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sabato 15 aprile 2017

Verrà la Pasqua anche in Siria (?)









«Lasciate il nostro popolo libero di risorgere». Parlano i cristiani Khaled Salloum, Mons Abou Khazen, Padre Mounir, Nabil Antaki


di Leone Grotti

Anche quest’anno, il sesto consecutivo, a Pasqua i siriani si identificheranno più nella passione che nella risurrezione. E dire che le premesse sembravano buone: a dicembre il governo di Bashar al Assad, con l’aiuto della Russia e degli alleati sciiti, ha riconquistato Aleppo e cacciato da Palmira lo Stato islamico. I jihadisti indietreggiano e perdono terreno. La Turchia ha annunciato a fine marzo la conclusione dell’operazione Scudo sull’Eufrate (non proprio un successo), i colloqui di pace faticosamente vanno avanti e l’ambasciatrice americana presso le Nazioni Unite, Nikki Haley, si è lasciata finalmente sfuggire parole che a Damasco si attendono dall’inizio della guerra: «Non dobbiamo necessariamente concentrarci su Assad, come la precedente amministrazione. La nostra priorità è capire come far finire la guerra, con chi dobbiamo lavorare per fare davvero la differenza per il popolo siriano»

Tacitamente, ma inesorabilmente, davanti agli occhi dei siriani andava materializzandosi un sogno: la fine della guerra e la definitiva sconfitta delle milizie ribelli e jihadiste. Cinquantanove missili Tomahawk a stelle e strisce hanno spazzato via nottetempo questa immagine felice, causando un brusco risveglio a chi, come
Khaled Salloum, sperava che Donald Trump «avrebbe agito diversamente da Barack Obama». L’ingegnere cristiano di 66 anni, oggi in pensione, abita a Homs, nella Valle dei cristiani, a una sessantina di chilometri dalla base aerea governativa di Shayrat, pesantemente danneggiata dal raid americano, che ha anche causato la morte di almeno 15 persone. «Non ci aspettavamo un attacco così diretto da parte degli Stati Uniti – confessa a Tempi – ma non credo che la situazione cambierà molto: è da anni che finanziano e armano gruppi di terroristi. E visto che questi non sono riusciti a vincere la guerra, ora intervengono direttamente. Trump parlava diversamente da Obama, ma ormai lo sappiamo: gli americani non possono mai essere presi sul serio».

Il presidente repubblicano, che ha ordinato l’offensiva dalla Florida prima di mettersi a tavola con il suo omologo cinese Xi Jinping, ha voluto così «rispondere all’orribile attacco chimico contro civili innocenti con cui Assad ha stroncato la vita di uomini, donne e bambini». È dalla base di Shayrat infatti che si sarebbero alzati in volo gli aerei che avrebbero ucciso circa 70 persone a Idlib. Il condizionale è d’obbligo, visto che nella provincia governata dai jihadisti di Al Nusra (ora hanno cambiato nome ma restano la branca siriana di Al Qaeda) non ci sono giornalisti e l’unica fonte di informazioni sull’attacco è quell’Osservatorio siriano per i diritti umani che parteggia per i ribelli contro Assad.

«Non c’è diritto d’ingerenza»
«È sempre la stessa storia. Hanno fatto lo stesso in Iraq, in Libia e ora in Siria. Purtroppo l’ipocrisia degli Stati Uniti non cambia mai. L’attacco chimico è solo una scusa. Se volevano sapere davvero che cosa è successo, perché non hanno inviato una commissione? Perché non hanno mandato una squadra per capire chi sono i responsabili?».
Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo, non si dà pace. Il raid americano lo ha lasciato sgomento e arrabbiato. «Noi dobbiamo domandarci: a chi giova questo attacco chimico?», si sfoga con Tempi. «Chi avvantaggia? Non la Siria, non Assad ma i terroristi islamici. Io l’ho sempre detto: non si può cantare vittoria, con gli americani bisogna aspettarsi di tutto. Perché vogliono decidere loro per noi? Perché non lasciano che sia il popolo siriano a scegliere da chi vuole essere governato?».
Anche Nabil Antaki, medico di Aleppo ovest che ha vissuto sulla sua pelle la tragedia dell’assedio da parte dei ribelli e la gioia della riunificazione, non riconosce alcuna superiorità morale a Washington. «Che diritto hanno gli Stati Uniti di bombardare la Siria?», risponde a Tempi via mail in uno dei pochi momenti della giornata in cui è disponibile l’elettricità. «Chi li ha nominati poliziotti globali? Questo famoso “diritto d’ingerenza” non è semplicemente il diritto del più forte di intervenire a casa degli altri senza il loro consenso? La popolazione di Aleppo è in collera e abbiamo anche paura che scoppi una terza guerra mondiale». Mentre gli alleati di Damasco, Russia e Iran, promettono infatti che non resteranno a guardare («risponderemo se verrà ancora superata la linea rossa»), l’ambasciatrice americana Haley rincara la dose: «Non ci sarà soluzione politica con Assad alla guida del paese. Siamo pronti a intervenire ancora».

 «Dovete dire la verità»
Dalla capitale economica della Siria a quella politica il sentimento della gente è sempre lo stesso.
Padre Mounir, 33 anni, è originario di Aleppo, ma dopo essere entrato nell’ordine dei salesiani, e ordinato sacerdote quattro anni fa a Torino, è andato a svolgere il suo ministero a Damasco, dove si occupa in oratorio di oltre 1.200 giovani. Ha deciso lui di tornare in Siria: «Non vedevo l’ora», racconta a Tempi. «Non ho mai pensato di rimanere in Italia, anche se i miei genitori e la mia famiglia sono scappati e hanno dovuto lasciare Aleppo per la Germania. Hanno cercato di convincermi ma più infuriava la guerra, più desideravo di tornare a servire il mio popolo in difficoltà». Per padre Mounir l’attacco chimico è una «fake news». «I siriani sono arrabbiati, delusi e pensano tutti la stessa cosa», dice il sacerdote. «Il governo non è stupido: perché dovrebbe fare una cosa simile e rivitalizzare i suoi avversari? La verità è che gli Stati Uniti vogliono favorire l’Isis, ridare loro entusiasmo dopo le ultime sconfitte per mano del governo e dei russi. La gente non fa altro che parlare dell’Arabia Saudita e della Turchia, che hanno esultato all’indomani dell’offensiva americana. Qui anche i bambini sanno che senza questi sponsor internazionali la guerra sarebbe già finita. Ma se serviva una conferma, è arrivata». Chi, dopo sei anni, sembra ancora non capire, è l’Occidente: «Questa non è una guerra civile. Se Europa, America e paesi del Golfo smettessero di armare i terroristi, gli scontri finirebbero subito. Voi giornalisti avete un’enorme responsabilità: dovete dire la verità e dare voce al popolo siriano, non solo agli alleati dei governi europei. Purtroppo è difficile trovare un giornale occidentale che faccia questo lavoro».

 «Eppure continueremo a lottare»
Ora i siriani sono divisi tra rassegnazione e voglia di reagire. L’ingegnere di Homs,
Salloum, rientra sicuramente nella seconda categoria. «Siamo circondati da forze e milizie straniere che entrano nella nostra terra per conquistarla. Ma noi non la abbandoneremo e resisteremo», continua. «Dopo sei anni di guerra nessuno ha più paura, tutti hanno visto in faccia la morte e ormai non ci importa più. Non sarà bello da dire, ma io preferisco morire piuttosto che vedere comandare chi usurpa casa mia».
Certo continuare a sperare in una risoluzione pacifica del conflitto che lasci la Siria intatta, senza smembrarla in stati e staterelli confessionali, è arduo. Anche per un prete alle porte della Pasqua. «Davanti ai giovani cerco sempre di mostrarmi speranzoso, ma dopo questo attacco dentro di me faccio fatica a credere che anche la Siria prima o poi conoscerà la risurrezione pasquale», ammette. «Eppure il popolo siriano ama la vita e ha ancora voglia di lottare. Le celebrazioni di questi giorni, che noi siamo liberi di fare in chiesa e per strada al contrario di quanto avviene in tanti paesi del Medio Oriente, ci aiuteranno ad andare avanti».


Anche il medico Antaki, membro laico dell’ordine dei frati maristi blu, attende la Settimana Santa per non arrendersi alla disperazione: «Malgrado il pessimismo che ci circonda, celebreremo ugualmente la Pasqua nella speranza della risurrezione, della fine della guerra. Se noi non avessimo creduto alla speranza che solo Gesù porta, avremmo abbandonato il nostro paese da tempo e ce ne saremmo andati come milioni di altri siriani».

martedì 11 aprile 2017

Un siriano ci scrive: 'le bombe e il nostro appello'


