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lunedì 6 novembre 2023

Il vicario apostolico di Aleppo mons Jallouf: "il dramma di Gaza ‘peggiore’ di Aleppo"

 Asia News

 Dalla prospettiva siriana la guerra fra Israele e Hamas a Gaza è fonte di profonda preoccupazione perché “può alimentare nuovi conflitti” ed è forte il rischio che contribuisca a “infiammare l’intera regione mediorientale”. È quanto spiega mons. Hanna Jallouf, francescano, dai primi di luglio vicario apostolico di Aleppo, secondo cui “in Siria e Libano si respira già un clima di forte paura”. Se l’esercito dello Stato ebraico attacca anche da nord “allora sarà elevata la possibilità di un allargamento del conflitto” che finirà per “incendiare tutto il Medio oriente”. E allora, confessa con timore ad AsiaNews, sarà “Terza guerra mondiale, ma speriamo davvero di no”. In questo quadro critico, “il governo di Damasco è ancora in balia delle sue miserie: vediamo di spegnere prima il fuoco dentro la nostra casa” evitando di farsi coinvolgere in altri conflitti perché sono ancora molti “i problemi interni”.

Il conflitto a Gaza è “un dramma che fa sanguinare il cuore” sottolinea il vicario, perché “vediamo gente che soffre e muore, anche sotto le macerie”. Per anni la metropoli del nord della Siria, un tempo capitale economica e commerciale del Paese, è stata epicentro della guerra e ha vissuto sulla propria pelle le devastazioni. Tuttavia “nemmeno noi abbiamo sperimentato un dramma simile o abbiamo assistito a omicidi così terribili, in special modo per i bambini e le donne”. “Quello che si vede a Gaza - prosegue - è peggio di quello che ha vissuto Aleppo, di ciò cui abbiamo assistito a Idlib: non siamo mai arrivati a questi livelli, soprattutto per le vittime civili”. 

In questi giorni il prelato ha contattato più volte, personalmente, una religiosa delle Suore del Rosario rimaste nella Striscia per servire i fedeli e collaborare all’accoglienza degli sfollati nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia. “Ho parlato con sr. Maria - racconta - che mi ha mostrato e raccontato gli orrori e l’enormità dell’emergenza, delle persone che stanno negli ospedali o hanno trovato rifugio in chiesa. Grazie a lei ho visto le persone al buio, senza nulla, chiuse dentro a un recinto come pecore, povera gente che vive in miseria, nella paura. Un qualcosa di veramente orribile, speriamo che il Signore dia loro un po’ di calore, di misericordia, di perdono e che possa infine arrivare una pace vera e giusta”. 

Su mille cristiani rimasti nella Striscia, almeno 5/600 sono ospitati dalla parrocchia dall’inizio dell’operazione miliare israeliana a Gaza, anche perché “è l’unico posto dove possono rimanere perché le loro case sono andate distrutte” riferisce il vicario di Aleppo. “Vi è poi la fatica quotidiana - prosegue - di trovare cibo, un po’ di pace per tutti. Per i fabbisogni di ogni giorno cercano di arrangiarsi alla meglio, ma i viveri si stanno esaurendo e gli aiuti non arrivano”. 

Il timore è che il conflitto possa incendiare la piazza musulmana e coinvolgere altri movimenti e gruppi oltre ad Hamas. E sempre in queste ore si registra la nota degli Emirati Arabi Uniti (Eau), che parlano di “rischio generale” di una “ricaduta” a livello “regionale” della guerra come già aveva paventato il vicario d’Arabia. Dall’osservatorio siriano, mons. Jallouf afferma che per ora il mondo islamico “si mantiene sotto controllo” anche se nel nord del Paese persistono scontri interni fra fazioni rivali e con l’esercito governativo. I riflettori sono puntati su Gaza, e il conflitto siriano come la guerra in Ucraina “sembrano dimenticati” anche se in più di una occasione caccia e droni israeliani hanno colpito di recente Aleppo e Damasco, in particolare aeroporti e centri dei miliziani, che hanno risposto agli attacchi.

Al dramma della guerra la Chiesa siriana risponde con la preghiera e il digiuno che “avevo proclamato per tre giorni prima ancora che lo facesse papa Francesco” racconta il vicario, “chiedendo al Signore di proteggere un popolo che soffre”. In Siria come in Libano, in Terra Santa “o in Iraq dove anche lì si sta consumando un disastro” contro i cristiani. Infine, il prelato [francescano e legato nel profondo alla Terra Santa] ricorda che “l’unica cosa che possiamo fare ora è fermare questa tragedia e vivere veramente il valore della pace che Dio ci ha donato, la pace per la quale san Francesco tanto ha fatto. Come il santo di Assisi ha saputo ammansire il lupo - conclude - speriamo che oggi si possano rendere mansueti i lupi che vogliono alimentare il conflitto”. 

sabato 1 luglio 2023

Gioia per i cattolici siriani: nomina del Vicario Apostolico di Aleppo dei Latini


 01 Luglio 2023

Il Santo Padre, Papa Francesco, ha nominato Vicario Apostolico di Aleppo dei Latini (Siria) fr. Hanna Jallouf, frate minore della Custodia di Terra Santa. Il religioso, che presto verrà ordinato vescovo, è al momento parroco di Knayeh e incaricato di Jisser El Chougur e succede a mons. Georges Abou Khazen O.F.M. 

A fr. Hanna vanno le felicitazioni di tutti i confratelli della Custodia di Terra Santa con l’augurio di continuare a servire la Chiesa locale di Aleppo come un pastore “che ha l’odore delle pecore”.

Sul campo

Lo scorso 17 dicembre, in Vaticano, fr. Hanna è stata una delle tre personalità che hanno ricevuto direttamente dal Papa il premio "Fiore della gratitudine" per il loro impegno nel contrasto alla povertà. In quell’occasione aveva rilasciato un’intervista al sito della Custodia. Padre Hanna da anni - insieme ai confratelli - si spende per i poveri nel contesto della guerra siriana, rappresentando un punto di riferimento per la comunità cristiana locale. Nel 2018 Papa Francesco aveva inviato una lettera a fr. Hanna e fr. Louai, in risposta a una loro missiva in cui raccontavano della situazione in Siria. Nell’ottobre 2014 è stato rapito e tenuto prigioniero per un paio di giorni dai jihadisti, nel contesto della guerra civile siriana. 

Il curriculum

P. Hanna Jallouf O.F.M. è nato a Knayeh, Comune di Jisser El Chougur, Provincia di Idlib (Syrian Arab Republic) il 16/07/1952 ed è di nazionalità Siriana. 
Ha vestito l’abito francescano il 01/03/1974; 
ha emesso i primi voti il 17/02/1975; 
ha fatto la professione solenne il 14/01/1979. 
È stato poi ordinato diacono il 18/03/1979 e ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 29/07/1979. 
È un religioso della Custodia di Terra Santa dell’Ordine dei Frati Minori. 
Parla Arabo, Italiano e Francese. 
Ha svolto i seguenti servizi: Vicerettore in Amman (1979-1982), Rettore del Seminario Minore in Aleppo (1982-1987), Vicario Parrocchiale a Casalotti in Roma (1987-1990), Superiore e Parroco a Ghassanieh e Jisser el Chougur (1990-1992), Direttore del Terra Sancta College di Amman (1992-2001), Superiore e Parroco a Knayeh (2001-2013); Superiore e Parroco di Knayeh, incaricato di Jisser El Chougur e Ghassanieh (2013-2016); Superiore e Parroco di Knayeh e incaricato di Jisser El Chougur (2016). 
Attualmente è Superiore e Parroco a Knayeh e incaricato di Jisser El Chougur. 
Ha ottenuto la Licenza in Storia (Beirut) e la Licenza in Pastorale giovanile e catechetica (Università Pontifica Salesiana – Roma). 

