive di carità. I frati minori ad Aleppo, alla Mensa dei poveri, sfamano ogni giorno 1300 persone, cristiani e musulmani, nei giorni del terremoto a sedersi a tavola erano in 6mila. Si dovrebbe investire per il futuro del Paese, sostenendo l’educazione dei bambini e dei giovani, afferma il parroco di San Francesco, per far fronte al lavoro minorile e allo sfruttamento dei bambini da parte di organizzazioni criminali. Andrebbero aiutati pure i giovani universitari, perché non riescono a pagarsi le rette, molti, inoltre, non hanno neppure i soldi per prendere i mezzi pubblici e andare a lezione. Sono tantissimi quelli che vogliono partire, lasciare la loro terra, alla ricerca di un futuro migliore.

Il supporto dei francescani

  I religiosi francescani si adoperano in vari modi per prestare aiuto. Offrono un supporto psicologico ai bambini, sia cristiani che musulmani, con l’ausilio di psicologi e psicoterapeuti, coinvolgono i più piccoli in varie attività. Al Centro Tau, nato per il catechismo e l’educazione cristiana, oggi si ritrovano circa 1200 bambini e giovani e per gli anziani c’è il Centro Simeone ed Anna. I cristiani oggi in Siria sono appena il 2% della popolazione, ma il Paese ha ancora “un bagaglio di valori cristiani e religiosi” e per fra Bahjat “far leva su questi valori aiuterebbe a risollevare il popolo e la nazione”. Tuttavia, la diminuzione dei cristiani, “che sono mediatori culturali tra l’occidente e l’oriente, presenza provocatoria di pace, dialogo ed educazione” mette a rischio un’intera società.




Intervista di Vatican News a fra Bahjat

Fra Bahjat Karakash, qual è la situazione adesso ad Aleppo?

La situazione è una tragedia purtroppo dimenticata, soprattutto dopo il terremoto. Molte persone hanno perso il lavoro, molte famiglie hanno avuto la casa danneggiata e questo si aggiunge a una tragedia previa, quella della guerra, della crisi economica, per cui è una situazione molto critica.

Quali sfide dovete affrontare voi religiosi?

La prima sfida da affrontare è quella di dare speranza. Non è facile, perché non c'è all'orizzonte una soluzione a livello politico. La nostra risposta è rimboccarci le maniche e aiutare la gente a vivere con dignità e dare anche un messaggio spirituale, cioè quello del Vangelo e della speranza.

Che cosa si può fare dall'estero?

Anzitutto informarsi sulla situazione siriana, sapere che è una tragedia ancora non finita, diffondere le notizie, interessarsi, cercare di venire, se è possibile, a vedere la situazione in Siria. Tutto ciò oltre all'aiuto materiale, alla carità e alla preghiera che sicuramente ci sostiene.

Quali sono le maggiori emergenze?

È molto difficile stabilire priorità, perché tutti i fronti sono un’emergenza, da quella educativa a quella sanitaria a quella economica. Davvero quella siriana è una realtà molto precaria, che avrebbe bisogno di sostegno su tutti i fronti.

Come vede il futuro della Siria?

Se dovessi contare su qualcosa conterei sulla società, sulla gente che ancora conserva valori spirituali e religiosi, valori umani capaci di rimettere in piedi queste forze per il futuro del Paese. Ma tutto questo sicuramente avrebbe bisogno di una cornice a livello istituzionale e questo non è possibile nella situazione attuale. Bisogna aiutare i siriani a sedersi a un tavolo, a dialogare e a trovare anche una forma di aiuto perché il Paese rinasca.

martedì 30 maggio 2023

Aleppo. Il racconto dopo il terremoto. A che punto è la notte?



In una città determinata a sopravvivere, dopo anni di guerra e i devastanti terremoti del 6 febbraio, fra Bahjat Karakach, parroco francescano della chiesa cattolica latina, racconta come la comunità sta reagendo

da Eco di Terrasanta - maggio giugno 2023 

La nostra gente ha vissuto una tragedia dopo l'altra; portando la croce e percorrendo la via del calvario, la croce della paura e della povertà, la croce dell'incertezza di ciò che riserva il futuro. Non c'è dubbio che la vita ad Aleppo sia cambiata radicalmente a causa dei due terremoti. È un'esperienza forte, potente e violenta che richiederà del tempo per essere superata”.