Sono un siriano fuggito da Aleppo cercando una terra sicura per proteggere i miei bambini: un missile dei ribelli ha colpito la mia casa lasciando molti danni oltre il terribile spavento che hanno preso i miei bambini, queste condizioni mi hanno costretto a lasciare il mio paese dopo cinque anni dall'inizio della guerra....
  Nel paese ospitale Italia da quando sono arrivato mi sono messo in contatto con i parenti in patria per aggiornarmi sulle ultime notizie della mia città quasi tutti giorni, con l'intenzione di tornare in patria appena tutto sarà ristabilito. Nessuno può negare quanti sacrifici l'Esercito Nazionale ha sopportato fino ad oggi in questa guerra per rendere la terra di Siria una terra pura priva di qualsiasi tipo di terrore; finalmente quattro mesi fa circa, Aleppo tutta è stata liberata grazie all’Esercito Nazionale e non solo Aleppo ma anche sono state liberate Palmira, i dintorni di Homs, Hama e molte altre zone. Questo è un motivo importante per cui io sto pensando sul serio di ritornare in patria. 
 Sul telefono in linea c’era mio fratello di Aleppo dicendo “Aleppo tutta tranquilla, Aleppo non è più con le bombe potete tornare quando decidete”, appena finito questo discorso il giorno seguente scoppia la storia del bombardamento con il gas di cui è accusato il governo siriano e Assad. Eppure, tutti sappiamo che l’Onu ha chiesto al governo siriano di distruggere le armi chimiche e che le ha distrutte tutte. Tutti noi sappiamo che il deposito di queste armi con gas si trova in zona controllata dai terroristi quindi i siriani non sono colpevoli di questi armi, l’Occidente anziché accusare Assad di bombardarli non era meglio che si domandasse come hanno fatto ad arrivare queste armi pericolose fino qua?! attraverso la Turchia , Giordania, altro..
  Anziché fare questa ricerca, il presidente americano con una decisione singolare da parte sua, lancia suoi missili colpendo una base siriana come castigo, ma è possibile accettare questo fatto? Più si avvicina l’Esercito Siriano Regolare a pulire la Siria e più l’Occidente e gli USA trovano una scusa per parlare di nuovo di eliminare Assad, non sanno che Assad combatte oggi contro ottanta nazionalità di fanatici da tutto il mondo orientale e occidentale? Vengono per morire in terra siriana per raggiungere le sirene!! Fondamentalisti che nel nome della religione hanno distrutto questo mio paese Siria, il paese ricco di radici di storia e civiltà, il paese fatto per il ricco e il povero dove un chilo di pane costava venti centesimi e dove conviveva il cristiano a fianco del musulmano e tutto un tessuto di diverse etnie sono tutti sotto l’ombrello della tolleranza. 
 Io sono un siriano, ho imparato nelle scuole siriane e mi sono laureato in Università siriane pagando una quota simbolica, e tuttora dove governa Assad la gente vive in condizioni dignitose mentre dove governano i terroristi si trascorre la vita nel terrore. Perchè il paese cosi è ricco di tutto non vogliono lasciarlo in pace? Oggi organizzazioni islamiche combattono in terra siriana mentre gli Usa dicono “bisogna eliminare Assad”, ma io vi chiedo: eliminato Assad chi comanda al posto suo?, lasciamo il paese per l’Isis o lo lasciamo comandato dall' Islam fanatico o da chi altro??
Insomma ogni tanto una storia viene esplosa e gli Usa la utilizzano come scusa per continuare questa guerra, stasera addirittura leggo che si preparano a fare ancora altri attacchi alla Siria inventando qualche altra storia di bombe chimiche... 
 Da siriano, vi dico che io spero di poter tornare in patria e spero dal mondo che lasci la Siria in pace con il suo governo con la sua sovranità, finitela di voler decidere per noi. 
 Noi siriani perdiamo la nostra identità quando siamo all’estero vogliamo tornare, ma basta vittime, la morte è diventata un fatto di vita quotidiana , vi chiediamo solo : basta guerra, basta basta...

Joseph M.

venerdì 7 aprile 2017

Gli USA attaccano la Siria, senza attendere la raccolta delle prove circa l'attacco chimico a Idlib

In questo momento di grave preoccupazione per l'aggressione di questa notte da parte USA alla Siria sovrana,  sottoscriviamo il comunicato della  RETE NOWAR ROMA


"Le dichiarazioni della rappresentante degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, secondo cui gli USA potrebbero scatenare un intervento militare diretto in Siria anche senza l'autorizzazione dell'ONU, le analoghe dichiarazioni bellicose della UE e della NATO, le minacce al Presidente siriano Assad di Israele e Turchia , prefigurano un drammatico scenario di guerra ed allontanano ogni soluzione alla crisi siriana e Medio Orientale.
Già nel 2013, in occasione di un presunto attacco chimico dell'Esercito Siriano alla periferia di Damasco, rivelatosi poi una  provocazione  organizzata dai gruppi terroristi in difficoltà per causare un intervento armato degli USA a loro favore, si sfiorò una guerra aperta con il coinvolgimento di varie potenze. Il precipitare della crisi fu evitato da un oculato intervento della diplomazia russa. Pur incolpevole, la Siria accettò di eliminare per intero tutto il suo arsenale di sostanze e armi chimiche.
Oggi la storia si ripete con una nuova provocazione che riguarda l’accusa di un attacco chimico sulla provincia siriana di Idlib, da vari anni sotto il controllo dei terroristi di Al Qaida sostenuti da Turchia, Arabia Saudita, Qatar, da vari paesi occidentali e Israele.
Le accuse al governo siriano  provengono dalla stessa Al Qaida, da agenzie legate a paesi aggressoricome il Qatar e l’Arabia Saudita - Al Jazeera e Al Arabya - e da un’agenzia di notizie situata in Inghilterra (Osservatorio Siriano per i Diritti Umani - SOHR) che collabora da anni con i gruppi terroristi che tentano di destabilizzare la Siria. Questa è stata subito affiancata da ONG  dagli stessi indirizzi, come gli "Elmetti Bianchi", fondati da membri del servizio segreto britannico  e Medici Senza Frontiere, fondati dall’ex ministro degli esteri francese Kouchner, partecipe delle avventure belliche del presidente Sarkozy.
Nessun ragionamento viene fatto dai nostri mass media, come sempre al servizio dei governi occidentali e della NATO, sulla circostanza che il governo siriano, nel momento in cui stava prevalendo militarmente e aveva ricevuto persino un esplicito riconoscimento da parte dell'amministrazione Trump per bocca del segretario di Stato Tillerson e della rappresentante USA all'ONU Haley, non aveva alcun interesse ad essere rimesso sul banco degli accusati con un'azione  senza senso e autolesionista.
Né si tiene conto delle dichiarazioni di parte russa e siriana, basate su rilievi satellitari, per cui l’esplosione è stata causata da un bombardamento siriano su quello che è poi risultato essere un deposito di armi chimiche allestito dai terroristi, né delle dichiarazioni di  testimoni locali, come il vescovo di AleppoCome numerose altre provocazioni terroristiche precedenti, in Siria e nel mondo, lo scopo della coalizione guerrafondaia di neocon, neoliberal, Israele, UE e Nato, è ancora una volta di chiudere qualsiasi  ipotesi di soluzione giusta in Siria e di ostacolare ogni dialogo costruttivo con la Russia. 
Invitiamo tutti i cittadini amanti della pace alla massima vigilanza, a valutare attentamente e contrastare le  false notizie diffuse per giustificare attacchi militari, come già avvenuto ad esempio in occasione delle presunte "armi di distruzione di massa" di Saddam. I propalatori di quelle false notizie, come Tony Blair (ufficialmente riconosciuto come bugiardo da una commissione parlamentare britannica) e George Bush, responsabili di milioni di morti, non hanno mai pagato per i loro crimini e anzi hanno ricevuto incarichi prestigiosi e ben remunerati. Il Presidente Assad, nominato con un regolare processo elettorale, è invece definito dittatore, come tutti coloro che difendono l’indipendenza del proprio paese dalle mire imperiali dei potentati occidentali, ed accusato, senza prove, di essere un criminale.
Invitiamo tutti i cittadini ad opporsi in ogni modo ai pericoli di guerra.
La guerra è una strada senza ritorno.

RETE NOWAR ROMA


Usa attaccano la Siria. Mons.Abou Khazen: «Perché vogliono decidere loro per noi?»



«È sempre la stessa storia. Hanno fatto lo stesso in Iraq, in Libia e ora in Siria. Purtroppo l’ipocrisia degli Stati Uniti non cambia mai». È sgomento e arrabbiato monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo, commentando a tempi.it l’attacco missilistico di questa notte con cui gli Stati Uniti hanno inflitto «pesanti danni» alla base siriana di Al Shayrat, da dove secondo l’intelligence americana sarebbero partiti i jet di Bashar al-Assad carichi di armi chimiche....
«Noi dobbiamo domandarci: a chi giova questo attacco chimico?», non si dà pace monsignor Abou Khazen. «Chi avvantaggia? Non la Siria, non Assad ma solo i jihadisti. E loro fanno vedere solo quello che vogliono, hanno in mano tutta la propaganda e il mondo intero gli va dietro». La città di Aleppo è da poco stata liberata dall’assedio dei terroristi (dicembre 2016), ma per la Siria non c’è pace: «Io l’ho sempre detto: non si può cantare vittoria perché con gli americani bisogna aspettarsi di tutto. Perché vogliono decidere loro per noi? Perché non lasciano che sia il popolo siriano a scegliere da chi vuole essere governato?».
Dopo la grande paura di stanotte il popolo siriano è «indignato, triste. Che cosa le devo dire? Ringraziamo tutti gli americani e gli inglesi, anche perché l’Isis ha appena ricominciato ad attaccare qui vicino. Forse non è un caso. La verità è che gli americani vogliono arrivare a conquistare i giacimenti di petrolio e gas. E non è certo la prima volta che ci attaccano: quando hanno attaccato la centrale elettrica qui vicino, che forse non riusciremo più a sistemare, qualcuno ha protestato? No, nessuno ha aperto bocca. E non è forse un crimine? Che cos’è, anche quello un atto umanitario?».

http://www.tempi.it/usa-attaccano-la-siria-abou-khazen-perche-vogliono-decidere-loro-per-noi#.WOdYTfnyiM8

martedì 4 aprile 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (5) San Paolo, il dramma e la promessa


Il mio viaggio si conclude a Tabbalè, al Memoriale della conversione di san Paolo.
Qui, tra una frotta di bambini giocosi, raccolgo l'appello accorato di padre Raimondo, vicario del vescovo latino di Siria a Damasco.