sabato 24 dicembre 2022

Dalla Siria la testimonianza del Natale più vero

Il francescano padre Hanna Jallouf è nel Paese mediorientale dall’inizio del conflitto, sempre al servizio dei poveri e dei vulnerabili. Sequestrato dai miliziani nel 2014, è rimasto da solo, insieme a un confratello, ad assistere spiritualmente e materialmente i cristiani nel Governatorato di Idlib. Nei giorni scorsi è stato premiato da Papa Francesco: “Il riconoscimento uno spiraglio di speranza per la mia gente”


In Siria la testimonianza di padre Jallouf: "Guerra e sofferenze, ma Dio non ci ha mai tradito"

Paolo Ondarza – Città del Vaticano

È una testimonianza del Vangelo silenziosa quella dei cristiani dei tre villaggi di Knaye, Yocoubieh e Gidaideh, nella Valle di Oronte, a 43 chilometri da Antiochia, nel Governatorato di Idlib, in mano ai jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham. Dodici anni fa erano in 10 mila, oggi sono appena 600, poco più di 200 famiglie. Qui padre Hanna Jallouf è rimasto l’unico religioso, insieme ad un confratello, a portare conforto spirituale, materiale e sanitario. “Sono tutti scappati via”, racconta ai microfoni di Vatican News – Radio Vaticana di cui è ospite. “Ormai siamo sotto la guerra da dodici anni, sotto la dominazione dei jihadisti, lontani dal governo non abbiamo risorse economiche o forze per proteggerci”.

Il rapimento nel 2014

Gli occhi di padre Jallouf rivelano la sofferenza del popolo siriano, tradiscono i timori per un destino oscuro, ma irradiano anche la luce di una speranza certa, fondata su Cristo. “Il Signore è sempre stato con noi, non ci ha mai tradito. Neanche quando sono stato rapito”, dice, ricordando il sequestro dei miliziani nel 2014. “Volevano costringermi alla conversione, ma il Signore mi ha dato la forza e il coraggio di testimoniare la fede cristiana”.

Vivere la fede con le restrizioni 

Senza soldi, senza difesa i cristiani di queste terre vivono una quotidianità fortemente condizionata. “La nostra testimonianza è la vita, la gente con cui viviamo sa bene che siamo reali, siamo sinceri e di buona condotta. Noi mandiamo avanti la baracca, ma ci sono tante difficoltà”. Ad esempio, spiega il frate, “siamo costretti a vivere e testimoniare la nostra fede solo dentro le chiese. All’esterno è stato cancellato ogni nostro simbolo religioso, non possiamo suonare le campane, non possiamo vestire il saio francescano, le donne devono coprirsi. Il contesto è molto difficile”.

Ma nonostante queste restrizioni”, prosegue Jallouf con un sorriso, “la nostra fede cresce. Più stringono, più ci allarghiamo. Anche a Natale potremo svolgere le nostre celebrazioni eucaristiche, le novene o allestire il presepe dentro la chiesa, ma fuori o dentro le case è vietato persino fare l’albero di Natale”.

Natale 

La speranza del francescano è che arrivi presto un giorno di pace in cui vivere in pienezza il Natale. A rafforzarlo in questo sentimento è arrivato come un dono inatteso l’incontro nei giorni scorsi con Papa Francesco in occasione della consegna del riconoscimento “Fiore della Gratitudine” promosso dal Dicastero per il Servizio della Carità, simbolo dell’amore che tiene in piedi il mondo e omaggio a Madre Teresa di Calcutta.  “Questo riconoscimento è una gioia dopo tante sofferenze per il mio popolo e la mia gente. Ricevere il fiore ha rappresentato per me e per il nostro popolo uno spiraglio di speranza e gioia. Quando mi ha chiamato il cardinale Mario Zenari, il nostro nunzio, mi ha detto: ‘Il Santo Padre vuole premiarti’. Ho risposto: ‘Non sono degno’. ‘Vieni e vedi’, mi ha detto lui. E allora ho pensato: facciamo come San Paolo quando è entrato a Damasco e gli hanno detto ‘Entra e lì saprai cosa devi fare’. Sono serviti tre giorni e tre notti solo per arrivare ad Aleppo”.

L'incoraggiamento del Papa

Il francescano ha avuto modo anche di parlare personalmente con il Papa: “Ha espresso la sua vicinanza alla nostra gente insieme all’augurio che possa finire questa guerra e presto si conseguano la pace, vera e sicura, la giustizia e il sollievo per il nostro popolo”.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-12/padre-jallouf-siria-guerra-testimonianza-vangelo-premio-papa.html



RIVOLGIAMO AI NOSTRI LETTORI L'AUGURIO DI POTER VIVERE I SANTI GIORNI NATALIZI, PUR SEGNATI DA INQUIETUDINI E DA PREOCCUPAZIONI, CON LE STESSE PAROLE RIVOLTE DA PAPA FRANCESCO A PADRE JALLOUF: 
“Ha espresso la sua vicinanza alla nostra gente insieme all’augurio che possa finire questa guerra e presto si conseguano la pace, vera e sicura, la giustizia e il sollievo per il nostro popolo”.

BUON NATALE E BUON 2023!

sabato 22 ottobre 2022

Giornata Missionaria Mondiale: testimonianza dalla Siria occupata dai jihadisti


Padre Jallouf (Idlib): “L’esito della guerra nelle mani di Russia e Turchia”

di Davide Rocchi, SIR 

Seppur sparita dai radar dell'informazione, la guerra in Siria, scoppiata nel 2011, continua a fare morti. Di questi giorni la notizia di scontri tra milizie ribelli nella zona di Idlib per il controllo dell'area, unica rimasta in mano agli oppositori jihadisti del regime del presidente Assad. Nella zona vive una piccola comunità cristiana, con due frati della Custodia di Terra Santa, padre Hanna Jallouf e padre Luai Bsharat. Il Sir ha raccolto la testimonianza di padre Hanna.

“Da qui sono passati tutti i gruppi di ribelli e terroristi, Isis, al-Nusra oggi Hayat Tahrir al-Sham. Viviamo così dal 2011 quando ha avuto inizio la guerra”. A parlare al Sir è il francescano Hanna Jallouf, parroco di Knaye, uno dei tre villaggi cristiani della Valle dell’Oronte (gli altri due sono Yacoubieh e Gidaideh) distante solo 50 km. da Idlib, capoluogo dell’omonimo Governatorato, ultimo bastione nelle mani dei ribelli che combattono contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad.

Non pare sorpreso, il religioso, davanti alla notizia che l’esercito turco, nelle ultime ore, ha dispiegato mezzi e uomini nel nord-ovest della Siria, dopo un accordo raggiunto tra Ankara e la coalizione di milizie qaediste – guidate da Hay’at Tahrir ash Sham (Hts) – che nei giorni scorsi avevano conquistato gran parte del distretto di Afrin allontanando le fazioni più vicine alla Turchia, in particolare il Fronte di Liberazione Nazionale (Faylaq Al-Sham). Duri combattimenti che avevano provocato decine di morti tra due milizie che pure avevano combattuto insieme contro l’esercito regolare siriano. L’area è interessata da più di due anni da una tregua russo-turca per la spartizione del nord-ovest della Siria in due zone di influenza: una russo-governativa siriana a sud e una turca più a nord.