Fra Bahjat Elia, francescano della Custodia di Terra Santa e, da pochi mesi, parroco della comunità cattolica latina della più grande città siriana, racconta la situazione di Aleppo in una lettera che prima di Pasqua ha indirizzato ad amici e sostenitori.

Dopo le sofferenze di 12 anni di conflitto e la pandemia, è stata la volta delle due fortissime scosse di terremoto del 6 febbraio, con epicentri in territorio turco, ma che hanno interessato tutta la Siria nord occidentale.

Le vittime sono state oltre 57.000, di cui almeno 7000 in Siria, e 120.000 in tutto i feriti. 

Per questo, come osserva fra Bahjat, sembra che ad Aleppo sia impossibile vivere senza ansia e paura. “Oggi la città sta gradualmente tornando alla normalità, ma molte famiglie sono ancora sfollate perchè innumerevoli case sono diventate invivibili e molte scuole, perfino gli edifici universitari, hanno subito danni. Quindi la prima sfida è ricostruire e riparare questi edifici. Le Chiese di Aleppo hanno lanciato un'iniziativa unitaria e congiunta per restituire case e pace alle loro famiglie”.

Fra Bahjat spiega che sono stati invitati tecnici e ingegneri dall'Italia per aiutare a valutare lo stato degli edifici dopo il sisma. Quattro di loro sono stati ospitati nel convento francescano, hanno fatto i sopralluoghi, anche in collaborazione con le autorità cittadine.

Nella parrocchia di San Francesco ad Aleppo, dopo aver messo in sicurezza la chiesa, sono riprese le celebrazioni e i momenti di preghiera. Sono state riavviate le attività della confraternita che raccoglie gli anziani, dei gruppi scout, il catechismo, il doposcuola, eccetera. 

Un aiuto viene dato alle famiglie musulmane povere che abitano nella parte orientale di Aleppo: “ Cerchiamo di fornire loro un sostegno psicologico e un po' di materiale di prima necessità, attraverso i quattro centri di assistenza francescani lì presenti”.

Continua poi l'attività della mensa di beneficenza “ cinque pani e due pesci”, che fornisce pasti quotidiani a tutti i bisognosi della nostra città.

Ad Aleppo, conclude fra Bahjat, all'approssimarsi della Pasqua crediamo che il Signore non ci lascerà, anzi tenderà la sua mano attraverso voi verso di noi, verso ogni persona sofferente e addolorata, povera e affamata, sola e senza speranza, e insieme aiuteremo Aleppo a rialzarsi in piedi, rispolverando le sue macerie, per risorgere di nuovo con la forza di Cristo “.

martedì 7 marzo 2023

Padre Bahjat, parroco di Aleppo: “Regna la paura e lo sconforto”

 

La paura e lo sconforto sono rimaste, insieme alle macerie, a fare compagnia alla popolazione terremotata” racconta al Sir padre Bahjat Elia Karakach, frate della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Aleppo.  La speranza di una ricostruzione veloce non trova spazio nei cuori di una popolazione segnata da quasi 13 anni di guerra, dalla pandemia e dalla povertà.

   di Daniele Rocchi , SIR  6 marzo 2023

La maggior parte della gente che ha l’abitazione lesionata ma agibile non vuole rientrare perché le scosse continuano. Il timore di crolli è tangibile – spiega il parroco -. Il fattore psicologico in questo frangente ha un peso importante nella vita degli abitanti di Aleppo e delle zone colpite”.

Nel frattempo i centri di accoglienza allestiti dalle autorità locali sono pieni di terremotati e la convivenza comincia ad essere difficile. Si tratta di strutture in qualche modo improvvisate con servizi insufficienti per fare fronte ai bisogni di così tanta gente”.

L’aiuto delle Chiese.  Le Chiese locali continuano a offrire sostegno materiale e spirituale ai terremotati, grazie anche all’aiuto che arriva dalla Chiesa universale.