  “Da due mesi abbiamo iniziato un progetto umanitario, che riguarda bambini cristiani e musulmani che sono cresciuti durante la guerra della quale stiamo entrando nel settimo anno.
Il progetto prevede un percorso di assistenza psichica, studiare lo stato psicologico e la condizione mentale del bambino, condotto da nostri ragazzi che sono stati preparati per questo programma. Abbiamo 80 bambini, di cui 22 di famiglie musulmane e abbiamo scoperto che questi bambini ne hanno più bisogno dei bambini cristiani, perché si trovano in un ambiente famigliare dove si ascoltano ripetutamente voci come “ammazzare, jihad, guerra” e hanno perso molti parenti. È un ambiente malato, un bambino di sei anni che quindi è cresciuto sempre lì, potete immaginare come ragioni; abbiamo bambini chiusi, bambini che hanno bisogno di mangiare, bambini senza autostima, pieni di preoccupazioni e di paura.
Con questa iniziativa tentiamo di creare un'apertura: presso di noi giocano e i nostri responsabili cercano di parlare ad ognuno e vedere i problemi di ciascuno, perché non è un progetto di gruppo ma mira a un rapporto personale con i bambini che hanno più bisogno di affetto, assistenza e talvolta anche di un medico.
Ci sembra importante permettere a bambini cristiani e musulmani di vivere insieme in un ambiente protetto: solo questo potrà far tornare come prima la situazione, perché quando un bambino musulmano gioca con uno cristiano lo veda come un amico.
La zona in cui stiamo noi, Tabbale', è una zona molto povera, anche di forte immigrazione da altre zone della Siria, alcuni vengono da Jaramana o Duelah altre due zone povere.
 Gli educatori sono ragazzi cristiani assunti stabilmente, e anche questo è un modo di sostenerli pagando loro un mensile. Le attività si svolgono due volte alla settimana: il venerdì e il sabato dalle nove fino alle due, e fanno una piccola merenda. È importantissimo che i bambini facciano l'esperienza di giocare insieme, gioire insieme e anche soffrire insieme, perché la sofferenza non è per i cristiani o per i musulmani, tutti hanno sofferto: la bomba quando cade, cade su tutti, musulmani e cristiani.
 Questo convento francescano del memoriale di San Paolo, fu voluto dal beato Paolo VI nel 1964 quando incontrò il patriarca Atenagora in Gerusalemme. L'obiettivo di questo convento, come è scritto nella convenzione tra la Santa sede e la Custodia di terra Santa, è di essere un luogo di incontro ecumenico, un centro di studi su San Paolo e anche per ricevere i gruppi che venivano a visitare i luoghi santi in Siria: prima della guerra avevamo sempre molti stranieri, Italiani, Tedeschi, Americani che venivano come turisti; adesso invece riceviamo i Cristiani siriani fuggiti da zone come Hassake, Qamishli, Aleppo. Molti sono di passaggio per andare in Libano aspettando il visto per partire. Riceviamo anche dei malati di cancro: in questo momento abbiamo cinque casi che provengono da Aleppo e non avrebbero un luogo dove stare nel tempo delle cure.
La guerra quindi, ci ha trasformati da luogo di passaggio per pellegrini a un luogo di accoglienza per malati, bisognosi e rifugiati, offrendo loro un'ospitalità fraterna.

Penso che le parole di San Paolo oggi siano attualissime: “Perché mi perseguiti? Perchè ammazzare cristiani?”. I cristiani in Siria sono persone pacifiche, gente che ama il Paese, che qui si sente nella sua casa originaria, ma certamente oggi non si sente tranquilla.
 Abbiamo tanto bisogno di una stabilità, politica ed economica, abbiamo bisogno di lavoro e che le famiglie possano tornare a vivere insieme.
Ogni mese facciamo un incontro tra 20 famiglie; abbiamo notato il loro bisogno di incontrarsi per avere forza, che traggono in larga misura dalla parola di Dio.
 Devo dire che sono davvero stanchi; cercano una via di uscita da questa situazione, sognano di andare via, in Europa, ma noi insistiamo perché restino qui, perché veramente c'è bisogno di ognuno: abbiamo perso tanti dottori, tanti ingegneri, tante persone specializzate, professionisti... La nostra vita pastorale è in crisi perché constatiamo la mancanza di giovani; sentiamo fortemente anche il dispiacere delle ragazze cristiane che non trovano un fidanzato: la proporzione è di 10 ragazze ogni 3 ragazzi. Anche questo fa parte della mancanza di prospettive, insieme al fatto che appena finiscono l'università i ragazzi partono per l'estero. La paura del servizio militare e soprattutto della morte li spinge a fuggire. Quindi assistiamo alla crisi della famiglia, oltre a quella del lavoro: "che futuro avranno qui i nostri bambini?" si domandano.
La Chiesa certo cerca di aiutare dando soldi e aiuti ma non può dare la stabilità, la sicurezza: queste possono venire solo dallo Stato.
  Cosa possiamo fare noi cristiani d'Italia?
Prima di tutto potete, dovete, parlare: anzitutto fare azioni per fermare la guerra, e poi aiutarci nell'educazione. Nelle scuole del nostro paese occorre una riforma del piano educativo e dei contenuti dell'educazione, quindi occorre trovare il modo di aiutare la formazione di una nuova mentalità.
 Vi siamo grati se ci aiutate materialmente, ma ancora di più se incoraggiate i nostri giovani a ritornare nel loro Paese.. dite loro: “ritornate in Siria, nella vostra patria, noi saremo con voi, vi aiutiamo ma restate nella vostra casa, tra la vostra gente; vai a casa tua, nella tua cultura, nel tuo ambiente”. Se voi trattenete i cristiani lì, noi perdiamo cristiani in Oriente, ma se non ci sono più cristiani in Oriente questo colpisce e danneggia l'Occidente. Se noi perdiamo l'Oriente come luce della fede cosa ci resta? Perché perdendo i cristiani dell'Oriente perdiamo i luoghi, le chiese, la cultura, la civiltà cristiana e quella capacità di essere un ponte di pace, di rappresentare una presenza capace di rasserenare e mediare, anche tra i musulmani stessi!
 È importante per l'Occidente non perdere casa nell'Oriente: che rapporto ci può essere per l'Occidente con l'Oriente se non tramite i Cristiani? Se non avete i Cristiani, cos'avete voi qui in Oriente? Avete i soldi, il petrolio, ma non avete il cuore.
E poi non è razionale: voi prendete una famiglia in Italia, pagate 2000 euro al mese per mantenerla, ma molto meglio se voi gli dite: “andate a casa vostra e noi vi diamo la stessa cifra, ma restate a casa vostra in Siria e lavorate e noi saremo contenti.”
 La Chiesa cattolica vive con due polmoni, se ne perde uno non è Chiesa completa, è malata, Questo vale per tutta la Terra Santa. Gli italiani hanno un cuore molto buono, molto umano verso la Terra Santa: anche durante la guerra tanti italiani hanno aiutato, hanno sostenuto la Chiesa siriana, però adesso quello che vi chiedo è di aiutarci a restare in Siria!
Parlate, scrivete la verità: l'Europa deve essere contro la guerra, perché questa guerra è contro l'uomo, contro l'umanità e la civiltà.”


 Il buon padre Raimondo ha ragione: veramente, la Siria sta diventando come una vedova senza figli.
Realmente la gente è al limite del perdere la speranza, per tante ragioni: dalla mancanza di lavoro al caro vita, dall'insicurezza presente e la pesante oppressione delle mafie (incentivate dalle sanzioni) allo stillicidio quotidiano di attentati che fa presumere un infinito instabile futuro, al servizio militare che per taluni è un incubo che si protrae da 6 anni … L'aumento del caro-vita è legato anche alla svalutazione della lira che è giunta da 50 a 500 lire per un dollaro, a sua volta legata ai vincoli bancari e all'embargo. Il nostro amico Joni, di cui sosteniamo il progetto "Fabbrica di cioccolato" ,  mi ha appena raccontato la grande difficoltà a reperire le materie prime per portare avanti un'attività artigianale di auto sussistenza!
 Mi dicono alcuni cristiani che a Qamishli è in atto una emorragia terribile, in alcune zone come nella regione del Jazeere forse non ci sono neanche più cristiani perché i curdi stanno facendo una pulizia etnica.
Del resto, alcuni paesi europei come il Belgio operano la politica di far riunire le famiglie anziché metterle in condizione di rientrare in patria. La gente guarda quindi speranzosa verso il Belgio, la Germania, il Canada, l'Australia, cioè quei paesi che favoriscono il ricongiungimento familiare. Alcuni paesi danno lo status di rifugiato a condizione di restare almeno cinque anni: questo significa che i figli lì crescono, si radicano, magari trovano un lavoro e quindi difficilmente torneranno.
 Sono allibita quando mi raccontano che in Aleppo, dove nel sollievo generale è finito l' incubo dei bombardamenti continui da parte dei ribelli, ci sono state ben 11.226 vittime civili nei quartieri ovest che erano nelle mani del governo: di queste nessuno ha mai raccontato niente. E, finite queste ostilità, si sono scoperti 20.000 bambini con parenti ignoti e ciò, oltre al dramma per i bambini, è anche un problema giuridico perché non essendo registrati non risultano neppure nelle liste come cittadini del governo. E' uno dei frutti terribili del jihad del sesso e anche della mancanza di uomini, lontani per la guerra, per cui le madri adesso non riconoscono il figlio davanti alla legge. Questo è stato appurato in Aleppo, quindi figuriamoci quanti ce ne sono raminghi in giro per la Siria! Ed emerge drammatico anche un altro problema, quello degli anziani che rimangono da soli, con tutti i problemi di un anziano in una situazione come questa.
  I Cristiani comunque hanno le idee chiare su come guardare oggi 'la rivoluzione': riconoscono che su molti punti vi era uno scontento, che il governo non si può definire veramente democratico, ma si chiedono: "forse al Nusra è democratico? Quella che l'Occidente sostiene come 'opposizione democratica' ha a cuore la libertà e il bene delle singole persone? E forse che ISIS porta i diritti umani? L'Occidente insiste sulle minoranze: ma i gruppi jihadisti che l'Occidente foraggia hanno rispetto per le minoranze? Se crolla il governo, dove si va a finire?”. 
 “Si erano iniziati dei passi ma proprio l'apertura del paese non piaceva ai fratelli musulmani e a tutti coloro che hanno una visione cieca coranica. Occorre certamente un'apertura di libertà, ma il modo di appoggiare il cambiamento non poteva essere quello delle armi e della distruzione del paese, nessun cambiamento può essere fatto non riconoscendo un governo e l'integrità della nazione. Questa guerra ci è stata imposta da altri, noi siamo solo terreno di gioco di altri interessi, e di coloro che l'hanno alimentata scatenando il fuoco religioso settario”.  Molti sono convinti che Israele è il maggior responsabile del mantenimento dell'instabilità della Siria. Tutti chiedono di lasciare che la Siria da sola possa prendere le sue decisioni, senza interferire accampando false difese di diritti umani e di processi democratici. Anche tra quelli più critici verso l'attuale governo si guarda alle proposte di nuova costituzione con la speranza di veder affermarsi una Siria moderna, una Siria laica e pluralista, dove tutte le minoranze, tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti e gli stessi doveri. Questa sarebbe veramente il realizzarsi di tante aspirazioni e anche il conforto chè tutti i sacrifici che sono stati sopportati infine non saranno andati perduti.