“Non è una sofferenza nuova”. “Non è una sofferenza nuova” dice padre Hanna che, con il confratello, padre Luai Bsharat, tengono unita la piccola comunità cristiana locale – poco più di 1.100 ‘anime’, tra latini, armeno-ortodossi e greco-ortodossi – intorno ai conventi di san Giuseppe e di Nostra Signora di Fatima. I due, infatti, sono gli unici religiosi rimasti nella zona, perché ricorda il frate, “quando è scoppiata la guerra tutti i preti e i sacerdoti che c’erano sono andati via o fuggiti. Molte chiese e luoghi di culto armeni e greco ortodossi sono stati distrutti o bruciati. Tra questi il nostro convento di Ghassanie”. Padre Hanna nel 2014 fu anche rapito dai qaedisti, insieme a 16 parrocchiani e rilasciato dopo qualche giorno. Ma ora non serve rivangare il passato, perché, rimarca, “la guerra e le sanzioni hanno prodotto, non solo morti e distruzione, ma anche tantissima povertà. I bisogni di oggi sono impellenti, manca praticamente tutto, acqua corrente, elettricità, medicine, i prezzi sono altissimi, ma dobbiamo continuare a vivere”. “La popolazione tira avanti come può – racconta il frate – si cerca di risparmiare sui costi dell’energia. Un barile di 200 litri di gasolio necessario a mandare avanti un generatore elettrico arriva anche a 250 dollari, un’enormità per le tasche dei siriani. Così molti cercano di recuperare le vecchie stufe a legna, più economiche, che permettono di cucinare e di scaldarsi al tempo stesso”.

“Un qualcosa del genere – aggiunge il religioso – dovrà farlo anche l’Europa ora che i costi di gas e di energia elettrica, saliti vertiginosamente a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, stanno facendo lievitare le bollette. Potrebbe essere l’occasione per riscoprire stili di vita più essenziali e sobri”.

“Noi viviamo in guerra dal 2011 e queste scelte sono diventate la nostra quotidianità” sottolinea padre Hanna che pure non manca di evidenziare un qualche segnale positivo “almeno per noi cristiani che viviamo qui nella valle dell’Oronte”. E spiega: “Gli scontri dei giorni scorsi tra fazioni ribelli hanno provocato l’allontanamento di jihadisti che avevano preso di mira noi cristiani, rubando nelle nostre case, requisendo i terreni, con vessazioni di ogni tipo. Ora la situazione appare più tranquilla e questo ha spinto, nell’ultimo periodo, sette famiglie cristiane a rientrare in uno dei nostri villaggi, Gidaideh. Erano sfollate ad Aleppo e Latakia. Abbiamo parlato con i capi del posto e siamo riusciti ad ottenere indietro le loro case e i loro terreni. I rapporti con l’autorità locale sono impostati al massimo rispetto e dialogando riusciamo ad avere qualche margine di movimento”.

I problemi di sempre. Ciò non toglie che i problemi di sempre, per i cristiani, restano e sono quelli noti: celebrare i riti solo dentro la chiesa, i luoghi di culto non devono avere all’esterno croci, campane, statue e immagini sacre e anche padre Hanna e padre Luai non possono vestire il saio fuori dal convento. Se con le autorità qualcosa sembra muoversi lo stesso non si può dire per i rapporti con i musulmani locali: “in molti permane ancora una certa mentalità tipica dell’Isis che vede i cristiani come infedeli. C’è stato un imam – ricorda padre Hanna – che era solito, nei suoi sermoni in moschea, rivolgere parole di odio verso i cristiani fomentando i fedeli presenti. Abbiamo fatto le nostre rimostranze e l’autorità locale lo ha rimosso. Ora va meglio. Non c’è più chi ti sputa in faccia, chi ti calunnia e ti odia. La convivenza passa attraverso il rispetto e la conoscenza che costruiamo ogni giorno. È il senso della nostra presenza qui in questo lembo di terra”, dove la vita scorre in mezzo a tante difficoltà.

Le sorti della guerra. “In parrocchia non manca l’impegno pastorale. Abbiamo anche organizzato dei corsi scolastici per i nostri 21 alunni, di tutte le fasce di età, che riuniamo nel convento e anche nelle case delle maestre. Non vanno nelle scuole locali. Così li prepariamo e, a fine corso, quando devono sostenere gli esami, li portiamo a Latakia e Hama, cercando di aggirare il blocco che sbarra le strade da e per Idlib. Chi vuole uscire clandestinamente è costretto a pagare. Ma i nostri alunni sono ben preparati e ottengono ottimi risultati. Vale la pena fare questi sacrifici. Abbiamo tre ragazze che oggi studiano all’università a Latakia”. Gli aiuti non mancano, arrivano dalla Custodia di Terra Santa e dalla ong “Ats Pro Terra Sancta” e permettono a padre Hanna di aiutare i suoi cristiani. “Stiamo dando un futuro a questi giovani e le loro famiglie sono felici” dice con orgoglio. Sul futuro della Siria, invece, padre Hanna è molto più realista:

“le sorti della guerra e il controllo del territorio non sono più nelle mani dei ribelli oppositori di Assad e dell’esercito siriano, ma di Turchia, Russia, Iran e Usa. Sono loro a decidere.

E poco importa se la gente muore di fame per la povertà, se non può uscire dalla regione, se non riesce a curarsi e a vivere con dignità. Ma noi continuiamo a sperare”.

martedì 15 marzo 2022

Cade oggi l’undicesimo anniversario della 'guerra per procura' siriana, cominciata il 15 marzo del 2011

 

A Idlib siamo chiusi dentro una gabbia – ci dice il frate siriano Hanna Jallouf – manca davvero tutto, zucchero, olio riso… Inoltre viviamo sempre nel timore di qualche ritorsione da parte dei gruppi ribelli nella regione, ma negli ultimi due anni i combattimenti si erano notevolmente ridotti”. Ora lo spettro della guerra torna a tormentare le speranze delle piccole comunità cristiane dei villaggi di Knaye e Yacoubiehdove l’accordo tra il governo di Bashar Al-Assad, l’alleato russo e la Turchia garantivano, per quanto possibile in una situazione di questo tipo, una certa stabilità. Vi preghiamo di non dimenticarvi di noi – dice – che siamo ancora in balia di questa sporca guerra, in balia di persone che vogliono eliminarci! Non dimenticate le 210 famiglie di Kanye e Yacoubieh, intrappolate in una condizione drammatica”.  (Pro Terra Sancta)

Siria, c’è ancora speranza dopo 11 anni di guerra civile? Le parole di padre Ibrahim

Carissimi amici,
Pace e bene.

Oggi si fa memoria dell’inizio della crisi siriana. Ormai sono passati undici anni, mentre noi continuiamo a sperare in un giorno dove la pace illumini il nostro paese ferito. Mi vengono in mente tutti i terribili scenari di questa guerra e dei suoi risultati, specialmente la tappa del Covid e dell’embargo iniziato nel 2019 e che continua ancora oggi e si manifesta attraverso un deterioramento severo nelle condizioni di vita, continuando a lasciare le sue ombre sulla vita di ogni persona che vive ad Aleppo.
Un freddo che “morde” senza nessuna possibilità per riscaldarsi, una fame dovuta all’inflazione e all’aumento di prezzi, specialmente degli alimentari. La nostra è una vita nel buio dove abbiamo nella città due ore di elettricità che non bastano a tirare l’acqua alle abitazioni…
Per noi era quasi impossibile per giorni e giorni fare la doccia, pulire i panni e risciacquarli e stirare i vestiti…
Una realtà dura, ho detto, che continua fino ad oggi.

Con la guerra in Ucraina, si aprono di nuovo le nostre ferite… e le lacrime tornano agli occhi, perché in Ucraina si ripete il dramma del male nel mondo, si crea un focolaio nuovo, come da noi, per la sofferenza e la morte…
Seguiamo con dolore il processo nero della guerra mentre stiamo vivendo il nostro processo, di morte lenta… molto lenta…
Nella preghiera per l’Ucraina preghiamo per un mondo disordinato che perde la sua bussola e va verso la sua autodistruzione. Fra tanti risultati, la guerra in Ucraina ne ha tanti sulla vita dell’uomo in tutto il mondo, si immagini allora quali potrebbero essere le sue ripercussioni sulla vita dell’uomo che vive in Siria, in modo particolare ad Aleppo.
Alcuni giorni già prima della guerra, la farina è scomparsa dal mercato di Aleppo. Con il suo inizio, un salto severo ed improvviso di aumento di prezzi degli alimentari, ha lanciato l’uomo già battuto sulla via della morte, per un altro deterioramento, con la quale non si può più parlare di una vita degna della persona umana.