Nel Terra Santa College oggi sono ospitate circa 3mila persone, tra queste anche quelle che erano alloggiate nei locali della parrocchia latina che ha ripreso le attività pastorali e catechetiche. È importante, infatti, ridare ai nostri fedeli una parvenza di normalità, per quanto possibile. Dopo un mese, però, anche gli ampi spazi del College non bastano più. Non ci sono servizi igienici sufficienti per tutta questa gente e il rischio di problemi di natura igienico-sanitaria è alto. Ecco perché è importante riuscire a convincere le persone, quelle che possono, a fare rientro in casa. Il nemico principale è la paura, alimentata anche da alcune pagine social che predicono prossime scosse di grande magnitudo”. 

L’impegno della Chiesa, un mese dopo il sisma, non si esaurisce con l’accoglienza e il supporto materiale ma prosegue anche nel campo di una difficile ricostruzione. Ad Aleppo le undici comunità cristiane presenti (cattoliche, ortodosse e protestanti) hanno costituito una Commissione ecumenica – per coordinare le azioni di aiuto – che ha incaricato 15 ingegneri di verificare l’agibilità dei palazzi abitati da famiglie cristiane e di lavorare a progetti di restauro delle case. Per chi ha perso l’abitazione si pensa ad un aiuto per andare in affitto. “Si tratta di un lavoro che richiederà molto tempo – sostiene il parroco latino – perché le domande sono migliaia. A questi ingegneri se ne aggiungeranno altri 4 che arriveranno nei prossimi giorni dall’Italia. Sono specializzati in lavori post-sisma e hanno raccolto un appello che avevo lanciato tempo fa. Per consentire loro di lavorare in modo ufficiale abbiamo stipulato un’intesa con il Municipio di Aleppo. Si occuperanno dei casi più spinosi”.

La visita della Cei.  Dall’Italia, nei giorni scorsi, sono arrivati anche il Segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, e don Leonardo Di Mauro, direttore del Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo”.

Per noi è stata una benedizione – dice padre Bahjat -. Vedere amici e fratelli italiani qui ad Aleppo è stato come rompere un senso di isolamento che andava crescendo con il passare dei giorni. È importante, infatti, tenere alta l’attenzione su quanto accaduto a causa del terremoto. Una tragedia che non va dimenticata”. A riguardo vorrei dire che mons. Baturi e don Di Mauro sono rimasti molto colpiti da quanto hanno visto e si sono resi disponibili ad una ulteriore collaborazione futura”.

Dal 2013 ad oggi la Cei ha destinato oltre 12 milioni di euro per realizzare 17 interventi in Siria, tra cui “Ospedali aperti”, gestito dalla Fondazione Avsi che dal 2017 rappresenta una risposta significativa alla crisi umanitaria, e oggi anche alle conseguenze del sisma.

Ricostruire.  La sfida, dunque, è cominciare a ricostruire. In attesa che l’allentamento delle sanzioni produca qualche frutto. A riguardo padre Bahjat è un po’ scettico: 

“Penso che la notizia dell’allentamento delle sanzioni contro la Siria abbia più una valenza mediatica che reale. Per verificarne l’efficacia e la veridicità ci vorrà del tempo, forse anni. L’embargo alla Siria ha provocato negli anni danni gravissimi all’economia, alle infrastrutture, causando povertà e aumento della corruzione. Un allentamento di soli sei mesi delle sanzioni non so se e quanto potrà incidere sulla vita reale delle persone”.

https://www.agensir.it/mondo/2023/03/06/terremoto-in-turchia-e-siria-padre-bahjat-parroco-aleppo-regna-la-paura-e-lo-sconforto/

mercoledì 6 novembre 2019

La Siria, i cristiani, il loro compito: testimonianza di padre Bahjat Karakash

Mercoledì 30 ottobre a Rimini si è tenuto un incontro pubblico dal titolo “Siria, la lunga Guerra (2011-2019), storie e testimonianze di Cristiani”
Nelle parole di Padre Bahjat Karakach del Convento della Conversione di San Paolo a Damasco, il racconto di come vivono i cristiani, la loro missione nella società siriana.  
In uno scenario apparentemente senza soluzioni il ruolo della minoranza cristiana può essere di decisiva importanza: “il numero dei cristiani è più che dimezzato, sicuramente, in Siria – ha dichiarato padre Karakach - ma possiamo dire sempre che, pur essendo piccola, resta una comunità molto impegnata nella società siriana, che cerca di portare i valori del Vangelo e i valori cristiani. Una comunità culturalmente formata, che non ha mai preso le armi, quindi è dialogante con tutti, è una garanzia anche per il futuro della Siria e per salvarla.   Il nostro Presidente Bashar al-Assad ha detto che i cristiani qui non sono un annesso, qualcosa in più, ma sono le radici di questa società e i garanti del pluralismo in Siria: la comunità cristiana ha questa missione ed è per questo che deve rimanere qui. Io dico sempre: aiutateci a non a lasciare questo Paese per altri migliori e a rimanere qui per continuare la nostra missione”. 