Avevo tanto desiderato pregare davanti all'icona miracolosa di Soufanieh e conoscere Myrna, la veggente; il carissimo abuna dottor Abboud mi accompagna e mi aiuta con l'arabo a porle la domanda che mi ha condotto in questo viaggio: “per quale Mistero proprio alla diletta Siria è toccata tutta questa immane sofferenza?”. Myrna mi risponde che un messaggio della Madonna annunciava: “I giorni duri arriveranno, ci saranno divisioni anche dentro le Chiese”.... “La Madonna sapeva quello che sarebbe accaduto alla Siria e voleva prepararci per avere una fede salda. Anche i responsabili religiosi della Chiesa hanno occhi ma non vedono, hanno orecchi a non sentono. La Madonna ci ha chiesto tanto di essere uniti, ma noi con tutta la crisi che viviamo siamo ancora divisi, non riusciamo ad essere uno accanto all'altro”.  Anche lei mi racconta episodi di conversione e di meravigliosa testimonianza di siriani espatriati nel mondo, diventati fari di luce in angoli della nostra buia Europa.

Prima di partire, riesco a passare qualche momento di preghiera nella Casa di Anania tra pietre testimoni della certezza di Saulo, qui toccato dall'incontro personale con Cristo che non abbandonerà mai la Sua Sposa.

Passando sotto il muro della Grande Moschea degli Omayyadi mi vien fatto notare un frammento di quel tesoro enorme che è la Siria cristiana: un bassorilievo incastonato con l'immagine di Cristo e la scritta in greco “Il tuo regno o Cristo è un regno eterno. E il tuo dominio durerà da generazione a generazione”.

Hayatik yubarek alrrab , Rabna Yahmikum ya A3izai.
    Fiorenza

venerdì 31 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (4) I cristiani si interrogano -2°parte


     2° parte, leggi la prima parte qui 

A Damasco oggi è un giorno flagellato da orribili attentati, vengo accolta perciò in un quartiere periferico da una meravigliosa famiglia cristiana nella quale faccio l'esperienza dell'accoglienza affabile dei siriani verso una persona sconosciuta abbracciata come un'ospite di onore.
 Ho così l'occasione di incontrare un gruppo di ferventi cristiani, coinvolti in un'esperienza di adesione personale e radicale alla fede dalla paternità intelligente del Padre dott. Chihade Abboud (abuna Chihade) che prima era il loro parroco e che ora in un diverso servizio sostiene e sorregge altri giovani cogliendone e valorizzandone i desideri, le idee, le speranze, i meriti.
 Hussam fa di mestiere il parrucchiere e mi racconta la sua straordinaria esperienza di conversione, grazie ad un miracolo ricevuto: “Il 25 settembre 2009 ero nel mio negozio quando ho avuto un infarto, il mio amico Issa mi ha praticato il massaggio cardiaco, quando sono arrivato l'ospedale il mio cuore era già fermo da 20 minuti ma con lunga stimolazione cardiaca ha ripreso. Mentre ero in coma ho visto la Santissima Madre di Dio e tre persone dalla brutta faccia, io chiamavo la Madonna e lei li ha cacciati, mi ha preso per mano e io mi sono visto nella vita. Da quel momento ho percepito che la mia vocazione era essere strumento di Dio per diffondere la Sua parola, io non so parlare, quello che dico è opera Sua. I miei genitori erano morti e da allora Maria e Gesù sono mia madre e mio padre. Nel tempo trascorso in ospedale, i medici dicevano che se anche fossi sopravvissuto avrei avuto delle gravissime menomazioni. Io non sapevo né leggere né scrivere e invece ho imparato a leggere dal Vangelo fidandomi di quello che dice 'chiedete prima il regno dei Cieli e tutto il resto vi sarà dato in sovrabbondanza, parlerete ma sarà lo Spirito Santo che parla in voi'. Prima ero un bestemmiatore, adesso nessuno davanti a me può dire una  parolaccia. Come dice San Paolo, l'amore può spostare anche le montagne, Ed io sento che quello che dice San Paolo 'guai a noi se non evangelizziamo' è diventata la mia missione”.
 Ogni giorno Hussam nel suo negozio ha un canale cristiano sintonizzato sul televisore e a tutti parla di Dio, il suo amico Issa ugualmente, quando non ha lavoro trascorre il tempo tra i clienti del negozio, sia cristiani che di altre religioni. 
Anche Rami nel suo lavoro di artigiano, continua a rapportarsi con quelli che incontra sentendo come prima missione la testimonianza dell'amore cristiano; insieme fanno i sacrestani della chiesa del villaggio.
Hussam non ha alcun timore di parlare del Vangelo a tutti, non nega a nessuno una copia dal Vangelo perchè sia un nutrimento spirituale per tutti; queste persone poi continuano frequentare il negozio per sentirlo e dialogare con lui.
  Issa per motivi di lavoro è andato in Libano per cinque anni: “Quando lavoravo in Libano, io ero l'unico cristiano del gruppo, all'inizio nessuno voleva stare con me e quando veniva l'ora di pranzo si radunavano tra di loro e io restavo sempre in un angolo da solo. Ma poco a poco, vedendo come mi comportavo hanno cominciato a chiedermi ' parlaci di Cristo' ed io rispondevo 'amatevi gli uni gli altri e capirete veramente Cristo, basta avere amore, questo serve di più che non raccontarvi quello che Lui ha fatto, avere amore è l'unico insegnamento'.  Quelle persone avevano una mentalità uguale a quella degli estremisti, anche se non uccidevano... Alla fine diversi di loro vedendo come io li trattavo lasciavano il gruppo e venivano a mangiare con me. Era successo che loro avevano fatto alcuni errori nel lavoro e io assumevo la responsabilità per quegli errori, che non avevo fatto io, al posto loro prendevo la colpa su di me e loro si domandavano il perché, e io rispondevo 'Cristo ha portato su di sé i nostri peccati e io allora non posso prendere su di me un errore che avete fatto nel lavoro? Sono semplicemente un alunno del mio Maestro'. Un giorno sono riuscito a portare uno di loro nella chiesa e gli ho fatto vedere come  loro pregano solo per la propria grande nazione e invece noi preghiamo per tutti, anche per quelli che ci odiano”.
  “Per dialogare con i musulmani è importante sapere che cosa dice il loro Corano e la loro sharia” dice Hussam. “Un giorno è venuto nella nostra chiesa un gruppo di musulmani per fare gli auguri di Pasqua, dalla scuola del gran mufti, e con loro anche quattro donne dottori nella sharia a cui ho fatto visitare la chiesa e che ancora oggi vogliono approfondire il discorso della nostra fede: guai a un cristiano che si glorifica non nella croce di Cristo, questa è la nostra sola gloria! Issa stava seduto con il grande imam e sentiva nell'altra stanza Hussam che annunciava alle donne apertamente Cristo ed era impressionato dalla forza della sua testimonianza, e dalla sfida che rivolgeva loro soprattutto rispetto a come viene considerata la donna nel Corano mentre noi cristiani sappiamo che la donna non sta né sotto nè sopra ma sta a fianco dell'uomo, come ci mostra il racconto biblico della creazione della donna presa dalla costola dell'uomo”.
  Issa è costruttore e si è specializzato nel cantieri che edificano chiese: “Una volta stavo sistemando la croce in cima alla cupola della chiesa, alta 30 m. La croce di ferro era molto pesante, ci volevano due persone ma io l'ho portata sulle spalle, stavo arrivando sulla cima e mi sono accorto che stavo per cadere, ma qualcuno mi ha preso da dietro e mi ha dato l'appoggio. Pensavo che fosse il mio compagno, dietro di me, quindi ho finito di mettere la croce e appena terminato di fissarla ho guardato dietro e mi sono accorto che non c'era nessuno, però per tutto il tempo in cui saldavo la croce io ho avvertito una mano che mi sosteneva con forza. Da allora in poi ho dedicato tutte le mie energie alla costruzione di chiese”.
  Rami è un orefice e con i due amici formano un gruppo di preghiera che ha un'intensità percepibile e continua ad attrarre per la sua forza di convinzione tanta gente, nonostante adesso il loro ex-parroco, così importante nell'aver destato e sorretto la loro convinzione, non sia più con loro.

Rispetto alla crisi che sta vivendo la Siria, essi vedono in qualche modo un disegno della Provvidenza, proprio attraverso la grande fuga dei giovani verso l'Europa e altri paesi: sono convinti che sia la nuova via dell'evangelizzazione e di una vita di fede rinnovata proprio per i paesi in cui i siriani cristiani andranno a vivere. Un amico emigrato in Olanda ha raccontato in che modo il suo gruppo frequenta là tutte le domeniche la chiesa e la gente del posto ne è così colpita che si è unita a loro per ritornare a frequentare la chiesa con nuovo fervore. “Forse tutto questo è stato permesso proprio perché noi cristiani di Oriente veniamo ad evangelizzare voi in Occidente. L'unica cosa che ho chiesto a mio figlio di prendere con sé, adesso che sta per partire per il Canada, è la Bibbia".
 “Siate forti nella fede, è di questo che hanno bisogno i fedeli dell'islam che giungono da voi”.
  E quando chiedo loro se ritengono che i cristiani della Siria sono così forti nella fede da essere disposti a sacrificare la vita per restare fedeli a Cristo, tutti i presenti, senza eccezione, grandi e bambini, mi rispondono: “ Io sono pronto, solo Cristo è la vita. Dobbiamo pregare certamente perché solo la forza della fede ci sostenga nel non rinnegare Cristo e non mi sia permessa la tentazione e che io abbia il coraggio di dire 'rinnovo la mia fede in Cristo'.  Il nostro Dio è un padre di famiglia che ha tanti figli: potrebbe mai ordinare a uno dei suoi figli di uccidere l'altro? È illogico! Dio non può ordinare qualcosa di male, per questo è compito di ogni uomo la capacità di discernere se veramente viene da Dio l'ordine di uccidere l'altro, di non rispettare la dignità dell' uomo e soprattutto la donna!. Il vero pericolo viene dal diffondersi nel mondo della mentalità degli estremisti, tra i musulmani della mentalità di Daesh, che sta pervadendo l'Islam. L'Islam è una  evoluzione della legge giudaica. Alcuni poteri mondiali vorrebbero renderci persone insignificanti, senza forza, e disunite. È un progetto di male che sarà sconfitto solo quando noi cristiani saremo uniti. Nel nostro quartiere a maggioranza cristiano c'è un settore musulmano, un giorno circa trecento di loro hanno organizzato una incursione per prendere le donne e uccidere gli uomini, stavano per entrare quando quel giorno è caduta una grandine fortissima e lì abbiamo sperimentato la forza e la protezione di Dio nella nostra debolezza. E come è vera quella parola del Signore 'non abbiate paura, Io sono come voi sino alla fine dei tempi'”.
  Continua Hussam: “Noi siamo sei fratelli, un pomeriggio alle 4:30 arriva la notizia che un mio fratello è stato rapito, sono entrato io nel quartiere dei rapitori e ho cominciato a gridare che dovevano lasciarlo libero entro sera perché tutti noi sei fratelli eravamo disposti a morire  insieme: bene, alle 10 di sera mio fratello era libero”.
Daesh è uno dei gruppi di estremisti a cui sono state inculcate queste idee promettendo piaceri, sesso e guadagni, facendo come il cancro che si insinua nel corpo dell'uomo dal punto più debole e da lì si diffonde. Perché quei potenti del mondo  non hanno scelto i cristiani per farli diventare Daesh? Questi gruppi non sono nati oggi, ma 10-15 anni fa, li preparavano e rifornivano, e adesso gli hanno chiesto di alzarsi e li fanno spostare da un paese all'altro e inculcano loro l'idea che i cristiani sono ricchi e bisogna prendere le loro case, donne, beni”.