La luce nella realtà più buia

In questa situazione, ecco che un “grembiule” marrone che ha l’odore di santità di S. Francesco, che continuano a sperare contro ogni speranza… continua a lavare i piedi dei fratelli cittadini diventati tutti poveri. Davanti al peggioramento della situazione da tutti i punti di vista, se non arriva la luce, le nostre ginocchia piegate in preghiera la implorano e con il servizio umile, creativo e disinteressato, la rendono presente nella vita di ogni aleppino.

Arriva la luce, carissimi, perché Cristo è risorto; arriva perché la carità è presente ed è molto forte ed efficace;
Il Mattino c’è perché il cammino della Chiesa è un “camminare insieme” e perché siamo tutti insieme a pregare gli uni per gli altri e perché ci aiutiamo insieme a continuare questa missione ad Aleppo…  Buona continuazione nel cammino di Quaresima;
buona continuazione nel cammino di totale donazione a Dio e ai fratelli feriti della guerra;
e buona continuazione nel cammino della carità, manifesta nella preghiera e nelle donazioni generose…

Per favore, non dimenticate la Siria, per favore, in mezzo a tante preoccupazioni, non dimenticate l’uomo lasciato nella periferia esistenziale del mondo, qua ad Aleppo…Vi auguro ogni bene nel Signore.


fr. Ibrahim

domenica 6 dicembre 2020

Siria, il decimo Natale senza pace

Nella dimenticata Siria da dieci anni di terrorismo, di guerra e ora di fame a causa delle sanzioni imposte dagli Usa. 

L’articolo si riferisce alla zona dove prima della guerra vivevano 1200 famiglie cristiane, mentre ora ne sono rimaste solo 300: la cancellazione della presenza cristiana in Siria è uno degli obiettivi degli amici degli Usa nel Vicino Oriente. 

Maurizio Blondet , 5 dicembre 2020

Idlib, noi prigionieri nella roccaforte dell’Isis 

Si parla poco oggi della Siria, siamo lontano dai riflettori. Direi che siamo messi ai margini. Per chi come noi vive nella provincia di ldlib, la situazione è ormai la stessa da tempo: tutte le strade sono completamente chiuse, non si passa né verso la parte controllata dalle forze siriane né verso la Turchia. Siamo come naufraghi su un’isola. 
Da una parte è un male, dall’altra è un bene. È un male, perché non abbiamo letteralmente più nulla. La vita è carissima e la gente è alla fame: per vivere una famiglia avrebbe bisogno almeno di 600 dollari al mese, ma un capofamiglia arriva a guadagnarne appena 30. Così è aumentata la criminalità: moltissimi rubano per necessità e per fame. L’unica possibilità di sussistenza è legata al lavoro agricolo, ma le campagne sono insicure perché vengono bombardate o si rischiano incursioni da parte delle milizie islamiche che controllano la regione. Tutto si compra e si vende al mercato nero.
La tregua decisa da turchi e russi lo scorso 5 marzo, per favorire il ritorno degli sfollati, tiene, anche se ogni giorno ci sono violazioni, sia da parte dei combattenti jihadisti che non vogliono la pace e che boicottano la riapertura della vicina autostrada M4, sia da parte delle forze governative e russe.

Oggi nella provincia di Idlib resta a malapena un milione persone, molto meno della metà dei suoi abitanti, perché 2 milioni sono fuggiti in Turchia. Chi è rimasto vive giorno per giorno, senza pensare al futuro, perché il futuro è un’ipotesi.
Resta forte la presenza dei ribelli jihadisti anti-Assad, che, cacciati dalle altre zone del Paese riconquistate dall’esercito regolare, si sono rifugiati qui. Chi di loro lascia il territorio lo fa per andare a combattere da mercenario, ad esempio in Libia o nello Yemen, o per ingrossare le fila dei combattenti islamici nelle regioni russe del Caucaso. Altri ancora entrano in una sorta di milizia che lo Stato islamico sta formando con le risorse fornite da Qatar e Turchia. Il territorio continua a essere pattugliato dai combattenti che arrivano quando meno te lo aspetti. Non hanno basi riconoscibili, per paura di essere bombardati dall’aviazione russa. Hanno scavato rifugi sotterranei o si servono di grotte per celare la loro presenza e i loro arsenali.
Nessuno in realtà sa dove siano! 

L’aspetto sanitario, paradossalmente, è quello meno preoccupante rispetto al resto della Siria. La chiusura totale della provincia di ldlib, il blocco delle strade, ha impedito finora il propagarsi del Covid-19, se non in qualche sporadico caso subito isolato.Non abbiamo smesso di celebrare, le chiese sono aperte… Non abbiamo chiusa neanche una porta.

l cristiani della valle dell’Oronte, nelle nostre residue comunità cristiane, vivono quasi solamente degli aiuti esterni. Cerchiamo di provvedere ai più poveri soprattutto con aiuti alimentari che acquistiamo attraverso le donazioni che arrivano dalla Custodia e dai benefattori. La vera sfida oggi è tenere unite le famiglie, custodire chi è rimasto e garantire la trasmissione della fede in un contesto fortemente islamizzato.

Nei villaggi della valle dell’Oronte sono rimaste circa 300 famiglie cristiane, con una trentina di ragazzi in età scolare. La dimensione della tragedia sta tutta in questi numeri: prima della guerra la comunità cristiana delle nostre tre parrocchie contava oltre 1.200 nuclei familiari.

fra Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa in Siria

sabato 24 ottobre 2020

Idlib: 'La presenza dei Francescani che restano qui è un segno di speranza'

Due frati francescani, gli unici religiosi cristiani rimasti a Idlib, in Siria, hanno rivelato i dettagli della loro vita in uno degli ultimi baluardi della dominazione jihadista nel paese, compresa la minaccia quotidiana di essere uccisi, torturati o attaccati.

Parlando a Aid to the Church in Need (ACN), Padre Firas Lutfi, Custode della Provincia di San Paolo per i francescani di Siria, Libano e Giordania, ha detto che i frati hanno deciso di restare per aiutare i cristiani che soffrono di persecuzioni estreme.

Padre Lutfi racconta: "La loro sofferenza è iniziata una decina di anni fa. Quando la guerra in Siria ha iniziato a imperversare in diverse aree del Paese, gruppi militanti hanno preso il controllo di quella regione e l'hanno proclamata 'Stato Islamico'. "Confiscarono le proprietà dei Cristiani, costrinsero tutti i non musulmani a rispettare la Shari'a islamica , si presero il diritto di circolare liberamente nei loro villaggi, obbligarono le donne a indossare il velo. Hanno distrutto e impedito ogni apparente simbolo cristiano, come le croci sopra le chiese e i cimiteri". 

Padre Hanna Jallouf, 67 anni, e padre Luai Bsharat, 40 anni, servono 300 famiglie cristiane nei villaggi di Knayeh e Yacoubieh, nella provincia di Idlib, vicino al confine della Turchia con la Siria occidentale.

La regione è ancora controllata da gruppi jihadisti internazionali, tra cui una propaggine di Daesh.

Padre Lutfi racconta: "Questi estremisti hanno spesso perseguitato, attaccato, picchiato, torturato e persino ucciso alcuni dei nostri fratelli e sorelle.  In particolare, padre Francois Murad, decapitato nel 2013, e recentemente una maestra è stata violentata e violentemente uccisa a Yacoubieh.  I cristiani di queste regioni devono affrontare persecuzioni, paura, violenza, pericolo, morte, terrorismo e nascondere la loro fede e le loro opinioni".

Dice: "La presenza dei Francescani è un segno di speranza in mezzo alle tenebre e alla disperazione. Nonostante le difficoltà quotidiane e le miserie insopportabili, padre Luai Bsharat e padre Hanna Jallouf vi sono rimasti perché credono nel servire e nel cercare di proteggere i Cristiani rimasti, e credono che questa regione non debba essere abbandonata...". 