Padre Bahjat ha sviluppato una lucida lettura della situazione della guerra, con gli occhi di chi la sta subendo, mettendo a fuoco ruoli e compiti (disattesi) dei paesi occidentali. Ha soprattutto indicato il senso della presenza (minoritaria ma decisiva) dei cristiani in quelle terre dalla cultura antichissima.
Il Centro Culturale 'Il Portico del Vasaio'  propone l’audio integrale dell’incontro.

Ecco il file audio, da ascoltare in diretta o scaricare: 

http://blog.porticodelvasaio.org/wp-content/uploads/incontro-sulla-siria-2019.m4a

venerdì 6 settembre 2019

Damasco pullula di vita ma l'economia è in ginocchio dopo anni di guerra civile


da Corriere del Ticino

Per raggiungere il centro storico di Damasco si deve percorrere la Via Maris, l'ampia strada romana che  parte dalle coste libanesi per raggiungere Bab Sharki, l'antica porta d'ingresso orientale della capitale siriana che, si narra, fu solcata da San Paolo mentre vagava cieco prima della conversione. Superata Bab Sharki la Via Maris si divide in migliaia di vicoli stretti e tortuosi che formano la città vecchia: i caffè con i tavoli esterni sono pieni, le bancarelle e i negozi si sovrappongono, la musica rimbomba nei locali, le strade sono piene di giovani, di anziani, di bambini, di soldati in congedo.
Al primo impatto la guerra sembra cosa lontana. Le forze ribelli ed i gruppi terroristici che dal 2011 al 2018 hanno controllato i rioni adiacenti, da dove bombardavano regolarmente la città vecchia, sono stati fatti fuggire dai massicci bombardamenti dell'esercito siriano e dell'aviazione russa. Molti di loro sono scappati verso Nord per rifugiarsi nell'enclave di Idlib, al confine con la Turchia, da dove stanno continuando a dare battaglia. Oggi Damasco e la sua provincia sono sicure, le persone passeggiano per le strade e il traffico scorre agevole.
Eppure di paura molti damasceni raccontano di averne ancora. Non più dei bombardamenti e dei ribelli, non del governo, non più delle bombe, bensì del futuro. “Durante la guerra avevamo la speranza che la pace avrebbe portato una vita migliore. Oggi non ne siamo così sicuri” dicono un gruppo di ragazzi seduti in un caffè. Un pensiero molto diffuso, soprattutto tra le nuove generazioni. 
Il recente rinnovo delle sanzioni economiche contro la Siria ha condotto ad una forte svalutazione della moneta locale che ha a sua volta generato una forte contrazione dei salari. Chi è laureato guadagna mediamente dai 50 ai 100 dollari mensili. Al contempo la riconquista delle roccaforti ribelli intorno alla capitale e la loro demolizione architettonica ha generato un massiccio esodo verso il centro di parte della popolazione che per 7 anni era rimasta intrappolata al loro interno. Cosa che sta a sua volta avendo forti conseguenze economiche e sociali.
Dal punto di vista economico l'iperpopolamento del centro ha fatto innalzare i prezzi delle case, tanto che l'affitto mensile di un appartamento si aggira intorno ai 300 dollari, tre volte lo stipendio di un laureato. Questa situazione sta generando fenomeni sociali fino a qualche mese fa sconosciuti: quello dei senzatetto che la notte si accasciano per dormire negli angoli delle strade; l'aumento del numero dei bambini che per le strade chiedono l'elemosina; la presenza di bande di ladri che la notte borseggiano i passanti o spaccano i vetri delle auto per svuotarle. Chiunque, inoltre, si lamenta del forte aumento della corruzione.
Costeggiando Bab Sharki sulla destra si raggiunge la chiesa della conversione di San Paolo. Entrando si nota subito un largo buco nel soffitto causato da un colpo di mortaio ribelle. “Durante la guerra tutte le chiese di questa zona sono state volontariamente colpite” spiega il frate francescano padre Bahjat mentre passeggia attraverso i chiostri.
Le sue parole sono coperte dalle grida assordanti e giocose di centinaia di bambini che passano qui le loro giornate. “Cerchiamo di essere un punto di riferimento per tutto il quartiere in questo momento di grandi cambiamenti sociali e demografici” spiega. L'alto costo della vita nel centro, racconta, sta spingendo parte della locale popolazione, soprattutto cristiana, a trasferirsi aree più economiche e degradate della provincia, per esempio nella periferia di Jaramana, dove i servizi sociali e comunali non sono all'altezza del bisogno crescente. In queste zone, spiega, si sta assistendo alla diffusione della prostituzione e dello spaccio di droga, oltre che alla parziale mutazione degli equilibri demografici.
Cosa potrebbe fare l'Occidente per aiutare il popolo siriano? Secondo padre Bahjat bisogna “innanzitutto rimuovere queste sanzioni, le cui vittime non sono le istituzioni ma la gente comune siriana che non può importare medicinali, macchinari per le proprie aziende e materie prime. Il governo sta facendo quello che può e ci dà carta bianca nelle nostre iniziative ma come possono crescere occupazione e salari se le sanzioni impediscono il rilancio dell'economia?”