Gli amici mi raccontano una specie di allegoria per spiegarmi che purtroppo la guerra non ha unito i cristiani e non ha creato una vera solidarietà per difendersi gli uni gli altri: di fronte alla trappola ognuno ha cercato di scansarla singolarmente, e in questo ognuno ci ha rimesso, perché la trappola era per tutti non per uno singolo. “Solo adesso stiamo imparando che dobbiamo essere uniti per combattere insieme contro questa trappola. Siamo infinitamente grati ai nostri “abuna” che ci accompagnano in questo cammino retto di fede”.
  Ma quando alla fine domando: “c'è un futuro per i cristiani in Siria?”, scuotono il capo e citano il Vangelo: “Oggi siamo certi solo di una cosa: noi siamo pellegrini sulla terra, la nostra abitazione è nel cielo e l'unica roccia su cui costruire la nostra casa è Cristo”.

 Fiorenza

giovedì 30 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (4) I cristiani si interrogano -1°parte


Durante il viaggio, ho l'occasione di assistere ad un incontro di giovani  provenienti da diverse città della Siria:  sono i responsabili dei gruppi di 'CVX comunità di vita cristiana' e riflettono in un momento comune sulla propria vocazione in questo momento della vita dolorosa del proprio paese.
 Ci tengono a ribadire che la sofferenza che stanno vivendo i cristiani è una sofferenza che li accomuna agli altri siriani, senza distinzione, perché in questo momento cristiani e musulmani soffrono allo stesso modo.
 Magda è insegnante e fa la volontaria in attività organizzate per aiutare e dare conforto in un campo profughi di Aleppo: fa l'esperienza della diversità, è spesso l'unica non velata dentro l'ambiente in cui porta la sua presenza, ma si accorge anche di quanto uno sguardo suo libero, sereno, non condizionato, crea inaspettati ponti di riconoscimento. I musulmani sono stupiti dal vedere l'interesse che hanno i cristiani verso di loro, quando le stesse moschee non si prendono cura dei loro bisogni, fanno un incontro umano con persone amorevoli, gentili e questo li sorprende enormemente, perchè non è l'immagine che avevano conosciuto, vedono che è un'altra cosa ...
La crisi è stata un'occasione per un incontro pienamente umano: recandoci a Jebreen nei campi profughi dove sono raccolte persone che sono vissute sotto Isis o i gruppi fondamentalisti, ci raccontano esperienze terribili, che quasi non si riesce ad ascoltare immaginando che siano la realtà, soprattutto per le donne. Ci sono molte malattie a livello psicologico, menti che sono state segnate da una  violenza terribile, tanti non riescono più a dormire e raccontano storie veramente disumane, che ci toccano profondamente e lavorare con loro è spesso fonte di pianto.”
 Proprio questo ascoltare e condividere il dolore sta riempiendo di senso la vita di queste donne e uomini che hanno scelto di restare. Essi non sono d'accordo con quei cristiani che qui pensano di essere considerati inferiori perché non hanno un ruolo importante nella società siriana, invece percepiscono la propria missione come fondamentale all'interno della società. “Ci sono cristiani che pensano che per loro non ci sia un avvenire qui” ... Magda avrebbe potuto emigrare senza problemi, come hanno fatto quasi tutti i suoi parenti, ma lei ha sentito che questa era la sfida che le era proposta da Cristo e che ha accettato come la propria vocazione. Scopre così che quello che ha tutti i giorni, cioè il suo lavoro, il servizio, la vita nella comunità cristiana, le basta per restare, dà una ragione anche al sopportare le privazioni dell'acqua, della luce e di altre cose che prima sono  sempre state normali. 
“È vero soffriamo, ma quello che mi rialza è di avere un senso, il percepire che c'è un significato e che questo significato è dentro di me come una sorgente che mi tiene in piedi. Come siriana e come cristiana io percepisco che se Dio mi ha messo qui è perché si aspetta da me qualcosa qui, trovo ogni giorno dei segni che mi convincono che è giusto essere qui. Ma è molto importante il sostegno di CVX , cioè una compagnia che mi aiuta iniziando la giornata con la preghiera e terminandola con la liturgia, ogni giorno ritrovo la scelta del perché continuare, e che cosa Dio mi sta domandando. Prima la ragione era come di tipo sociale, adesso capisco che la  ragione viene da una fonte spirituale”.  Aggiunge Abed: “Se si pensa all'essere cristiani come categoria sociale, allora si è presi dal senso di inferiorità, di essere minoranza e quindi senza chances; ma io penso che il punto è personale, nessuno può sostituire il mio essere personalmente radicato in Cristo e in questa società. Quello che cambia è la coscienza di essere testimoni di Cristo e non delle vittime di questa società. Veramente, stiamo vivendo un tempo di Grazia in tempo di guerra... riconosciamo che abbiamo cercato di vivere il Vangelo e vogliamo continuare a vivere con questo spirito ancor più profondamente. ”.
 G , giovanissima ragazza sfollata a Damasco da Maloula quando  i terroristi hanno distrutto la sua casa, dice che lei era sempre stata convinta che la sua vocazione fosse di essere un ponte, una testimone radicata nella società siriana con un compito. Ma adesso, dopo quello che è successo a Maloula e vedendo la sua casa distrutta, i suoi amici presi prigionieri e non più ritornati, si domanda come si può restare in un paese dove non c'è più legge e difesa. Si chiede dunque fino a quando, e perché, sopportare tutta questa difficoltà, il senso di essere indifesi senza protezione... E quindi si pone la domanda: “se io ne avrò la possibilità, lascerò la Siria?". Ogni siriano in realtà, non solo i cristiani, si domanda come restare in un paese senza legge, senza diritto, dove le mafie imperversano, e dove la guerra ha incrementato ladri, scassinatori, approfittatori. “Questo è il grande male per la guerra, e noi capiamo che c'è qualcuno che non vuole che la guerra finisca, che vuole arricchirsi; approfittano della guerra, sia fuori della Siria che persone di dentro” .
 L. di Aleppo ritiene che la paura dei cristiani è una cosa antica, fin da prima di questa guerra, perché i cristiani si sono sempre sentiti presi di mira, perché si sa che sono persone pacifiche, perdonano, ma si trovano in mezzo a litiganti più forti che possono sopraffarli facilmente.
 Ma, concordi, in tutti i ragazzi c'è la consapevolezza delle menzogne che sono state diffuse sulla cosiddetta rivoluzione, su quello che la stampa racconta che accade in Siria e, benché tra di loro si percepiscano opinioni anche politiche differenti, concludono unanimi con queste parole: “Lasciate la Siria in pace, non venite a prendere una parte contro l'altra,  lasciateci risolvere da soli i nostri problemi".

Nel cammino verso Damasco ci fermiamo in quel luogo straordinario che è il monastero Mar Yacub di Qara, spazio di incontro e di apertura  fraterna in un ambiente dalla mirabile storia risalente ai primissimi anni del cristianesimo in Siria: una breve sosta che spalanca il cuore ad un abbraccio grato per questa amicizia e per questa presenza ospitale.

 Fiorenza  (la seconda parte continua domani)

martedì 28 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (3) Mons. Abu Khazen. Il cuore del padre

In occasione della celebrazione per i 12 anni della presenza in Siria delle Monache Trappiste , ci raggiunge Mons. GEORGES ABOU KHAZEN, VESCOVO DI ALEPPO E DEI LATINI DI SIRIA. 
Gli chiedo quali sono le preoccupazioni del suo cuore di pastore.


"I timori sono parecchi: abbiamo molta paura per l'avvenire della Siria, su come andrà a finire, perché non è per niente chiaro; e poi soprattutto per il futuro della Chiesa, con questa emigrazione costante dei giovani e delle giovani famiglie, per cui si rischia di rimanere non solo in pochi, ma anche solamente persone di età avanzata, mentre il futuro della Chiesa sono i ragazzi e i giovani. Però nell'Antico Testamento abbiamo l'esempio del piccolo resto che il Signore ha salvato, ed era gente che dal punto di vista umano non valeva niente, non era niente, e quindi il Signore è capace veramente di tutto.