Padre Firas ha sottolineato che i frati e le famiglie cristiane ritengono che la loro presenza nella zona sia di fondamentale importanza: "Sia i laici che i frati lì credono fortemente di contribuire, con la loro presenza, a rafforzare la Chiesa affinché [la Chiesa] possa continuare a vivere attraverso il suo popolo durante queste atrocità".

https://acnuk.org/news/syria-a-sign-of-hope-amid-the-darkness-and-despair/

traduzione : OraproSiria


Notizie sulla cittadina Yacoubieh (Al-Yaqoubia ) tratte da 'Syria Tourism'

Il villaggio di Al-Yaqoubia è un dono del Creatore... ed era una testimonianza della tolleranza religiosa in Siria.

Al-Yaqoubia è un villaggio siriano nella campagna del governo di Idlib, situato nella Siria nord-occidentale, a 140 km dalla città di Aleppo e a 385 km dalla capitale Damasco, situato a a 480 km da metri di altitudine.

L 'origine del villaggio è siriaca, e si chiamava Al-Ya' qubiyyah, in riferimento a Yaqoub El-Baradei, seguace di una dottrina cristiana giacobita.

I suoi abitanti parlano arabo e armeno, come quelli di alcuni villaggi e città circostanti Jisr Al-Shughur, Darkoush, Hammam Sheikh Isa, Al-Qunya e Ghassaniyeh.

Al-Yaqoubia è famosa per la diversità delle sue stagioni e per la varietà delle sue colture agricole, possiede molti alberi da frutto e alberi di differenti specie ed è famosa per la coltivazione di olivi dall'antichità fino ad oggi, così come per la coltura di mele, pesche, noci, mandorle e altro.

Al-Yaqoubia era la località preferita di molti turisti, che in gran parte provenivano da Aleppo per godersi lo splendore della natura e della bella atmosfera, la chiesa e il santuario armeno di Santa Anna visitato da pellegrini di tutte le confessioni e religioni. E da tutte le regioni della Siria.

martedì 30 giugno 2020

Un messaggio da padre Daniel in Siria, al mondo, sul Caesar Act

Padre Daniel, (a destra) e i Fratelli e le Sorelle di Qara, nel monastero di Mar Yacub in Siria, dove hanno trascorso la loro vita ad aiutare il popolo siriano, nel corso degli anni hanno assistito alle atrocità dei jihadisti e al loro sostegno che veniva dall'Europa e dagli Stati Uniti. Ora stanno affrontando la fame attraverso la legge CAESAR.

Cari amici

Stiamo vivendo i "tempi bui", che Gilbert Keith Chesterton (+ 1936) aveva previsto? Prediceva il crollo della nostra civiltà con la demolizione dei suoi pilastri morali, religiosi e culturali. "La gente tende a guardare con entusiasmo al futuro perché ha paura del passato", scriveva. Ma abbiamo ancora un futuro, stiamo entrando in questo periodo nero? Chesterton ebbe certamente una visione profetica. Non era solo un grande letterato inglese, ma soprattutto un originale difensore della dignità umana e divenne uno dei cattolici contagiosamente convinti che difendevano la fede autentica con umorismo e creatività. Nei periodi bui, abbiamo bisogno di un'esperienza creativa di fede più che mai. Uno dei motivi principali per cui l'Unione europea sta attraversando una profonda crisi di identità e per il momento non è uscita da essa è che ha paura di guardare indietro e ha paura di riconoscere le sue vere radici.

La schizofrenia del Governo Mondiale

Il modo in cui il popolo siriano viene sempre più strangolato dalla "comunità internazionale" dimostra in modo eloquente come i leader occidentali possano nascondere i loro piani egoistici per la distruzione del popolo siriano nascondendosi dietro i loro slogan e le più magnifiche bandiere dei diritti umani e degli aiuti umanitari. E non esiste un'organizzazione internazionale che possa garantire la giustizia e la dignità umana. Al contrario, per loro- le ONG delle cosiddette Organizzazioni per i diritti umani,- le sofferenze aggravate del popolo siriano sono da imputare al presidente siriano, al suo governo, al suo esercito e ai loro alleati (Hezbollah e Russia). Il mantra continua a essere ripetuto fedelmente dai media. Per questo ogni cittadino del mondo è chiamato a punire questi "colpevoli" aiutando a distruggere il Paese, a uccidere il popolo, a farlo fuggire e ora a morire di fame. Il fatto che tutto questo sia semplicemente un pretesto per le potenze occidentali per rubare le materie prime e imporre la loro volontà non viene nemmeno discusso.

È vero, la situazione è sempre più difficile in Siria, la moneta si è svalutata in modo spettacolare. C'è una certa tensione tra gli alawiti stessi, perché Bashar- al-Assad vuole affrontare la corruzione. Tuttavia, non c'è motivo di continuare a parlare di "guerra civile" perché non è mai avvenuta. Non ci sono nemmeno scuse per non parlare di un "governo siriano", così come non c'è motivo di parlare di un "regime" olandese e belga? E sì, ci sono state piccole manifestazioni qua e là contro il deterioramento della situazione, che è ampiamente sottolineato nei media mainstream. Che ci siano state manifestazioni di massa a Homs e al Bukamal (Deir Ezzor) la settimana scorsa e questa settimana per protestare contro gli Stati Uniti e i suoi terroristi non sarà mostrato sui media atlantici.
Inoltre, si dice che i giornalisti dei media mainstream abbiano troppo lavoro da fare per cancellare i ritratti del Presidente e le bandiere siriane. Anche il modo in cui i cittadini di Al-Qamishli hanno fermato un convoglio americano e bruciato apertamente la bandiera americana sarà nascosto. Né si vedranno le immagini della manifestazione di massa di giovedì in piazza Al Tahrir a Quneitra, rendendo chiaro alla gente che le alture del Golan devono tornare al dominio siriano.
I siriani sanno bene chi sta distruggendo il loro Paese e chi li sta proteggendo.

Il rappresentante permanente siriano all'ONU, il dottor Bashar al-Jaafari, ha ricordato nel suo recente discorso le accuse che ha mosso contro Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Turchia per aver reclutato terroristi da tutto il mondo per nove anni, armato, effettuato azioni militari, rubato o distrutto petrolio, gas, raccolti, tesori archeologici e infine imposto sanzioni più pesanti. Tutto ciò contro il diritto internazionale e contro la carta dell'ONU.
Per colmo, gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia sono Stati membri dell'ONU che garantiscono la sicurezza internazionale, il rispetto della sovranità, la pace e la giustizia!

Conclusione
Non c'è nemmeno un briciolo di umanità nel loro atteggiamento. Il presidente Erdogan occupa il nord della Siria, Israele il Golan, e gli Stati Uniti sostengono i terroristi.
"Quando gli Stati Uniti rubano apertamente 200.000 barili (un barile di circa 159 litri) di petrolio al giorno dalle risorse siriane e inoltre bruciano 400.000 tonnellate di cotone, 5.000.000 di bestiame, migliaia di acri di campi di grano, possono distruggere la Siria, svalutare consapevolmente la moneta nazionale, imporre misure economiche coercitive per soffocare il popolo siriano, occupano parti della Siria e proteggono il loro alleato turco che occupa un'altra grande parte, e poi quando il mio collega, il rappresentante permanente degli Stati Uniti all'ONU dice che il suo governo è preoccupato per il deterioramento delle condizioni di vita dei cittadini siriani, che attribuisce al "regime" ... non sono forse sintomi di schizofrenia?", chiede Bashar-al-Jaafari.

Nel frattempo, i nostri media sono preoccupati per il gran numero di terroristi belgi che tornano dalla Siria, ma nessuno si sta chiedendo come siano arrivati lì. Per nove anni, il nostro paese ha supportato i terroristi insieme a tutto l'Occidente e ora li combatteranno? Se vuoi aiutare un paese, lo fai insieme e non contro il governo legittimo, altrimenti sei dalla parte dei terroristi.