giovedì 11 aprile 2019

Dal vangelo secondo Damasco. La lunga via della ripresa e i nuovi nemici della Siria

  di Fr. Bahjat Elia Karakach

Che cosa raccontarvi della realtà che vive ora la popolazione di Damasco? Con la liberazione della Città circa un anno fa, giusto nei giorni che antecedevano la Pasqua, la gioia, il sollievo dal costante pericolo bellico sul quale tutti noi vivevamo, la fiducia in un nuovo momento erano molto vivi nei volti, nonostante le situazioni difficili di ogni famiglia o persona. 
Un anno quasi è passato e la speranza che c’era sta tramontando sempre di più nella delusione e scoraggiamento. Si dice che 'il dopo guerra è peggio della guerra’… non saprei dirvi se la possiamo mettere cosi, ma posso dirvi che la situazione che la gente vive è veramente dura: non c’è gas – si  devono fare lunghe file alle volte di oltre 6 ore per comperare  una bombola di gas (non completamente riempita), quando una volta alla settimana passa il camion che non ha abbastanza bombole per distribuire a tutti – non c’è gasolio, tanto necessario soprattutto per il freddo inverno che abbiamo vissuto fino a qualche giorno fa, l’elettricità  arriva solo alcune ore al giorno. Solo la mancanza di queste 3 cose cosi necessarie basterebbe perché la vita  della gente sia veramente pesante. Queste mancanze creano un terreno favorevole allo sviluppo di una ‘mafia’ che punta sempre di più al mercato nero. Le restrizioni esterne e adesso anche interne fanno vedere un futuro ‘’senza futuro’’ soprattutto per i giovani, spingendo tanti a desiderare ardentemente di partire del paese.
L'immagine può contenere: 8 persone, persone che sorridono, persone in piedi
Ma c’è solo questa dura situazione? Nel volto dei nostri bambini, e sono tanti che più volte alla settimana riempiono di vita il cortile della chiesa,  si vede la gioia di vivere insieme nella pace e nella speranza. I giovani si sentono sostenuti nelle loro paure ed incertezze e tanti  vogliono dare il meglio di loro. 
Vi racconto una dell’esperienza che stiamo facendo. Ci sono 500 famiglie nel bisogno che cerchiamo di aiutare mensilmente con un piccolo contributo economico e con la nostra amicizia. Queste famiglie sono visitate da un’equipe di giovani che due a due vanno a fare queste visite. Due di loro ci hanno raccontato la forte esperienza che hanno fatto visitando una famiglia di 5 persone che vive in una stanza, il papa è allettato a causa de una malattia, la mamma soffre del disco, abita con loro la mamma del papà e hanno due figli uno dei quali una bambina con grande handicap. Entrando in quella stanza sono rimasti senza parola al saluto caloroso della mamma che l’altro ha detto: ‘’Vedete che grande dono è per noi la nostra figlia?’’. Quando sono usciti, erano molto commossi nel veder come questa famiglia, cosi in difficoltà, accoglieva con fede e amore tutto dalle mani di Dio. ‘’E noi alle volte ci perdiamo con una piccola cosa…’’ – dicevano questi giovani, grati di potere fare questa esperienza che li aiuta a vedere la vita con altri occhi. 
C’è molta più generosità e fede di quanto possiamo immaginare. Sono le radici nascoste di questa Chiesa di Gesù.