Tuttavia, anche il mezzo a tutto il buio che ci circonda e alle cose non chiare, abbiamo pure tanti punti luminosi che ci danno sicuramente speranza: abbiamo molti cristiani che sono molto più impegnati cristianamente, molti che sono tornati ai valori genuinamente cristiani tra cui, molto importante è il punto del perdono: atteggiamento che assolutamente non è facile... eppure vediamo persone che soffrono veramente e pregano per i loro persecutori. Questa è una cosa commovente e credo che il Padre Celeste non dimenticherà questi gesti.
  Abbiamo anche molta più condivisione! E' vero che sono tutti nella necessità, ma qui abbiamo parecchi fedeli che danno tutto quello che hanno, come la vedova della parabola del Vangelo: ad esempio, quando manca l'acqua e non c'è elettricità, parecchi portano l'acqua con i bidoni e se trovano un vicino di casa che abita al quarto o quinto piano, un anziano, un'anziana o un malato gliela portano su con una gioia e un amore veramente cristiano. Così pure con la luce: noi dobbiamo fare l'abbonamento ai generatori di elettricità, ma talvolta ci sono persone che non hanno di che pagare; allora molti tra noi cristiani, vedendo queste estreme necessità, cercano di aiutare, condividendo con chi non può, collegando il loro impianto elettrico con un cavo, in modo che possano almeno vedere la televisione.
 La nostra preoccupazione, la nostra paura, oltre che sul futuro della Chiesa, è anche per il futuro della patria, perché quelli che se ne sono andati sono le persone più preparate, quelli in grado in futuro di prendersi delle responsabilità, e questo ci dà veramente da pensare e ci mette un po' in ansia per il futuro.
 Ma io ho anche una grande fede, perchè il cristianesimo è nato proprio qui ad Antiochia: dalla Siria dopo Gerusalemme sono partiti in tutto il mondo, qua i discepoli sono stati chiamati per la prima volta cristiani e qui è avvenuta la conversione di San Paolo: quindi so che il Signore sa utilizzare le persone al momento giusto. Perciò io credo che la nostra presenza qui in Oriente non sia una presenza qualsiasi ma credo che per noi sia una vocazione e una missione da adempiere.
 Non importa forse nemmeno il nostro numero o la nostra influenza sociale, ma quello che più conta per noi è di essere obbedienti alla parola di Dio, fare quello che vuole Lui. Per questo io chiedo anche a voi di pregare per noi, affinché possiamo discernere cosa vuole lo Spirito da noi in questi avvenimenti e per il nostro futuro.

 E' proprio questa la nostra quaresima: seguire il cammino di Gesù anche senza vedere dove ci conduce. Saliamo con Gesù fino a Gerusalemme, certi che dopo la croce c'è la resurrezione."

venerdì 24 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (2) La cura dei piccoli sfollati


Intervista a suor Lydia delle Suore del Perpetuo Soccorso, direttrice dell'Asilo 'alAmal' di Marmarita (Valle dei Cristiani).


D: Suor Lidia, ci racconti un po' del vostro lavoro qui nell'Asilo alAmal..
  “Anzitutto, siamo felicissime di ricevervi qui tra di noi nel nostro piccolo convento di suore del Perpetuo Soccorso.
All'inizio avevamo soltanto tre sezioni per un numero complessivo di 80 bambini prima della guerra, ma dopo la guerra sono diventati 90 e via via sono aumentati fino agli attuali 400.
Alla fine, abbiamo dovuto aprire anche un nido per i piccolini al di sotto dei tre anni, per aiutare le mamme che lavorano e non hanno nessuno che custodisca i loro bambini: la loro situazione ci ha interpellato proprio perché la nostra vocazione è di testimoniare Cristo presente dentro la vita delle persone, a fianco dei bisognosi, ed è proprio questo ciò che essi si aspettano da noi.
 Abbiamo perciò ingrandito il nostro edificio e così adesso abbiamo 10 classi di bambini dai tre anni ai sei anni e anche un nido frequentato da 30 bebè da tre mesi a tre anni, dopodiché vengono indirizzati alle classi della scuola materna.
 Quando terminano la scuola materna presso di noi, i bambini passano direttamente alla scuola elementare che è qui di fianco e ed è molto ben equipaggiata perché prima della guerra era stata costruita e resa pienamente funzionale dalla principessa del Qatar che si era sposata ed aveva voluto proprio costruire la scuola qui in Marmarita, in accordo con il governo siriano che in quel tempo era in amicizia con il Qatar."
D: Come sono questi bambini? Avete incontrato problemi?
  "Sono bambini che hanno molto sofferto le conseguenze della guerra. Lo si percepisce dalla violenza dei loro comportamenti: per mesi se non per anni hanno sentito bombardamenti nelle loro città di provenienza cioè Aleppo, Homs, Damasco... Molto spesso questi bambini si picchiano perché hanno visto queste scene di violenza intorno a loro e alla televisione. Per questo preferiamo che vengano in un ambiente educativo come il nostro piuttosto che restare magari con i nonni.
Si dicono tra loro brutte parole, quelle che vedono alla televisione, dove le scene presentano ogni giorno lo Stato islamico nella sua brutalità.
  Alcuni bambini talvolta presentano problemi e alcuni non partecipano a niente, in questi casi possiamo fare ricorso anche ad uno psichiatra per i casi più difficili; poi ci sono altri casi di difficoltà nella pronuncia e quindi le insegnanti ricorrono a specialisti, logopedisti nei percorsi di ortofonia; abbiamo anche bambini con alcune malattie gravi per esempio un paio malati di cancro. Nel nido abbiamo un piccolo che ha una forma di poliomielite, ma da quando sta da noi è molto migliorato perché comincia a fare qualche passo se viene sorretto, a pronunciare qualche parola e ad aprirsi agli altri senza restare in disparte dal gruppo.
  Un'altra ragione per cui è meglio che i bimbi vengano da noi è il problema del riscaldamento, perché nella nostra zona fa molto freddo e le case sono pochissimo riscaldate perché il gasolio è molto caro e poche famiglie possono permetterselo, sicché ci sono sempre molti bambini malati, con la febbre, e i genitori ci chiedono aiuto, per questo diciamo loro: 'mandateli qui, non teneteli a casa al freddo'. Qui da noi sono in un ambiente più caldo e ai bambini malati diamo anche le medicine, quindi è un servizio che facciamo anche alle famiglie."
D: Qual è adesso qui la situazione della gente?
  "Qui nella nostra regione non c'è Daech ma c'è un "Daech" diverso e similmente crudele, quello economico: per esempio il mazut (carburante tipo gasolio) scarseggia e il prezzo d'acquisto regolare di 37.000 Lire siriane per 100 lt. è enormemente caro. L'elettricità viene fornita per un'ora e poi sospesa per sette ore, dunque in realtà abbiamo solo quattro ore di elettricità in un giorno. Si va avanti perciò con il generatore, che serve per riscaldamento e per l'energia ma mantenerlo è molto costoso.
  Al momento non abbiamo famiglie che sono rientrate in Aleppo o in Homs; invece qualcuno purtroppo ha cominciato ad andarsene, soprattutto in Australia.
Un grande problema è rappresentato dal servizio militare, perché si stanno reclutando tutti i giovani in età di leva e mentre sono ancora studenti universitari si affaccia la prospettiva dell'essere chiamati alle armi, perché sono risparmiati soltanto quelli che stanno frequentando l'università con buoni risultati; per cui molti cercano di sfuggire riparando all'estero, soprattutto andando in Libano. Questo comporta che qui restano soprattutto dei bambini e dei vecchi, ma la maggior parte delle famiglie sta preparando i documenti per ottenere il visto per l'emigrazione."

D: C'è qualcos'altro che le preme di raccontarci o di chiederci?
  "Anzitutto vi ringraziamo moltissimo per essere stati accanto a noi con l'aiuto che ci avete fatto giungere dall'Italia costantemente e che ci ha dato la possibilità di riscaldare gli ambienti che accolgono questi bambini. Voi ci aiutate a compiere la nostra missione, perché anche se noi siamo delle religiose non basta dare la parola di Dio, ma come ha detto Gesù: 'date loro del pane da mangiare'.
 Non potete immaginare la gioia che ci avete regalato a Natale, finanziando il dono delle giacche calde, ed i dolci e i doni distribuiti nella festa: i genitori non finivano di ringraziare! E' stato un dono di grande valore! Anche avere incaricato un laboratorio di Aleppo di confezionare le giacchette, è stata un'occasione per dare lavoro ad alcune famiglie. Adesso le famiglie sono così impoverite che spesso non hanno i soldi per comperare i vestiti, allora abbiamo suggerito a quei genitori disponibili a cui i bambini non vanno più bene i vestiti di portarli a noi per poterli passare ad altri bambini che ne hanno bisogno.
Anche le famiglie che avete aiutato a portare avanti il loro piccolo negozio vi sono tanto grate. Sono quattro famiglie di Marmarita e due famiglie di un altro villaggio. Naturalmente abbiamo aiutato con molta discrezione, perché non era possibile aiutare tutti.
  Oggi è il giorno della vaccinazione antipolio, che abbiamo deciso di fare all'interno stesso dell'Istituto per sollevare le famiglie da questo onere e dalla spesa di dover portare con il taxi i bambini al dispensario. A questo scopo ci siamo accordate con il ministero della salute perché il personale del dispensario si spostasse qui da noi.
  Tra i progetti che abbiamo per il prossimo futuro c'è quello di acquistare un nuovo generatore elettrico perché quello attuale è molto usurato e spesso si ferma.
  Un altro progetto è quello di fare una piccola copertura dalla strada all'ingresso della scuola perché i bambini non facciano un lungo percorso sotto la pioggia.