Nel frattempo COVID-19, che fino ad oggi era rimasto molto limitato in Siria, si sta gradualmente espandendo ... ma al contrario non sarà una preoccupazione per i governanti del mondo senza legge o coscienza....

  padre Daniel 
traduzione in inglese di Sonja van den Ende


Ascoltate dal francescano Fra Hanna nella provincia di Idlib, come si vive sotto il controllo di milizie jihadiste: “Qui va sempre peggio!”

sabato 20 aprile 2019

Dai cristiani siriani nelle catacombe: "non ci toglieranno mai la gioia della Pasqua. Non potranno mai strapparci la nostra fede in Dio."

 Ai nostri cari lettori auguriamo una serena Pasqua 2019
 con le parole di Padre Hanna Jallouf, francescano siriano della Custodia di Terra Santa, parroco latino di Knayeh, nel governatorato di Idlib, ultima roccaforte degli jihadisti.






“Tra Knayeh, Yacoubieh e Jdeideh raduno circa 70 giovani. Vivremo la Settimana Santa con il resto della comunità, circa 800 famiglie. Ma fare i conti con questo conflitto non è facile – racconta il parroco che nel 2014 fu rapito dai qaedisti – soprattutto se si è giovani. La guerra ha posto nel cuore dei giovani siriani, non solo cristiani, una grande sofferenza. Tantissimi sono cresciuti conoscendo solo armi, violenza, bombe, non hanno potuto frequentare le scuole, non sanno leggere e scrivere. Sono stati sradicati dalle loro case, allontanati, costretti a emigrare e peggior cosa indotti a uccidere l’altro. Soprattutto i maschi. Molti di loro hanno disertato il servizio militare perché affatto convinti della necessità di imbracciare le armi in questa guerra. Di giovani ne sono rimasti pochi e la maggior parte sono ragazze. Ci colpisce molto la tristezza nei volti dei bambini più piccoli”. 
Nonostante ciò, aggiunge il frate, “vedo nei giovani della mia comunità una fede che è cresciuta, maturata, che li ha spinti a rifiutare la violenza e a dedicarsi in opere di servizio sociale caritativo. Rimasti attaccati alla Chiesa, alla preghiera e alle liturgie, combattono così la loro guerra contro la mancanza di futuro, di prospettive certe, lottando per alimentare la speranza”.

“La Pasqua – ribadisce – ci dice che la morte non ha l’ultima parola. Questo è ciò che testimonieremo  domenica, quando nella nostra chiesa alzeremo le palme per salutare Cristo e chiedergli speranza e salvezza per noi e la nostra amata Siria”.

Non ci saranno addobbi pasquali a rendere visibile la Pasqua nei villaggi cristiani di Knayeh, Yacoubieh e Jdeideh. Così come non ci sono, oramai da anni, croci, statue e altri segni esteriori sulla chiesa del convento di san Giuseppe. 
“I jihadisti ci hanno vietato di indossare l’abito francescano” rimarca padre Hanna che poi rivela: “ci hanno proibito anche di distribuire dolci la Domenica delle Palme. Non vogliono che facciamo festa. Ma non ci toglieranno mai la gioia della Pasqua. Non potranno mai strapparci la nostra fede in Dio.
Ci dicono che siamo infedeli perché crediamo in un Dio uno e trino, in più Dei. Ma non importa, proviamo a spiegare loro, di far conoscere i fondamenti della nostra fede, è dura ma restiamo saldi”.


Sono lontani i tempi, prima della guerra, in cui “si poteva fare la processione all’esterno della chiesa e cantare ‘Osanna al Figlio di Davide’, agitare le palme. Oggi i nostri fedeli piangono a quel ricordo” ammette il parroco. Per lenire il dolore dei suoi parrocchiani padre Hanna sta pensando di mostrare loro le immagini via satellite delle celebrazioni del triduo pasquale presiedute da Papa Francesco, “non so se sarà possibile ma certamente
 per noi la vicinanza del Pontefice è un balsamo. Sapere che nella Chiesa si prega anche per noi ci aiuta a non sentirci soli, abbandonati a questo destino. Sappiamo di fare parte del grande popolo di Dio”
.

In questi anni di “persecuzione jihadista” la comunità cristiana di Knayeh, Yacoubieh e Jdeideh ha ulteriormente stretto i propri vincoli e si è ancora più unita.  “Alla processione delle Palme – afferma il parroco – verranno tanti giovani con le famiglie. Molti di loro cammineranno per chilometri per arrivare qui. Per le persone più anziane, impossibilitate a muoversi, abbiamo organizzato un servizio di auto con dei volontari che andranno a prenderle a domicilio”. Domenica anche nella roccaforte jihadista di Idlib si leveranno le Palme e si farà festa in attesa della Pasqua: “Con Cristo la morte è sconfitta – ribadisce padre Hanna – non ci toglieranno mai la gioia più grande.
E i giovani domenica lo grideranno forte, ‘non siamo vinti’”.

sabato 23 marzo 2019

Riflessioni quaresimali dai cristiani nelle catacombe siriane


Riflessioni di padre Hanna Jallouf, consegnate al S.I.R., che accompagneranno il cammino quaresimale verso la Pasqua.  Padre Hanna Jallouf è il parroco latino di Knayeh, villaggio siriano non distante proprio da Idlib. Francescano siriano della Custodia di Terra Santa, padre Hanna, 66 anni, è rimasto con il suo confratello Louai Bsharat a prendersi cura della sparuta comunità cristiana locale. Tutti i preti e i sacerdoti che c’erano sono fuggiti dopo che molte chiese e luoghi di culto sono stati distrutti o bruciati. Lo stesso parroco fu rapito, nell’ottobre 2014, con altri suoi parrocchiani da un gruppo islamista e poi rilasciato. “Come agnelli in mezzo ai lupi”, dice ricordando le parole del Vangelo.

1  Mercoledì delle Ceneri
 La Quaresima è un tempo di grazia durante il quale prepararsi alla Pasqua. Un tempo privilegiato per guardarsi dentro e rifare i conti con noi stessi davanti al Signore. Così come un bravo contadino che fa i suoi conti alla fine dell’anno per vedere come è andato il raccolto.
 Questo tempo è basato su quattro colonne: digiuno, preghiera, carità e pentimento.
 Ma spesso siamo soliti ricordare solo la carità e dimenticare il digiuno, la preghiera e il pentimento. Il nostro essere ha bisogno di uscire dal quotidiano di tanto in tanto, per rinnovarsi e per riscoprire il suo valore. Ma non si può fare questo passo se non seguiamo le quattro colonne della Quaresima.
La Chiesa ha semplificato il digiuno affinché ogni cristiano scelga il modo di passare questo periodo, per arrivare alla Pasqua del Signore. Cerchiamo di scoprire questa strada grazie alla parola del Signore che ci viene offerta ogni Domenica nell’Eucarestia.
 Da noi, qui in Siria, tanti cristiani ancora osservano la vecchia forma del digiuno, cioè prendere un pasto al giorno. Senza carne, senza pesce, senza grassi, senza latte e formaggi. Solo erbe e cereali conditi con olio. Essi praticano tante forme di pietà religiosa per arrivare alla festa di Pasqua rinnovati umanamente e spiritualmente.
 Cerchiamo, dunque, di vivere questo tempo per riscoprire la nostra fede e la nostra dignità cristiana”.