il racconto di Andrea Avveduto
ATS pro Terra Sancta
aprile 2019

“Macché finita. La guerra è appena iniziata”. Forse i nemici non si chiamano più Daesh o Al Qaeda, ma fame e povertà, e sono nomi che fanno ugualmente paura. Sono i nemici che la politica internazionale può armare in modo più silenzioso e subdolo, senza mortai e lontano dai riflettori, con le sanzioni economiche che in questi mesi stanno mettendo letteralmente in ginocchio la Siria. Per questo la frase pronunciata da fra Antonio all’inizio assume quell’accento cupo e triste di chi non si crea facili illusioni su un futuro incerto.

Damasco è in ginocchio, l’elettricità che arriva a singhiozzo mostra il volto di un paese dimenticato dai media, ma vittima di un’emergenza umanitaria peggiore degli anni scorsi, quando la capitale siriana andava in onda su tutti i telegiornali. Siamo a Bab Touma, l’antica porta di San Tommaso, quartier generale dei progetti di ATS pro Terra Sancta nella terra di San Paolo.
 Pensavamo di trovarci sulla via della ripresa, e invece ci troviamo in piena emergenza. Famiglie di quattro persone che vivono a stento in una stanza di pochi metri quadrati, ammalati che non possono permettersi di comprare medicine salvavita, sfollati che sono fuggiti in fretta da Homs, Maaloula, Knayeh: sono giorni intensi quelli passati in Siria a incontrare, a parlare con le persone accolte dai frati. Con Fadia e Ayham, i nostri validi collaboratori di Damasco, passiamo le giornate con loro cercando di capire i bisogni, e anche le loro speranze.

“Vivevamo a Homs fino a qualche anno fa, ma con la guerra siamo scappati”. Rita, che a stento trattiene le lacrime, ci parla dal letto, dove è incatenata da diversi mesi per una malattia alla schiena che non le lascia tregua. “Mio marito faceva il pittore, non eravamo ricchi ma avevamo di che vivere”. Poi la guerra, e il triste copione che ci siamo abituati a conoscere. “Siamo venuti a Damasco, a bussare a tante porte per chiedere aiuto. L’unica che si è spalancata è la vostra”. Rita parla del centro emergenza aperto dall’Associazione pro Terra Sancta nel convento dei francescani a Bab Touma, dove da diversi anni ci prendiamo cura di casi difficili come questo. “Mio figlio ha 16 anni e ha subito tanti traumi con la guerra. Non parla più, non ha amici, sono disperata”.
 Sua figlia, invece, di soli quattro anni, ha un grave ritardo mentale. Muove continuamente la testa, su e giù. Rita chiede a suo marito di andare a giocare con lei per qualche minuto fuori dalla stanza. Vivono assieme, tutti e quattro, in una piccola stanza di 14 metri quadrati, e condividono il piccolo cucinino con altre famiglie in un quartiere povero della capitale. “Senza gli aiuti ricevuti non so dove saremmo ora”.

Rita è ancora a letto, il marito cerca un lavoro per mantenere quella famiglia piagata dalla guerra: non possono emigrare, ma solo sperare di potersi curare e mantenersi in vita, in attesa l’economia si riprenda. La speranza di tornare a vivere oggi ha un volto, e un luogo. Lo stesso luogo che ha accolto anche Hana, venuta a Damasco per farsi curare dal cancro. Nel suo paese, Hassakeh, non si trovavano cure adeguate. “Non potevo andare avanti e indietro ogni volta che dovevo ricevere le cure per il tumore, e così ho cercato un luogo dove poter fermarmi. La Provvidenza ha voluto che incontrassi i frati di Damasco. Senza di loro penso che oggi non sarei qui a raccontarvelo”.