  Adesso stiamo organizzando la festa della Pasqua e le attività che continueremo nei mesi estivi, perchè noi offriamo ai bimbi anche la colonia estiva. Le nostre educatrici hanno fatto l'università e comprendono molto bene i bisogni anche psicologici dei bambini, oltre ad essere qualificate dal punto di vista cristiano e a dare quindi anche un insegnamento religioso.
  Le nostre attività comprendono, oltre quelle di apprendimento, anche canti, danze e un corso di lingua francese che noi impartiamo perfino alle classi dei più piccoli”.
E infatti concludiamo commossi la nostra visita nelle classi distribuendo caramelle italiane mentre i bambini, educatissimi e con grande entusiasmo, ci cantano Alouette ed allegre canzoncine in francese.

martedì 21 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: 'sperando contro ogni disperazione' (1) Le Trappiste di Azeir

   Mi sono recata in Siria nelle scorse settimane per incontrare le Sorelle Trappiste, che in Siria sono presenti con una fondazione del monastero italiano di Valserena, ed altre esperienze cristiane con cui da alcuni anni OraproSiria è in amichevole rapporto.
Colpisce anzitutto la bellezza e la cura del sito sul quale amorevolmente le Suore stanno costruendo il loro monastero, permeato di pace, di serenità, della letizia dei loro volti.
  La situazione di guerra incide profondamente sulla vita anche di questo angolo relativamente tranquillo del Paese, adiacente alla 'Valle dei Cristiani': pesantissimo è l'aumento vertiginoso dei prezzi, il razionamento dell'energia elettrica (il Governo fornisce un'ora di luce ogni cinque), la mancanza di combustibile per il funzionamento dei generatori.
L'embargo imposto dall'Occidente ha ulteriormente frustrato il reperimento delle materie prime, annientando le attività produttive, il commercio, gli scambi, quindi il lavoro.
  La preoccupazione di non intravedere una soluzione e un futuro dignitoso crea uno scoramento tangibile in tutta la popolazione; di conseguenza la mancanza di prospettive genera una sempre maggior spinta all'emigrazione.
  Nel tessuto sociale così ferito, colpisce il coraggio di questo popolo che affronta la vita quotidiana con dignità, con la voglia di vivere, con un attaccamento leale alla propria nazione e che si indigna della informazione distorta circolante sulla guerra che è stata imposta dall'esterno al proprio Paese,
  Vi racconterò in diverse “puntate” le testimonianze che ho raccolto, grata di tanta fede e cammino di purificazione che mi sono stati consegnati ed ho ricevuto come un dono prezioso.

  Fiorenza


Intervista a suor Marta superiora del monastero delle Trappiste di 'Azeir
14 marzo 2017

D: Da cosa è nata la vostra presenza qui?
Il 14 marzo è il giorno del nostro primo arrivo in Siria, ormai 12 anni fa, nel 2005. Anno dopo anno, stiamo riscoprendo veramente la grazia di questo cammino provvidenziale di scoperta di tante cose che noi stiamo sperimentando ogni giorno, perché noi siamo state sorrette in ogni nostro progetto e desiderio.
All'inizio è stato il desiderio di seguire i nostri fratelli dell'Atlas (Tibhirine), non tanto coltivando la memoria della loro morte, quanto nello scoprire in che modo essi vivevano. Nel nostro stesso Ordine ci si è chiesti come questa comunità sempre un po' precaria e fragile, in una situazione di minoranza, senza troppe prospettive per il futuro, proprio anche per le persone che ne facevano parte (perché la comunità raccoglieva personale da monasteri diversi e non c'era una comunità cristiana locale da cui sperare vocazioni), che senso avesse. Col tempo, nell'Ordine si è riscoperto il senso di questa presenza fondamentalmente gratuita. Loro si definivano 'oranti in mezzo ad altri oranti', quindi il primo approccio è stato quello di partire avendo un'eredità da custodire, perché i nostri fratelli erano morti, ma in Algeria non era possibile dare continuità alla loro presenza e quindi si è posto il problema di come vivere e dove continuare questa eredità.

Abbiamo sentito questo come una grazia anzitutto per noi. In terra d'islam essendo minoranza abbiamo riscoperto la Grazia di appartenere a Cristo vivendo la nostra fede in modo radicale: dove tu hai intorno un contesto religioso differente devi rimotivare anzitutto a te stesso le ragioni della tua fede approfondendo il tuo rapporto con Cristo. Devi testimoniarlo in modo vero sapendo di appartenerGli.
Da una parte quindi il dialogo con l'Islam, dialogo inteso come apertura ad altri credenti, ma testimoniando nei fatti la nostra Fede, con decisione, senza annacquarla e senza contrapporla alla loro. Anche i nostri fratelli in Algeria non hanno mai vissuto una situazione di sincretismo, sono sempre stati dei monaci fedeli a Cristo che cercavano il Signore e, proprio per questo, senza paura. Più si approfondiva la loro appartenenza a Cristo più erano capaci di vivere in apertura semplice e quotidiana con gli altri. Questa è stata la chiave e la ricchezza dalla quale abbiamo potuto attingere.

E' quindi avvenuta la scoperta della Siria, quando 12 anni fa nessuno parlava della Siria. Non si sapeva nemmeno dove fosse, né si conosceva la ricchezza della sua storia e della sua cultura, della tradizione antichissima del suo monachesimo: si conosce la tradizione dei monaci in Egitto ma pochi sanno che essa è nata proprio in Siria. Ne è un esempio Isacco di Ninive che ha influenzato tutta la spiritualità dell'Occidente e la vita monastica arrivando fino a San Benedetto e da lì anche alle nostre radici cistercensi.
E poi è stato l'incontro con il presente, con la numerosa presenza di etnie diverse: curdi, drusi, sciiti, sunniti, cristiani armeni e tutta la ricchezza delle tradizioni religiose cristiane e non cristiane, perché in Siria sono presenti tutti e tutti vivevamo insieme con questa mescolanza molto naturale, nella vita quotidiana.
Dunque, alla prima motivazione con questo sguardo rivolto all'Islam, come la religione altra di maggioranza, in questo nostro cammino si è unita la scoperta delle altre tradizioni cristiane e la volontà di inserirci dentro questo patrimonio.
All'inizio pensammo di entrare a far parte di uno dei riti di quella tradizione orientale qui presenti, ma gli stessi vescovi ci hanno invitato a restare aperte ma restando latine; l'invito è stato: “Rimanete aperte a tutti, sarete considerate forse un po' straniere ma cercate di cogliere un po' da tutti”. Questo ci ha permesso di attingere con libertà a tutte le varie realtà e anche dalla vita reale che c'è in Siria, perché la prima cosa che abbiamo notato nei cinque anni trascorsi ad Aleppo è che i cristiani passavano da una chiesa all'altra con semplicità ovunque ci fosse preghiera, perfino tra ortodossi e cattolici si potevano incontrare persone alla stessa messa; trovavamo maroniti alla messa siro cattolica con moltissima libertà. E anche le famiglie erano composte nello stesso modo.

E così abbiamo scoperto che ci sono i cristiani arabi, perché noi pensiamo che arabi significhi appartenenti all'Islam, invece è una cultura, un modo di percepire la fede legato alla lingua, cioè alla forma di pensiero e questa è una ricchezza dalle mille sfumature. In Siria non si deve mai generalizzare ma avere rispetto per tutti i cammini e i mille percorsi delle varie comunità perché qui la realtà è molto composita e molto ricca: questo ci insegna ad avere sempre una grossa apertura con tutti, con un profondo rispetto, proprio perché come persone siamo state accolte con una grande generosità e con molta benevolenza. Ci siamo così sentite, noi, ospiti benvolute e questa sta diventando sempre più la nostra terra: ci sentiamo con un cuore siriano grazie alla loro accoglienza e noi vogliamo ascoltare la loro esperienza e ciò va fatto con tanta attenzione e senza preconcetti .
Nel rispetto, si scopre che dietro ad ogni storia c'è il mistero di una persona e questo ci ha dato, come criterio per dipanare la vicenda delle persone e del Paese stesso, quello del BENE. La ricerca del bene apre alla possibilità anche di trovare soluzioni a quello che oggi si vive.

Purtroppo la Siria adesso è conosciutissima, ma a un prezzo molto caro, non diciamo a prezzo di una morte, perché la Siria è viva, ma di una grande distruzione e sofferenza che è stata imposta al 98% da forze straniere. Il cammino è quello di un amore vero a questa terra e a questa gente, così com'è oggi, senza sognare su cose che non sono, ma con la disponibilità a ricostruire con le persone che ci sono: non quindi per distruggere qualcosa ma disponibili a fare un cammino insieme a partire dall'essere diversi, con una verità e con un bene che è possibile cercare insieme.

D: Come coniugate la risposta al bisogno che incontrate e la vostra vocazione contemplativa?
La prima risposta ce l'hanno data proprio loro, perché durante la guerra ci hanno detto che il saperci qui, per loro era un aiuto, una forza, si sono sentiti aiutati dalla nostra presenza e dalla nostra preghiera. La preghiera è una cosa molto attiva, è un'arma diversa ma potente, perché non siamo più noi che agiamo ma consegniamo tutto nelle mani del Padre, che non è una remissività, una passività, un fatalismo, ma è un chiedere il bene, chiedere la conversione del cuore, chiedere la pace e anche sentire nella preghiera, soprattutto con la preghiera dei salmi, che possiamo portare tutta la gioia, tutta la sofferenza, tutta la rabbia, l'invocazione e la disperazione. Tutto questo passa nella preghiera, perché la preghiera e mettersi davanti a Dio così come si è e noi cerchiamo di farlo semplicemente stando qui.
Abbiamo sentito come un grande dono per noi essere qui: se fossimo in Italia parleremmo tanto della Siria, qui non parliamo tanto, ma "siamo con" e per questo siamo contente di essere qua con questa gente che sta soffrendo perché qualcosa sta succedendo 'sopra' di loro, e noi, semplicemente, con tutta la nostra inadeguatezza alla situazione, siamo con loro, siamo qui.

Quello che è importante è incarnare un'esperienza concreta a fianco della sofferenza, però con una speranza; vuol dire anche darsi ragione, perché non basta essere solidali, occorre chiedersi ogni giorno: “abbiamo una risposta? Crediamo che il Signore ha vinto la morte o no?” Non tanto per quello che faccio o non faccio, ma se io vivo questa speranza la mia speranza passa per me e passa per gli altri. È veramente un impegno mettersi davanti alle domande fondamentali del nostro stare al mondo e questo ci ha fatto maturare una riflessione anche a livello ecclesiale: è chiaro che c'è bisogno di rispondere a tutte le necessità materiali, che sono tremende, perché non si tratta solo di un po' più di lavoro o un po' più di stabilità: stiamo parlando di gente che muore per le strade, di bambini straziati e senza famiglia, di situazioni atroci, e grazie a Dio ci sono tanti che stanno operando in un modo veramente bello! Nello stesso tempo l'uomo non è definito solo dai suoi bisogni materiali, c'è una sete più profonda, una sete di senso e c'è anche il bisogno di trovare il motivo per cui resistere. Alla fine, perché resistere a questa distruzione? Si è fatto tutto il possibile e allora perché non lasciarsi andare? Ma se la vita è altro, se l'uomo è altro, allora uno trova anche le risorse, trova anche il senso dentro la sofferenza e la distruzione.
Tante volte parlando con i giovani che volevano partire e sono partiti dal paese, senza giudicare e capendo molto bene le motivazioni non solo per sè ma anche per la famiglia, con la preoccupazione quindi di far crescere i figli con delle possibilità, la domanda però alla fine è: “che cosa cerchiamo veramente? Si può essere pienamente uomini e donne, qui, o no?” Se si risponde a questa domanda, si trova il senso del restare o no, e questo dipende da quale umanità io voglio vivere. C'è qualcosa che m'impedisce veramente di essere pienamente uomo, creatura di Dio con la mia dignità, qui, o no? In base alla risposta che mi do poi faccio delle scelte, Per noi è stato anche un modo di credere anzitutto noi in questo e di cercare di camminare con loro; piano piano, perché per la lingua abbiamo ancora difficoltà ma ormai da un anno e mezzo abbiamo sempre più ospiti che arrivano e il nostro desiderio è di offrire uno spazio per queste domande e per questa riflessione.