2  Guardiamo al deserto di Gesù
 Il deserto è il luogo della prova secondo la Bibbia, in cui il popolo di Dio ha imparato a fidarsi del Signore. Il deserto è anche il luogo dei grandi prodigi di Dio, dove Egli ha unito a sé il suo popolo.
 Gesù fa l’esperienza del deserto, spinto dallo Spirito Santo, perché possa il deserto porre le basi della sua missione di salvezza e mostrare che il maligno va sconfitto attraverso la piena fedeltà al Padre e la totale donazione ai fratelli. In tale modo Cristo inaugura il cammino, che ogni uomo deve compiere, per tornare al Padre.
 Quaranta anni, quaranta giorni, sono un tempo di purificazione e di rinnovo per riscoprire la nostra dignità umana. Un tempo per rigettare tutta la polvere che è stata accumulata durante il nostro cammino verso il Signore.
 Gesù esce vittorioso da questa prova, è perciò è modello e speranza anche per le molte tentazioni che la vita di ogni uomo incontra.
 In questo tempo particolare orientiamo il nostro cuore alla sobrietà, all’essenziale, al primato di Dio e alla sua parola, alla ricerca di ciò che realmente è necessario, guardando al nostro modello Gesù che nel deserto ha orientato il suo cuore.

3  All'improvviso una schiarita e si intravede la destinazione
 La Quaresima che abbiamo iniziato è un cammino diretto verso un avvenire di luce. Quando camminiamo per una strada, nel fondo di una valle, sotto il cielo piovoso, ci capita di non vedere più la mèta della nostra direzione. All’improvviso una cima, una schiarita: di nuovo riusciamo ad intravedere la destinazione. Abbiamo ritrovato l’orientamento. Ritorna il coraggio ed è possibile riprendere il cammino.
 Impegnati nel quotidiano della vita, abbiamo riconosciuto mediante la fede, che la vita può condurci a Dio, ma a volte le difficoltà ci sovrastano, ci sentiamo disperati.
 Allora ecco la trasfigurazione illumina la nostra via e la nostra vita. La trasfigurazione non è uno spettacolo a cui si è invitati ad assistere, ma una esperienza mistica che non si coglie con gli occhi della carne, dei sensi, ma con lo sguardo della fede. Mosè ed Elia sono lì a rassegnare le loro dimissioni e per di più ad accettare lo sfocio conclusivo del disegno di Dio, che si apre nel paese di Canaan, ma si chiude nel mondo della Resurrezione. Gesù si trasfigura, per dirci che in Lui sono compiute tutte le profezie e le leggi, e la sua resurrezione illumina la nostra strada nel mondo.
 Lo scandalo della croce diventa, trono e mèta di salvezza.
 Nella mia parrocchia, durante la Quaresima, prima di iniziare la Via Crucis, con la benedizione si recitano i salmi penitenziali. Si conclude la messa della reliquia della Santa Croce, in cui si dice: “La grazia del Signore sia sempre con voi. Il ricordo della Sua passione rimanga nei vostri cuori e il segno della Sua Croce vi protegga da ogni male, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”.

4  Quaresima: liberare il mondo dal potere del terrorismo
 Le letture di questa domenica ci parlano della necessità di convertirsi per non perire e portare frutti di bene nel mondo. Questi frutti hanno all’origine la chiamata divina, che ci chiede di cambiare il nostro cuore e di aprirlo al suo messaggio di salvezza per essere, nel luogo in cui Egli ci manda, suoi messaggeri. L’esempio ci viene da Mosè, il quale conduceva una vita tranquilla, quando Dio entra nella sua esistenza e gli affida una missione “impossibile”: Liberare Israele.
 Mosè, davanti al roveto che non si consuma, è il simbolo dell’uomo davanti alla trascendenza di Dio, e il simbolo dell’accettazione umile della chiamata divina a compiere una missione.
Davanti a questa visione, Mosè deve restare scalzo; il terreno su cui cammina è sacro, è in presenza del Santo del santi. E tale presenza richiede purezza, incontaminazione.
 Nulla di ciò che può condurre alla morte può esserci in chi è chiamato da Dio, altrimenti la sua missione rischia di fallire, di diventare vana. Tale purezza è essenziale per fare trasparire Dio; perché in ogni opera condotta nel nome di Dio, è lui che deve essere riconosciuto e non l’uomo.
 Anche noi oggi come cristiani, siamo chiamati ad una grande missione “impossibile”, liberare il mondo dal potere del male, dal potere del terrorismo, che aumenta giorno dopo giorno.
 La strada inizia da noi stessi, cioè ritornare all’origine della nostra credenza in Cristo Gesù unico Salvatore, combattere il male con il bene e non con le armi, combattere il male con il buon esempio.
Un giorno, un integralista musulmano, parlando con lui, mi disse: “Voi cristiani, vero che non avete portato armi contro di noi, ma ci avete ucciso con il vostro amore e con la vostra carità”.

Padre Hanna,  parroco latino di Knayeh-Siria

martedì 5 febbraio 2019

“Agnelli in mezzo ai lupi”: la testimonianza di padre Hanna dalla provincia di Idlib

Knayeh: croci abbattute anche sulle tombe
“Siamo agnelli in mezzo ai lupi. Letteralmente. Ogni sera ci addormentiamo affidando al Signore la nostra vita, perché potremmo essere assaliti sempre. Il mattino dopo ci svegliamo e vediamo che le nostre preghiere sono state esaudite… Allo stesso modo sentiamo la potenza delle vostre preghiere per noi. Il Signore non ci esaudisce facendo scomparire i lupi, quelli ci sono sempre, ma incredibilmente i lupi sono mansueti. Certo ci hanno costretto a togliere tutti i simboli cristiani e non possiamo manifestare la nostra fede pubblicamente; ci minacciano, mandano i ragazzini a lanciare pietre alle porte delle nostre case e delle chiese, ma la nostra vita è salva e continuiamo a vivere la quotidianità con impegno, nella speranza e nella fede”. 
La voce di padre Hanna Jallouf al telefono è serena, limpida, piena di quella speranza di cui ci racconta e che, dice, “vince su tutti i soprusi e le violenze che subiamo ogni giorno”.
Padre Hanna è francescano della Custodia di Terra Santa, uno degli unici due religiosi rimasti insieme alle comunità cristiane di Knayeh e Yacoubieh nella provincia di Idlib, dove si sono rifugiati circa 30.000 ribelli oppositori del governo di Bashar Al Assad. Nei mesi scorsi si era parlato molto di Idlib, l’ultima zona di resistenza dei Jihadisti governati da Jahbat Al-Nusra; inizialmente sembrava non vi fosse altra soluzione per il governo e gli alleati russi, se non quella di invadere l’area causando una carneficina di civili, poi invece si era parlato di un accordo tra Russia e Turchia, per la demilitarizzazione dell’area e il ritiro di tutti i combattenti ; a quel punto pareva si fosse giunti ad una decisione condivisa e si era smesso di parlarne.
Ma la questione è tutt’altro che risolta, la provincia di Idlib è ancora sotto Al-Nusra e le condizioni in cui vivono padre Hanna con il confratello Luai Bsharat e le comunità di Knayehe e Yacoubie sono precarie. 
Qui ATS pro Terra Sancta continua le attività di assistenza, di distribuzione di pacchi alimentari e beni di prima necessità e di accoglienza presso il convento di alcune famiglie senza casa. Queste attività sono “un aiuto fondamentale – ci dice ancora padre Hanna – per la comunità cristiana che senza di noi e senza il vostro sostegno non esisterebbe più qui. Per questo rimaniamo, la gente ha bisogno e guarda costantemente a noi”.
Non ha dubbi su questo padre Hanna, vuole rimanere con la sua comunità, nonostante ci dice, le cose potrebbero peggiorare presto.  “L’inverno è stato molto duro quest’anno – aggiunge – e ci sono state parecchie inondazioni. Ne hanno sofferto soprattutto quelli che vivono nei campi dei rifugiati della zona che non possono ricevere assistenza a causa di questa occupazione… E non migliorerà perché pare che le forze governative si stiano preparando, pensiamo attaccheranno questa primavera, non appena le condizioni climatiche miglioreranno e allora dovremo e dovrete pregare molto”.

martedì 25 settembre 2018

Nella tana qaedista di Idlib una sparuta comunità di Cristiani vive e testimonia la propria fede

Testimonianza dalla roccaforte jihadista di Idlib: “Resteremo cristiani fino alla morte”