La fila delle persone aiutate dai nostri progetti avviati con la collaborazione della parrocchia è lunga, e piena di storie come queste. Drammatiche, difficili, eppure con un fondo di speranza. La Siria di oggi. Damasceni, aleppini, abitanti di ogni dove nella scacchiera siriana dove le potenze internazionali si danno battaglia. Le sanzioni economiche li hanno messi in ginocchio. Ma per fortuna c’è chi fa di tutto per tenerli in piedi.

In questi otto anni di conflitto, noi di Associazione pro Terra Sancta abbiamo sempre sostenuto i francescani della Custodia di Terra Santa e il popolo siriano con molte attività. Lo abbiamo fatto grazie alla generosità di moltissimi di voi e vogliamo continuare a farlo con maggiore impegno. Per questo vi chiediamo di continuare ad assisterci ora che la crisi si fa più nera.
Vi chiediamo di assisterci mentre operiamo a Idlib, al fianco di padre Hanna, fra Louai e delle comunità di Knayeh e Yacoubieh. Vi chiediamo di assisterci dove non si combatte più: a Damasco nella distribuzione di medicinali, in ospedale, nelle attività con i bambini e ragazzi; ad Aleppo con padre Ibrahim Alsabagh, nella distribuzione di pacchi alimentari, medicine, beni di prima necessità, nella ricostruzione di case e nel sostegno al Franciscan Care Centre dove circa 250 bambini ricevono il sostegno psicologico necessario e svolgono attività di gioco e studio che risvegliano in loro la voglia di vivere e li fanno riacquistare fiducia in se stessi.

domenica 19 novembre 2017

Padre Bahjat, parroco a Damasco: "la Siria può tornare ad essere un luogo in cui si può vivere, dialogare... Più che timore oggi ho molta speranza per il futuro del mio Paese"

 No alla soluzione militare alla crisi siriana e  impegno a sostenere la “sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Siria”.  È quanto emerge dalla dichiarazione congiunta del presidente russo, Vladimir Putin, e di quello Usa, Donald Trump, diffusa dopo un colloquio al vertice Apec che si è svolto in Vietnam. Per i due leader mondiali  “la soluzione politica definitiva del conflitto deve essere trovata nel processo negoziale di Ginevra”.
  Un auspicio condiviso da padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa. Originario di Aleppo, dal 2016 padre Karakach è il guardiano del convento della Conversione di San Paolo, a Damasco, e parroco della locale comunità latina composta da circa 250 famiglie, frequentata anche da molti cristiani appartenenti ad altri riti. Con lui proviamo a fare il punto sulla crisi siriana, che dopo la sconfitta militare dell’Isis, pare essere giunta ad una svolta. 
        S.I.R. 14 novembre 2017
Padre Karakach, sembra che la guerra stia lentamente finendo e che la Siria possa riprendere a vivere. È davvero così? Qual è la situazione nel Paese?
Oggi c’è più speranza rispetto a un anno fa, abbiamo un orizzonte. La svolta si è consumata dopo la presa di Aleppo (dicembre 2016, ndr.). Oggi avvertiamo un miglioramento della vita quotidiana, a Damasco, per esempio abbiamo di nuovo l’erogazione di energia elettrica per 24 ore, alcuni servizi pubblici stanno tornando alla normalità e questo rende più facile la vita quotidiana della popolazione. Tuttavia bisogna dire che 
la ripresa è lenta perché i nostri giovani sono ancora al fronte.  Ci sono infatti ancora zone del Paese dove sono presenti gruppi terroristici.

L’Isis, con la caduta della sua ex roccaforte, Raqqa, sembra sconfitto militarmente. Resta aperto l’altro fronte quello del conflitto tra governo e ribelli, una partita importante per il futuro della Siria.
Lo Stato islamico è stato sconfitto militarmente ma la sua ideologia terroristica è ancora piuttosto diffusa e in futuro potrebbe trovare spazio in altre sigle e nomi. Questa è la vera guerra che avvertiamo quotidianamente.
Infondere e promuovere una mentalità di apertura e di accoglienza dell’altro è un compito di tutti, anche di chi si ritiene un oppositore aperto, civile, che non imbraccia le armi e che sa dialogare e negoziare per una Siria migliore.