La gente che viene al monastero sente forte la presenza di una vita comune, di una comunità e ci dicono che si percepisce una gioia, una serenità; trovano un'accoglienza serena, un sorriso e ci dicono che sentono la forza della nostra preghiera. A volte noi siamo molto preoccupate per la lingua perché molto del nostro ufficio liturgico non è in arabo, ma loro sentono lo stesso uno spessore, sentono che c'è una dimensione di preghiera che li aiuta, uno spazio dove possono stare con tutta la loro dimensione che a volte viene un po' soffocata dalle necessità quotidiane, ma che invece li dilata quando riescono a riempirsene i polmoni.
Abbiamo quindi piccoli gruppi che vengono qui, se avessimo più disponibilità di posto, con le richieste che abbiamo, potremmo fare molto di più in termini di accoglienza. Però preferiamo che le persone abbiano uno spazio di silenzio per porsi le domande vere, piuttosto che ricevere i grandi gruppi.

D: Quale servizio offre il monastero alle comunità religiose locali?
C'è un grande bisogno di formazione e il nostro sogno è che il nostro monastero possa diventare un luogo dove persone, anche di tradizioni diverse si incontrino, anche solo per scambiare una riflessione e una speranza; che diventi anche un luogo in cui nascano progetti a partire dalla chiarezza della nostra missione qui in Siria: è la strada dell'amicizia, senza pretese, per poter mettere in comune il desiderio di costruire, perché si creda che c'è una speranza e che possiamo condividerla. Ci piacerebbe che tra consacrati ci si ritrovasse per una giornata di fraternità anche tra riti diversi.. e anche che tra i giovani si creasse un luogo di scambio. Insomma ci portiamo nel cuore questo desiderio di essere un segno, e questa è la progettualità cristiana.

Ma poi c'è anche proprio l'essere insieme a tutti: tra i nostri operai ci sono sia cristiani che sunniti che alauiti, e qui si vede come nello stare insieme si costruisce giorno per giorno, con un sorriso, con l'ascolto delle persone, con la nostra stessa presenza, un segno di fraternità.
Ci sono tutti molto grati per il fatto che pur potendo andarcene abbiamo scelto di restare qui. Ci capita spesso ai posti di blocco che ci chiedano di fermarci a prendere un caffè con loro o ci offrano un cioccolatino e quando andiamo nel villaggio dicono: "queste sono le nostre suore".
Adesso la nostra zona è più tranquilla ma anche quando i combattimenti erano molto vicini, siamo andate avanti a costruire e a coltivare, e questo è stato un grande segno, proprio perché coglievano che non si viveva così ,alla giornata, aspettando quel che succede, ma con una progettualità, mantenendo un impegno nella realtà carico della nostra speranza, e poco a poco ci sono dei piccoli segni di riconoscimento reciproco che ci fanno sentire di appartenere alla stessa vita, che ci siamo e che viviamo insieme.

D: Quale assistenza date ai bisogni materiali della gente?
La nostra resta una vita contemplativa; non abbiamo opere esterne; il nostro aiuto consiste soprattutto nell'offrire lavoro: in sei anni non si è mai interrotto il cantiere e ci sono persone che non hanno altro lavoro che quello svolto presso di noi, noi abbiamo cercato di aiutare soprattutto creando un lavoro semplice, come quello agricolo o spostare i sassi e la piccola manodopera.
Per 6-7 anni abbiamo potuto dare lavoro con continuità a 10 -15 persone e frequentemente ad altri specializzati come il mobiliere, l'idraulico... Cerchiamo anche di sopperire ai tanti bisogni concreti: si rivolgono a noi sempre più spesso per la necessità di un intervento chirurgico, per finanziare le cure mediche o sostenere gli studi di ragazzi che non riescono a pagarsi neppure il costo del pulmino per andare tutti i giorni in università.

Quello che però va fatto, ma è un po' più difficile, è creare la possibilità di intrapresa, ma qui la vera arma micidiale è l'embargo, che è davvero un'arma di morte, che nessuno vuole affrontare.
Le sanzioni penalizzano pesantemente tutta la vita di questa gente: anzitutto con le materie prime che non ci sono e quindi come si fa a lavorare? E quando ci sono hanno prezzi insostenibili.
Poi la mancanza di gasolio, le medicine e gli alimenti... Insomma è la mancanza concreta di tutto! Ma l'altra faccia terribile delle sanzioni è che alimentano le mafie, perché la gente ha bisogno di procurarsi il necessario e ciò avviene sovente attraverso vie illegali con il mercato nero.
Se non ci fossero le sanzioni non avremmo questa terribile svalutazione della lira siriana rispetto al dollaro (il cambio attuale è 500 lire per un dollaro). Non ci sarebbe nemmeno l'accaparramento di beni che poi vengono messi sul mercato quando si vuole e al prezzo che si vuole. La gente prima, anche con salari minimi aveva una vita dignitosa; prima con il suo salario poco a poco si costruiva la casa, adesso gli impiegati e la classe media non hanno neppure i soldi per curarsi un malanno. Non si possono pagare neppure le spese per il riscaldamento. Ovviamente tutto ciò ha fatto aumentare la corruzione, anche a piccoli livelli, perché chi può procurarti qualcosa, ti chiede di pagare per procacciarti quel bene di cui hai bisogno, chi può si inventa un pretesto per alzare il prezzo... Ci sono persone che guadagnano 20.000 Lire siriane al mese (40 dollari), ma come fa a procurarsi quel sacchetto di lenticchie che prima costava 35 o 40 lire e adesso ne costa cinquecento o seicento? Quindi tutti cercano di arrangiarsi in qualche modo. Una volta abbiamo comprato un sacco di zucchero per fare le marmellate che poi vendiamo e ci siamo accorte dopo che era un aiuto umanitario che ci era stato rivenduto.
Questo dramma delle sanzioni sta veramente soffocando la popolazione, ma non ha affatto colpito quelli a cui si diceva che erano dirette. Dannose, inutili e controproducenti tanto che si è creato un meccanismo di solidarietà con la propria nazione, perché la gente dice: “bene, stiamo soffrendo ma resistiamo!” Ma è un resistere sulla pelle dei bambini e degli anziani! Le sanzioni come strumento di coercizione politica sono una vera aberrazione. Noi che siamo qui vediamo la contraddizione nell'affamare la gente e contemporaneamente lo sperpero di soldi nei cosiddetti aiuti umanitari, quando basterebbe semplicemente aiutare la gente a lavorare, lasciare che la gente possa produrre, vendere i suoi prodotti. Tuttavia, purtroppo il ricorso alle sanzioni non trova il modo di essere annullato per cui noi pensiamo che dietro ci debbano essere altri interessi. Chi vuol fare qualcosa per la Siria deve affrontare questo problema delle sanzioni, altrimenti sono tutte parole a vuoto. Quindi, chi ha il potere di trovare soluzioni politiche lo faccia nelle sue sedi, ma che almeno si metta la gente in condizione di vivere. Qui non si tratta di libertà, né religiosa né politica né umana: in una nazione che aveva livelli di vita accettabili e che stava crescendo, tutto si è fermato, e non si può farlo passare in alcun modo come un bene , non è giustificabile a nessun livello!

D: Qual è adesso il vero bisogno della Siria?
Quello che noi vediamo dalla nostra angolatura di vita religiosa, che non esaurisce tutto, è il discorso formativo, di crescita, di dare uno spazio alle motivazioni, a una crescita umana e di responsabilità a tutti i livelli, personali, civili ed ecclesiali, perché le persone possano trovare uno spazio per esprimere una responsabilità verso il proprio destino.
C'è un discorso individuale, perché ognuno sia impegnato nel proprio cammino personale; c'è un discorso ecclesiale, perché come Chiesa non si risponda soltanto ai bisogni materiali ma anche al bisogno profondo della persona.
E infine, è fondamentale che la comunità internazionale ci dia dia la possibilità di avere accesso alle risorse materiali e culturali: in fin dei conti consentire il ritorno a una vita, perchè è fuori di dubbio che i siriani nonostante tutto quello che hanno passato vogliono vivere. La voglia di vivere va aiutata e favorita e non spenta!

Il compito dei cristiani allora è quello di guardare la radice vera di ogni evento e poi le soluzioni pratiche si trovano, ma il modo di affrontare i problemi della vita dipende dal cammino che si vuole fare... Che tipo di umanità si vuole? Senza voler entrare nella polemica sulla emigrazione o non emigrazione, bisogna chiedersi: perchè si va via? Perché si resta? Noi non siamo degli uomini vaganti che cercano una terra in cui soffermarsi; la terra in cui vogliamo davvero mettere le radici non è un problema di visti... Io penso che i cristiani debbano riflettere, pregare e poi agire di conseguenza: se non c'è un pensiero non c'è neanche un'azione che vale. Pensare vuol dire mettersi davanti a Dio e alla nostra realtà di creature chiamate a un destino di gloria. Cosa significa questo... e in mezzo a una realtà di contraddizione, di guerra, di male? Non è una realtà vittoriosa, ma noi crediamo che c'è già una vittoria di Cristo sulla morte. Questo implica che si sta davanti alle situazioni senza ignorarle, ponendosi delle domande a cui magari non si ha risposta, a costo anche di arrabbiarsi e indignarsi con Dio ma ponendosi il problema e questo ci rende capaci di operare, ognuno nella sua situazione, noi nella nostra vocazione monastica, altri nel loro servizio, in questa ricerca di Dio che dà senso alla nostra vita.