Da Knayeh, non distante da Idlib, ultima roccaforte dei ribelli anti-Assad e dei jihadisti filo-qaedisti del fronte Hayat Tahrir al-Sham (al-Nusra), arriva la testimonianza dei pochi cristiani rimasti sostenuti dagli unici religiosi, due frati della Custodia di Terra Santa, rimasti al loro fianco, padre Hanna Jallouf e padre Louai Bsharat. Minacciati da rapimenti e omicidi, privati di case e terreni, tollerati nel culto sottoposto a rigide restrizioni: "Ai fondamentalisti diciamo che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte. Anche se nella sofferenza viviamo un tempo di grazia"

di Daniele Rocchi
Agensir, 25 settembre 2018

Ringraziamo il Signore che ancora siamo vivi”. La voce di padre Hanna Jallouf, 66 anni, francescano siriano della Custodia di Terra Santa, è quella dei cristiani che vivono nei villaggi di Knayeh, Yacoubieh e Gidaideh che si trovano nella zona di Idlib, nel nord della Siria, ultimo bastione degli oppositori al presidente siriano Assad e dei terroristi islamisti. Qui, a poca distanza dal confine turco, si sono concentrati, in questi anni di guerra, decine di migliaia di combattenti, anche stranieri, del fronte Hayat Tahrir al-Sham – gruppo jihadista di ideologia salafita, affiliato ad Al-Qaeda ed erede del meglio conosciuto Jabhat Al Nusra – decisi a non arrendersi all’esercito regolare siriano e ai suoi alleati russi e iraniani. Nei giorni scorsi si era parlato di un’imminente attacco volto alla riconquista della roccaforte jihadista poi rientrato in seguito al vertice di Sochi, sul Mar Nero, durante il quale il presidente russo Putin e il leader turco Erdogan hanno trovato un accordo per creare, intorno a questa area contesa, una zona demilitarizzata. L’accordo dovrebbe portare al “ritiro di tutti i combattenti radicali” da Idlib, scongiurando una crisi umanitaria di vaste proporzioni dal momento che nell’area vivono anche due milioni e mezzo di siriani, molti dei quali sfollati interni.
Una sofferenza comune. L’accordo ha fatto tirare un sospiro di sollievo a padre Hanna, e al suo confratello Louai Bsharat, gli unici religiosi cristiani rimasti a Knayeh e Yacoubieh, nei conventi di san Giuseppe e di Nostra Signora di Fatima. Allontanato per ora lo spettro di nuovi combattimenti, sul terreno restano i problemi di sempre e “condizioni di vita sempre più dure man mano che sale la tensione”.
Non sappiamo come andrà a finire – dice padre Hanna che è parroco latino di Knayeh – i ribelli non intendono né arrendersi né ritirarsi. Se lo facessero tutti noi che viviamo qui, cristiani e musulmani, ne trarremmo giovamento. Anche i nostri fratelli musulmani soffrono molto. Vengono costretti ad andare in moschea e a seguire pratiche che sono solo nella mente di questi fanatici”.
Cristiani vittime di rapimenti e omicidi. Dal canto loro i cristiani di Knayeh e Yacoubieh vivono rintanati in casa terrorizzati. “La paura è enorme per le nostre comunità già povere – dichiara il frate -. Gli aiuti non arrivano come un tempo e sono iniziati i rapimenti  non conosciamo gli autori di questi crimini, se siano semplici malviventi o membri delle milizie che controllano la zona. Alcuni giorni fa è stato rapito il nostro avvocato e la famiglia ha dovuto sborsare circa 50mila dollari per il suo rilascio. Una cifra enorme”. Anche padre Hanna ha vissuto l’esperienza del rapimento: venne prelevato da miliziani del fronte Jahbat Al-Nusra, nell’ottobre del 2014, con 16 parrocchiani. “Dopo diversi giorni sono stato riportato al mio convento di Knayeh”, ricorda il religioso.
Volevano costringerci alla conversione e prenderci il convento. Ma siamo rimasti saldi nella fede e tornati a casa più forti e motivati di prima”.
Adesso ai rapimenti si sono aggiunte le esecuzioni sommarie e gli omicidi: Il 19 settembre – rivela padre Hanna – un uomo, da sempre vicino alla nostra parrocchia, è stato ucciso. La sua unica colpa? Quella di aiutare i cristiani”. Nella comunità locale cresce la paura e nessuno vuole uscire più. “Nessuno va più a lavorare i propri terreni. Dentro casa si sentono più al sicuro”. Tuttavia i timori vengono messi da parte quando si tratta di andare a messa. “Ogni giorno vengono in chiesa almeno 50-60 persone. La domenica sono molte di più perché arrivano anche dai villaggi vicini. I cristiani che vivono nei tre villaggi – spiega padre Hanna – sono circa 1.100, tra latini, armeno ortodossi e greco ortodossi”.
La loro sofferenza non è di oggi. “Viviamo così dal 2011, dall’inizio della guerra. Qui sono passati tutti i gruppi di ribelli e terroristi, da Isis fino ad al-Nusra e Hayat Tahrir al-Sham – sottolinea il francescano -. Tutti i preti e i sacerdoti che c’erano sono andati via o fuggiti. Molte chiese e luoghi di culto armeni e greco ortodossi sono stati distrutti o bruciati. Tra questi anche il nostro convento di Ghassanie. Siamo rimasti due frati in due conventi e cerchiamo di assistere materialmente e spiritualmente i cristiani. La vita è difficile, manca praticamente tutto, i prezzi per acquistare i beni necessari sono altissimi. Non abbiamo elettricità e acqua corrente”.
I miliziani di al Nusra hanno preso le nostre terre, anche quelle dei conventi, e hanno cacciato i cristiani dalle proprie case per dare alloggio ai loro profughi e ai loro combattenti”.
Gli aiuti ai cristiani locali arrivano dalla Custodia di Terra Santa e dalla sua ong “AtsPro Terra Sancta”: “Ogni mese – racconta padre Hanna – riusciamo a dare alle nostre famiglie, circa 260, beni di prima necessità come medicine e latte oltre a voucher per acquistare gasolio per elettricità e riscaldamento, vestiti e libri scolastici. Abbiamo organizzato anche un servizio per portare i bambini a scuola. Le scuole non danno sostegno che per il Corano, l’arabo, l’inglese e la matematica. Ai nostri alunni diamo anche altro materiale di studio ma all’insaputa dei gruppi fondamentalisti che controllano la zona. Se lo sapessero sarebbe un guaio per noi”.
Testimonianza e martirio. 
Nella tana del fronte qaedista Hayat Tahrir al-Sham questa sparuta comunità di poco più di 1000 cristiani vive e testimonia la propria fede, anche se le restrizioni sono tante. 
Le nostre celebrazioni sono tollerate solo se svolte all’interno della chiesa, ma ci è vietato esporre all’esterno croci, statue dei santi, immagini sacre, suonare campane”, spiega il parroco, che poi rivela: “Due mesi fa sono stato convocato dal tribunale religioso dove mi è stato intimato di non vestire più l’abito da frate in quanto segno religioso indicante la fede cristiana. Così mettiamo il saio in valigia quando dobbiamo muoverci e lo indossiamo nelle zone dove ci è permesso”.
Padre Hanna sa bene che questo è il prezzo da pagare da chi ha scelto di    “restare tra la nostra gente e il nostro popolo. Restiamo saldi nella fede con la nostra comunità. Qui è nato il cristianesimo, qui sono le nostre radici. A 500 metri da Knayeh, nella strada che da Apamea portava ad Antiochia è passato san Paolo. Ai fondamentalisti diciamo che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte. I nostri avi sono nati e morti qui. Così faremo anche noi”.
 “La situazione è grave – conclude padre Jallouf – ma continuiamo a pregare e sentiamo ogni giorno sentiamo la mano di Dio che veglia su di noi. Preghiamo per la pace in Siria, perché finisca questa strage inutile.   Abbiamo paura del futuro ma nel dolore e nella sofferenza viviamo un tempo di grazia”.