Molti analisti sostengono che in Siria si combatte una guerra per procura, dove a fronteggiarsi sono gli interessi di potenze regionali e non. Cosa prova nel vedere la sua terra trasformata da altri in un campo di battaglia?
Sicuramente rabbia. Vedere questo mi fa capire quanto sia importante la Siria che per secoli ha rappresentato un modello di convivenza e di tolleranza. Ora 
qualcuno ha deciso che  il mosaico deve essere rotto.
Per evitare questa tragedia confido molto nei tanti siriani, uomini e donne di buona volontà, capaci e coscienti, che hanno una visione buona e positiva per costruire una Siria migliore.

Visti i grandi interessi in gioco non teme per la sovranità futura della Siria?
Un timore di questo tipo lo abbiamo avvertito maggiormente qualche anno fa.
Oggi mi pare che la Siria abbia vinto in termini di sovranità.
C’è una verità innegabile ed è quella che il terrorismo si sta riducendo e che la Siria, nonostante tutto, può tornare ad essere un luogo in cui si può vivere, dialogare grazie a persone capaci di farlo. Più che timore oggi ho molta speranza per il futuro del mio Paese.

Bisogna riconoscere che se lo Stato islamico è stato sconfitto militarmente questo lo si deve anche agli interventi – da sponde opposte – di russi e americani. Non crede che le due potenze vorranno qualcosa in cambio, a questo punto?
Nei giochi politici ci sono spese da pagare. Indipendentemente da ciò, permane forte la volontà dei siriani di continuare a vivere in un Paese libero. Su questo non nutro alcun dubbio.

Prima ricordava come la Siria sia sempre stata un  crocevia di fedi e culture. Cosa avete fatto in questi anni di guerra come comunità cristiana per preservare questo mosaico?
Quello che abbiamo sempre fatto in tanti secoli di presenza in Siria:  
essere aperti e accoglienti verso tutti, senza distinzione di fedi, etnie, culture. Così facendo speriamo di essere un segno profetico non solo per la Siria del futuro, ma per tutto il Medio Oriente.
La Siria potrebbe tornare ad essere un modello di convivenza adottabile da tanti altri Paesi della regione.

Parlando di accoglienza non si possono dimenticare i milioni di rifugiati e di sfollati interni provocati dalla guerra. Torneranno tutti? Vede un futuro per i cristiani, e le altre minoranze, nella Siria che verrà?
Bisogna essere realistici: non tutti torneranno. Ma c’è già chi comincia a fare rientro nelle proprie abitazioni.
La dispersione provocata da anni di conflitto potrebbe diventare una risorsa per il Paese se venisse sfruttata in termini di apertura culturale, sociale e religiosa. Quel mosaico che è la Siria potrebbe così arricchirsi di nuovi pezzi e ampliarsi ulteriormente.
Molti siriani che ora sono all’estero nutrono un forte desiderio di tornare e di aiutare per ricostruire una Siria migliore.

Da dove cominciare per ricostruire una Siria migliore?
Ricominciare dai bambini. Bisogna ripartire dall’educazione, dall’istruzione, dalla formazione perché un Paese che ha subito una tale violenza ha anche difficoltà a rimettere in piedi un sistema educativo. Mi auguro che anche noi, come comunità cristiana, possiamo dare il nostro contributo per guarire le ferite causate dalla guerra. Molti dei nostri bambini sono traumatizzati, hanno visto scene inaudite di violenza, sono nati durante il conflitto. Nel nostro santuario della Conversione di san Paolo abbiamo portato avanti un progetto di sostegno psicologico per i più piccoli. Il 70% di loro erano musulmani. Lo scopo era riportarli ad una vita normale, ma ci vorrà tempo.
Ripartire dai bambini è la garanzia migliore per il futuro della Siria. E poi  dal dialogo.

Stiamo pensando ad una sorta di centro in cui persone di fedi ed etnie diverse possano dialogare e condividere momenti di vita anche in campi come l’arte, la musica, il teatro. Tutti quei valori umani che possono garantirci una vita migliore.